- Quelli del Genio si trovano già sul posto - ci aggiornò il sergente di squadra Mohamed Risi, mentre sulla visiera del casco tattico apparivano diverse riprese dall’alto della capitale martoriata dalle minatrici.- Noi dell’Intervento Critico verremo sbarcati sulla sponda della voragine presidiata dal nemico, per prenderci addosso tutto il fuoco di quei bastardi, finché i genieri non avranno terminato di allestire i due ponti.

I moduli d'aggancio della nave da trasporto potevano contenere un certo numero di soldati e rappresentavano la scelta ottimale per uno schieramento rapido in zona ostile, ma le unità di granatieri, lasciate sul campo dalle macchine minatrici, non sarebbero certo rimaste a guardare mentre prendevamo posizione.

Già al nostro arrivo sopra il punto di sgancio prestabilito, si erano dati un gran da fare per accoglierci nel miglior modo possibile con l’artiglieria pesante. Le navicelle di supporto ravvicinato - i nostri angeli custodi - avevano coperto egregiamente l’operazione di sgancio dei moduli, finché non avevano toccato terra. 

Spalancati i portelli, erano bastati pochi secondi per piombare nel caos. Tonnellate di plasma a energia ci erano piovute addosso da ogni direzione. Urla e interferenze di rumore bianco mi stavano friggendo il cervello e avevo creduto sul serio d’impazzire.

In quella bolgia infernale, il tenente Fares, al comando dell’intera unità, riusciva a impartire ordini a destra e a manca come se niente fosse: - Squadra Urial, montare l’automa da combattimento e disporsi dietro quell’isolato, muoversi!

- Squadra Capre, posizionatevi sul fianco sinistro, e fate cantare quella mitragliatrice, perdio!

Fares aveva il viso identico a quello di un imperatore romano di cui non ricordavo più il nome: era l’unico soldato nell’intera compagnia a non aver mai cambiato una sola volta il proprio corpo. Una leggenda vivente. Il suo volto invecchiato sembrava scolpito nella pietra, con quell’espressione eternamente impassibile, che non sarebbe mutata neppure con un fucile a dissoluzione puntato alla tempia. Per questo, gli altri veterani lo chiamavano Faccia di Marmo, o più semplicemente Marmo. Sia bene inteso, solo loro potevano chiamarlo così: tutti gli altri - me compreso - rischiavano l’esecuzione mentale sul posto.

- Quanti ne sono rimasti di Agnelli, Amir? - urlò il tenente al suo vice.

- Tutti belli che sacrificati, Marmo. Saltati via in altri corpi ancora da scartare.

- Dannazione! Squadra Pecore, con me! Portiamoci appresso una manciata di confetti termo-dirompenti e zittiamo per sempre quelle batterie laser del cazzo laggiù!

Ancora non capivo perché si dovesse chiamare un’intera unità come una fattoria degli animali.

Probabilmente serviva ad abituarci all’idea di non essere nient’altro che carne da macello...

- Squadra Urial col Bambino, ora dovete vomitare addosso a quei maledetti tutto il fuoco che potete! Voglio la massima copertura. Ci muoviamo! - sbraitò Fares imbracciando il suo fucile d’assalto.

Il Bambino era l’automa da combattimento della squadra anticarro, che era armato con un micidiale autocannon, caricato a proiettili combinati plasma-termico. Al segnale del tenente, aveva scatenato un inferno di fuoco ad alta velocità fischiando come un’antica locomotiva. La raffica infinita aveva sollevato una tempesta di calcinacci, metallo e materia organica.