Era il 1955 quando Jack Finney riusciva a far pubblicare in romanzo il suo The Body Snatchers precedentemente uscito in puntate sulla rivista “Collier’s Magazine”. Molti l’hanno dimenticato, il grande pubblico lo ignora, ma è da questo folgorante racconto che l’anno successivo il regista Don Siegel trasse il cult-movie del decennio, L’invasione degli ultracorpi. Certo, senza questo film icona della fantascienza lo stesso Finney non avrebbe ottenuto la successiva celebrità e la possibilità di guadagnarsi da vivere attraverso la scrittura (avrebbe conseguito altri notevoli successi, tra i quali soprattutto Indietro nel tempo del 1970, riedito recentemente in Italia da Marcos y Marcos). Eppure, ricordarsi della vera origine di questo fortunato soggetto permetterebbe forse di evitare molti errori, soprattutto quelli dei remake che del romanzo di Finney e dell’atmosfera angosciante che pregna analogamente il film di Siegel sembrano voler fare a meno. Nel 1978 un’altra invasione degli ultracorpi venne diretta da Philip Kaufman, in Italia col titolo Terrore dallo spazio profondo (con un bel cast di attori tra i quali Donald Sutherland, Jeff Goldblum e Leonard Nimoy) ma ambientata a San Francisco piuttosto che nella piccola e anonima cittadina di Santa Mira, che tra l’altro nell’originale di Finney è in realtà Mill Valley, benché in successive edizioni del romanzo sarà spesso sostituita con il paese del film di Siegel. Nel 1993 uscì giustamente in sordina una terza invasione diretta da Abel Ferrara, tradotta da noi col pietoso titolo Ultracorpi – L’invasione continua e ambientata in una base militare, dove ai temi della paranoia verso l’altro e dell’anormalità della normalità si sostituiva qualche raffazzonata metafora esistenziale di un regista in cerca di riconoscimenti. Non contenta, Hollywood ha deciso di riprovarci ed è adesso nelle sale The Invasion (che ormai le case di distribuzione non hanno neanche più voluto tradurre), frutto di una lunga gestazione ma con un cast invidiabile.

In teoria, le carte in regola ci sono tutte: l’attore del momento, Daniel Craig, uscito fresco fresco dai successi di Munich e 007: Casino Royale, e l’intramontabile Nicole Kidman sono stati scelti per questo terzo remake affidato a sorpresa a Oliver Hirschbiegel, apprezzatissimo regista di La Caduta sugli ultimi giorni di Hitler. Eppure, che qualcosa non andasse si poteva capire già dal lungo periodo di produzione del film, interrotto più volte nel corso degli ultimi due anni a causa dell’insoddisfazione della produzione targata Warner. A quanto è dato sapere, il taglio troppo lento e intimistico di Hirschbiegel ha convinto Hollywood ad affidare 10 milioni di dollari alla collaudata coppia dei Wachowski Brothers (autori di Matrix, attualmente al lavoro con un film d’azione previsto per il 2008, Speed Racer) per modificare la sceneggiatura in modo da andare incontro ai gusti del grande pubblico e conferirle più azione. La regia di queste scene aggiuntive sarebbe stata affidata a James McTiegue, amico dei due fratelli con i quali ha già lavorato in V for Vendetta. Il risultato è chiaramente lontano dagli intenti iniziali e si allinea al filone ormai abusatissimo ma che non passa mai di moda delle invasioni in grande stile. The Invasion inizia infatti in maniera ben diversa rispetto all’invasione silenziosa che costituiva l’originalità del romanzo di Finney e del film di Siegel: uno space shuttle precipita misteriosamente sulla Terra e tra i rottami vengono ritrovati misteriosi granchi alieni, dal corpo molliccio all’interno dei quali si nasconde un insidioso virus. Tutti coloro che ne entrano in contatto vengono presto trasformati in zombie, in realtà copie prive di emozioni degli ospiti originali. Il contagio avviene durante la fase di sonno non REM, per cui il solo modo per evitarlo è non dormire: l’idea era già presente nell’originale, il remake non fa che approfondirla e inoltre sposta l’ambientazione da Santa Mira addirittura questa volta a Washington D.C., con buona pace degli strateghi alieni di Finney che avevano ben intuito la necessità di partire dal basso per compiere senza problemi il loro programma di sostituzioni, sfruttando l’ingenua semplicità del cittadino di provincia. Scelta scontata voluta da sceneggiatori decisi a non lesinare su scene di massa e interventi delle alte sfere (il protagonista è persino amico di un ambasciatore, altro che il dottore di paese di Santa Mira il cui unico appoggio a Washington è uno sconosciuto colonnello). Ma ciò che davvero stupisce è la semplicità con cui la minaccia aliena è infine sventata: si scopre infatti - il lettore non si scandalizzi se lo rileviamo, perché il vero colpo di scena è nella banalità della trovata - che il virus viene neutralizzato da onde sonore ad alta frequenza, per cui basta una televisione o una radio accese a tutto volume e il gioco è fatto. Qualcuno avrà senza dubbio notato che l’espediente è copiato quasi pari pari dal geniale e spassosissimo Mars Attacks! di Tim Burton; quel poco di originalità della trama va così a farsi friggere.