Il palazzo era stato dichiarato inagibile. Anche i topi e gli scarafaggi zampettavano piano per non far ballare i muri, o traslocavano. Stamberga, catapecchia o tugurio erano già belle parole per descrivere quell'edificio del centro storico di Roma, destinato ad ospitare un organismo supersegreto dello Stato. Talmente segreto che lo Stato non ne sapeva niente. L'unico informato era un sottosegretario passato indenne per P2, Gladio e Mani Pulite.

L'uomo giunse dinanzi al portone con un accompagnatore e indicò la colonnina dei campanelli: - Come vede, niente targhette ufficiali e cognomi normalissimi.

L'accompagnatore li lesse uno dopo l'altro: La Pisapia, Marrocolo, Corciulo, Libergolis, Williamson, Strologoff, Eminescu, Grüberschranz, Håldor.

- Rossi e Brambilla avrebbero insospettito - spiegò il sottosegretario. - Non siamo a Milano.

I due, fermi dinanzi al portone scrostato e cadente, sembravano le decorazioni più intonate a quel rudere, cariatidi. Il sottosegretario premette tutti i campanelli di seguito, i cui suoni formarono le note di Funiculì funiculà.

- E' una sequenza alfanumerica - comunicò all'accompagnatore. - Con un certo colore nazionale. Sennò ci dicono che copiamo sempre dagli americani.

Il battente si aprì e apparve un vecchio con berretto da usciere e grembiule da bidello. L'uniforme degli assunti con raccomandazione.

- 'Ngiorno - biascicò.

- Facci entrare.

- S'accomodasse, eccellenza. - Il vecchio aveva un largo sorriso e finestre ancora più larghe al posto dei denti che gli mancavano.

- Morgese è un fedelissimo - assicurò il sottosegretario. - Mi segue dalla prima campagna elettorale.

Dentro puzzava di cavoli.

- Cucina o fogna? - domandò l'accompagnatore, portando alla bocca un fazzoletto.

- Tanfo artificiale, ottenuto chimicamente. Per sviare ancora di più i sospetti.

Niente ascensore, e i due si avviarono su per la scalinata. L'usciere - bidello tornò in una guardiola, dove tremolavano le luci colorate di un televisore e si sentivano i grugniti di una videocassetta porno.

I due giunsero al primo piano e il sottosegretario condusse l'accompagnatore in un ufficio pieno di mobili rotti. Il tappeto sul pavimento era l'avanzo di un banchetto di tarme.

- Questo è il suo regno.

L'accompagnatore si guardò attorno, tirò su col naso, starnutì per la polvere e si avvicinò alla finestra dai vetri incrinati che si affacciavano sulla stradina.

- Avrei preferito una cella all'Asinara - disse. - Almeno lì ci sarebbe più atmosfera.

- Non dovrà venirci quasi mai - lo tranquillizzò il sottosegretario. - Il suo incarico consisterà essenzialmente in pubbliche relazioni. Giornali e TV, soprattutto TV. Costanzo, Vespa, Santoro. Vada dovunque la invitano e se non la invitano, li inviti ad invitarla: certi inviti non si rifiutano mai.

- Ma io pensavo che fosse segreto di Stato.

- Appunto. Lei dovrà limitarsi a negare tutto, ma non se stesso. Non ci si nega mai alla TV, sennò uno dove va di sera?

- E qui?

- Controlli che non funzioni mai niente, che non si faccia alcunché di neppure lontanamente utile. Vogliamo che questo sia davvero un ente inutile.

L'accompagnatore sbatté gli occhi, risentito: - Eccellenza, io per lo Stato ho diretto solo enti inutili. E mai, sottolineo mai, con risultati positivi. Altrimenti finiva l'emergenza e non vi votavano più.

- Già. Ma adesso c'è un'emergenza nell'emergenza. Peggio del terrorismo, peggio della mafia, peggio della Lega. E le forze dell'ordine non bastano. Io ho già perso la scorta.