Francesco Troccoli è nato nel 1969 a Roma, dove vive. Farmacista, dopo dodici anni nel marketing di una multinazionale del farmaco lascia per mettersi in proprio come consulente e traduttore, oltre che per dedicarsi alla scrittura. Vincitore di svariati premi, ultimi nel 2011 il Giulio Verne e il Nella Tela, è membro del collettivo di autori La Carboneria Letteraria. Suoi lavori sono presenti in una trentina fra raccolte, antologie, riviste e fanzine, di genere fantastico e non, e alcuni anche nel suo blog personale www.fantascienzaedintorni.blogspot.com, nel quale sono disponibili anche audio-racconti ed estratti sonori di romanzi di genere. Collabora inoltre a varie testate di informazione e/o intrattenimento in rete.

Lo abbiamo intervistato in occasione dell'uscita di Ferro Sette, il suo primo romanzo, pubblicato dalla Armando Curcio Editore.

Insomma, una incontenibile voglia di scrivere, se mi passi il termine. E di scrivere fantascienza. Perchè?

Preciso subito che non faccio parte della folta schiera di scrittori che hanno mosso i primi passi fra le parole scritte in tenera età. Sono arrivato alla scrittura quasi per caso e in una fase tutto sommato tardiva, avevo già trentasei anni e prima non avevo scritto altro che messaggi di posta elettronica e documenti inerenti il mio lavoro di allora. A parte qualche lettera d'amore. Ci tengo a precisarlo, perché la mia risposta alla tua domanda risiede nel fatto che per me l'inizio della scrittura ha rappresentato il principio di una vita nuova. Oggi mi ritrovo ad avere essenzialmente due strade per aggirare i limiti della quotidianità: scrivere e sognare. E benché io pensi che l'essere umano sia responsabile in qualche modo anche dei suoi sogni, il primo mi concede indubbiamente più ampi margini decisionali. Forse, quindi, è per questo che ho scelto il genere fantastico (e non solo la fantascienza): offre molte più strade da seguire rispetto al realismo, aggira le regole, le leggi, le verità precostituite, e ne stabilisce di nuove. In una parola, lo trovo più rivoluzionario.

Aiutami a capire meglio, scrivere "fantastico" serve: ad aprire porte per prendersi una pausa dalla realtà; a trovare una chiave interpretativa/sopportativa della realtà; entrambe le precedenti; nessuna delle precedenti?

Fra le opzioni che mi offri quella della "chiave interpretativa" è la migliore, anche se non basta a rendere quel che penso. E' in ballo più di una semplice interpretazione. Diciamo che la narrativa di genere dà un livello di libertà creativa talmente elevato che, a mio parere, bisogna farne un uso "responsabile".

Mi piace il discorso della "responsabilità", si è sentito dire spesso che fantascienza e fantasy hanno i loro boom quando la realtà è in crisi (vedi l'epoca d'oro degli anni Quaranta negli USA) ma anche che attraverso questi generi si può elaborare una critica fattiva alla società.

La responsabilità è nelle scelte che si fanno. Per semplificare, anche nel pieno di un dramma, nel mezzo di una crisi, puoi alimentare una speranza, costruire una prospettiva positiva (che non vuol dire buonista) oppure puoi foraggiare disperazione, fallimento e catastrofe. Il boom di cui parli in realtà sta forse accadendo anche oggi, solo che rispetto ad allora è il cinema a farla da padrone, e probabilmente per ragioni economiche. Alcuni dei più grandi successi degli ultimi anni (pensiamo ad Avatar o a Inception) rientrano senza dubbio nel genere. La narrativa invece soffre di una crisi che forse non è solo della fantascienza, e che proviene dal declino del compito, del tempo, e del gusto, di leggere.