Arriva ancora dalle isole britanniche una delle storie di terremoti più curiose e simboliche. Il giornalista e scrittore scozzese James Murdoch McGregor, usando lo pseudonimo

La copertina di L’orlo della voragine di J.T. McIntosh (Urania 367)
La copertina di L’orlo della voragine di J.T. McIntosh (Urania 367)
J.T. McIntosh, nel 1965 pubblica L’orlo della voragine (Out of chaos). Un gigantesco terremoto devasta l’intera superficie planetaria, riducendola a un insieme di isole di terra separate da profondi burroni. I superstiti di ogni isola si organizzano per ritrovare una parvenza di società e convivenza civile. Ciò che colpisce del libro è la capacità di raccontare la catastrofe attraverso uno sguardo puramente soggettivo: all’inizio il protagonista sta da solo su una collina in attesa della moglie del suo migliore amico, con la quale ha una relazione. Relazione che dovrà essere troncata e che spinge l’uomo a trovare conforto nell’alcool. Ed è durante questa colossale sbornia che il sisma irrompe nella vicenda, devastando la civiltà e le vite di ognuno. La struttura del romanzo lo fa sembrare quasi una soap opera a sfondo fantascientifico, ma è questo il punto che McIntosh ha voluto mettere in evidenza: più che la mutazione violenta della terra, è la mutazione violenta a cui sono soggetti i singoli a diventare perno centrale della vicenda. Persone normali che, sopravvissute al disastro, badano soprattutto a non perdere la capacità di ragionare, amare, arrabbiarsi, progettare, costruire. È con il salvataggio di questi elementi che il livello simbolico della distruzione causata dal terremoto viene disinnescato. E non è un’invenzione dello scrittore: è sufficiente ascoltare i cittadini di Onna, o di Assisi, o dei paesi dell’Irpinia per rendersene conto. I personaggi di McIntosh reagiscono alla mutazione dello scenario cercando prima di tutto di non mutare la propria identità. Costretti a cambiare vita, a cambiare regole, a lottare anche in modo spietato contro altri sopravvissuti per disputarsi le scarne risorse rimaste, capiscono che preservare la propria umanità come era prima del disastro è l’unica strada che in prospettiva può portarli da qualche parte. Gli scenari in cui prevale il “tutti contro tutti” fanno parte solo del panorama hollywoodiano.Nella realtà del libro come nella realtà abruzzese, prevale invece la volontà di far sì che lo status, davvero tra i più negativi, di terremotati, non comporti un terremoto anche peggiore, tale da alterare per sempre la percezione di sé stessi e del proprio rapporto con la nuova realtà. Impresa questa estremamente difficile da realizzare, ma non impossibile se si evitano le trappole delle facili illusioni e delle false promesse.

Pur con scarsa verosimiglianza scientifica e con qualche ingenuità di troppo, L’orlo della voragine ci dice che il vero abisso non è quello che si apre nella terra, ma quello in cui rischiano di precipitare le coscienze. La condizione di “terra-mutante”, ossia di chi viene cambiato in profondità dal rombo della terra, è la conseguenza peggiore e più duratura di un sisma; gli abitanti dell’Abruzzo, come i personaggi di McIntosh, ci mostrano una strada per uscire da quella condizione. Impervia e pericolosa, ma molto umana.