Il primo fa venire in mente Oxford e la campagna inglese, camicie di flanella, pantaloni di velluto, animali parlanti e paesaggi fantasy. L’altro evoca un Giappone futuristico dai colori pop e le luci al neon, mecha, manga e ani-me. A prima vista, Clive Staples Lewis (1898-1963) e Hideaki Anno (1960) sembrano non avere granché in comune, se non la passione per il genere fantastico. Ma dopo aver letto Quell’orribile forza(1) di Lewis, ultimo capitolo di quella Trilogia dello spazio scritta prima del ciclo di Narnia, mi sono dovuto ricredere e penso che l’amico di Tolkien e il re della animēshon avrebbero avuto parecchio di cui chiacchierare. Il filo rosso che li lega l’ho trovato al capitolo VIII, intitolato Chiaro di luna a Belbury:

“Questo istituto – in nome di Dio – servirà a qualcosa di più che a risolvere il problema della casa, provvedere alle vaccinazioni, fare in modo che i treni vadano più veloci e curare i malati di cancro. Servirà a sconfiggere la morte o a sconfiggere la vita organica, se preferisce. È la stessa cosa. Servirà a trarre fuori dal bozzolo della vita organica che ha prodotto l’infanzia della mente l’Uomo Nuovo, l’uomo che non morirà, l’uomo artificiale indipendente dalla Natura. La Natura è la scala per la quale siamo saliti, ora possiamo darle un calcio. […] Dapprima, natu-ralmente, […] il potere sarà limitato a un certo numero – un numero ristretto di singoli individui: quelli che sono stati scelti per vivere in eterno. […] Poi sarà concentrato in un uomo solo. […] Proprio qui, in questa casa, lei si troverà di fronte al primo abbozzo del vero Dio. È un uomo – ossia un essere fatto dall’uomo – che infine ascenderà al trono dell’universo. E governerà per sempre”(2)

Le ultime righe mi hanno subito riportato alla mente lo splendido monologo, che potremmo anche chiamare poesia, recitato da Rei Ayanami nell’episodio 14 della serie TV (3), capolavoro d’animazione di Anno. Vale la pena riportarlo per intero:

“Montagne. Montagne imponenti, cose che mutano in un lungo tempo. Cielo. Cielo azzurro. Una cosa visibile agli occhi, una cosa invisibile agli occhi. Sole. Una cosa unica. Acqua. Una sensazione piacevole. Il comandante Ikari. Fiori. Molte cose uguali, molte cose inutili. Cielo. Rosso, cielo rosso. Il colore rosso. Odio il colore rosso. Acqua che scorre. Sangue. L’odore del sangue. Una donna che non versa sangue. Un essere umano creato dalla terra rossa. Un essere umano creato da un uomo e da una donna. Città. Una cosa creata dall'uomo. Eva. Una cosa creata dall’uomo. Cos’è l’uomo? Una cosa creata da Dio. L’uomo è una cosa creata dall’uomo. Le cose che io possiedo sono una vita, uno spirito, la cosa che racchiude lo spirito. L’Entry Plug, ovvero il trono dell’anima. Chi è questa? Questa sono io. Chi sono io? Cosa sono io? Cosa sono io? Cosa sono io? Cosa sono io? Io sono me stessa. Questo corpo costituisce il mio essere, la forma che definisce il mio essere. Il mio io visibile, che però non percepisco come il mio io. Strana impressione. Sento come il mio corpo disciogliersi. Non riesco a distinguere me stessa. La mia forma va dissolvendosi. Avverto presenze esterne al mio io. C'è qualcuno là fuori, al di là della soglia? Ikari. Conosco queste persone. Il maggiore Katsuragi. La dottoressa Akagi. Altri ragazzi, compagni di classe. Il pilota dello 02. Il comandante Ikari. Chi sei tu? Chi sei tu? Chi sei tu?”(4)

Da questa “casuale” corrispondenza di termini si sviluppa un intreccio di simmetrie molto interessante. Sfruttiamo i due frammenti per entrare diret-tamente nel cuore delle due opere.