Dimentichiamoci - anche per un attimo solo - che questo film sia tratto da un libro di Anne Rice, pluripremiata autrice di Intervista col vampiro. La regina dei dannati si presenta come una contaminazione tra i temi cari al genere vampiresco e la mitologia pop che costituisce l'aura delle rockstar di ogni epoca.

Chi ha conosciuto il fenomeno dark e amato complessi come i Cure identifica facilmente tematiche e sensazioni che appartengono all'immaginario collettivo, alla cultura pop, alla musica hard. In questo senso nell'imprevedibilità di una storia pacchiana, ma originale La regina dei dannati è l'ennesima celebrazione sexy del mito vampiresco che ciclicamente torna nei cinema con qualche idea interessante come Intervista con il vampiro, Blade e Dal tramonto all'alba oppure funesta il pubblico con cialtronate di seconda mano come Dracula's Legacy, Vampires e L'ombra del vampiro. Belle donne e toni ambigui trasformano questo film in qualcosa di più di una variazione sul tema, rendendolo - piuttosto - una favola rock sul mito del vampiro, paradossalmente più vicino di tanti altri sia all'origine letteraria che agli archetipi cinematografici di Murnau. Un musical heavy metal o post grunge sull'eterna conflittualità gotica della bella e la bestia, del Gobbo di Notre Dame e del fantasma dell'opera.

Ricordiamoci, invece, adesso che questo libro è stato scritto da Anne Rice e che qualcuno si sarebbe atteso una trasposizione "colta" del testo. Il regista Michael Rymer, già autore dell'intenso dramma australiano Angel Baby, chiamando la scomparsa Aaliyah in un ruolo visibilmente sopra le righe, ha scelto di seguire una strada diversa rispetto alla letterarietà raffinata e drammatica del Neil Jordan di Intervista con il vampiro.

La regina dei dannati è quindi visibilmente un'operazione diversa, che rivolta ad un pubblico più giovanile punta ad enfatizzare gli aspetti erotici, etici e pop di una storia che - in maniera non troppo ardita - potrebbe essere considerata come una metafora paradossale dell'intero sistema dello spettacolo americano. Certo, è comprensibile restare imbarazzati dinanzi alcune lungaggini e rispetto certe cadute di tono dell'intera pellicola, ma è anche vero che La regina dei dannati è un film intrigante, fondato sul senso di appartenenza e sulla celebrazione della musica come modo di sfuggire alla noia. Il vampiro Lestat, in questo senso, rappresenta la contraddizione lacerante di un essere alla ricerca di qualcosa di più, stufo della contraddizione di dovere uccidere ciò che ama, in una tensione continua verso qualcosa di più. Non è forse questo il senso ultimo dell'essere un artista? Probabilmente sì, ma soprattutto è esattamente questo il senso di un film sui vampiri oggi. Sorprendere, divertirsi e scoprire che oltre al pop corn c'è qualcosa d'altro, mascherato in una contaminazione figlia della mitologia sincretica della generazione di MTV.