Di primo acchito, sembra l’ennesimo clone di Alien. Ma non è così, almeno a leggere le prime recensioni che ne stanno accogliendo lo sbarco negli Stati Uniti, dove si è presentato al Sxsw Festival di Austin, Texas. Il film in questione si chiama Cargo ed è uscito nel corso del 2009. Trattasi di produzione svizzera, in lingua tedesca, con la regia di Ivan Engler (all’esordio in un lungometraggio, se si eccettua un corto fantasy del 2000 intitolato Nomina Domini) e di Ralph Etter (altro esordiente, a parte un corto drammatico dal titolo Wackelkontakt, uscito nel 2004).

Come si può vedere dal trailer sottotitolato riportato sotto, gran cura è stata riposta nella qualità dell’immagine e negli effetti speciali. A livello visivo il film nulla ha da invidiare ai più blasonati (e probabilmente finanziati) cugini hollywoodiani. La vera sorpresa arriva però dalla lettura della trama, che pone Cargo a metà strada fra un classico horror fantascientifico (su cui ci sono oltre trent’anni di materiale: da Alien al recente Pandorum, produzione tedesca) fino al filone dell’esistenzialismo spaziale, se così si può dire, almeno a maglie larghe (e qui si potrebbe fare rientrare Odissea nello spazio, ma anche il recente Moon). Insomma, nel film c’è il mostro ma ci sono anche le grandi domande sull’esistenza dell’uomo e sul senso del suo tribolare, ingigantite dalla cassa di risonanza infinita dello spazio.

Cargo racconta la storia di Laura Portmann, dottore che si imbarca in una missione di otto anni nello spazio profondo. Obiettivo del viaggio è portare materiali di costruzione alla Stazione 42, una delle tante piattaforme costruite in giro per la galassia al fine di ospitare la vita umana, visto che la Terra è ormai al capolinea. Non che la vita sulle colonie spaziali sia meglio, perché si ripropongono puntualmente problemi di inquinamento, malattie e criminalità. Durante il viaggio, l’equipaggio è ovviamente criogenizzato. Ma quando tocca a Laura svegliarsi e fare da custode solitario all’astronave, iniziano a succedere cose strane, per cui l’intero equipaggio dovrà essere risvegliato per indagare. Si scoprirà che c’è dietro una cospirazione, ma fermiamoci qui.

Cargo sembra avere qualcosa della distopia, vagamente riallacciandosi al duro futuro disegnato da Blade Runner. L’astronave-mondo su cui si muovono i protagonisti non è pulita, ordinata e luminosa come l’Enterprise, ma è anzi chiusa, sporca. I viaggi nello spazio non hanno nulla di affascinante, anzi sono lunghi e noiosi. E freddi. Proprio come in Blade Runner, l’astronave-città è indecifrabile, fatta di luci ma soprattutto di buio, di cunicoli labirintici, di forze misteriosi e ostili, che rimandano a una lotta quasi cosmica fra soggetti (le corporazioni) che tendono a controllare il destino dei singoli.

Cargo ha insomma tutti gli ingredienti per meritare una visita al cinema. Cosa che potrà presto fare chi abita negli Stati Uniti (anche se la distribuzione sarà con ogni probabilità limitata), ma paradossalmente, non chi abita a relativamente pochi chilometri dai posti in cui quel film è stato girato (Winterthur, Svizzera). Nessuna distribuzione all’orizzonte in Italia, come da programma. Accontentiamoci del trailer.