Capita, a volte, che una coincidenza possa trasformarsi in una bella antologia. La coincidenza è che due grandi scrittori di fantascienza sono nati nello stesso anno e in questo 2020 cade la ricorrenza del centenario dalla loro nascita. L’antologia è, invece, Bicentenario, il cui curatore Paolo Aresi ha voluto rendere omaggio a due grandi della science fiction quali sono Isaac Asimov e Ray Bradbury, chiedendo a ben 14 autori italiani di scrivere una storia ispirata alla narrativa dei due Maestri.

A raccogliere la sfida della pubblicazione è stata la Delos Digital, mentre quella di scrivere un racconto è stata affrontata da Emanuela Valentini, Dario Tonani, Alain Voudì, Davide Del Popolo Riolo, Alessandro Vietti, Franci Conforti, Maico Morellini, Francesco Troccoli, Lorenzo Crescentini, Nino Martino, Giulia Abbate, Luigi Calisi, Angela Clerici. Ma se non vi basta c’è anche una sorpresa: due autori americani, di cui lasciamo che parli Paolo Aresi, a cui abbiamo rivolto alcune domande su questo inusuale e interessante progetto editoriale.

Qual è stato il tuo primo incontro da lettore con Asimov e Bradbury? 

Asimov l’ho incontrato a sedici anni, un compagno di classe mi prestò Cronache della galassia e quindi Il crollo della galassia centrale e L’altra faccia della spirale, tre Oscar Mondadori, con copertina di Karel Thole. Oggi si parla di “Trilogia della Fondazione”. Era estate, in quel periodo dormivo da mia nonna a Bergamo perché mia madre era al suo paese, a Pompei. Mi entusiasmai al punto che dopo avere finito i tre libri andai dal libraio Tarantola e gli chiesi se c’erano altri romanzi di Asimov: lui mi passò Le correnti dello spazio. E poi lessi quasi tutto quello che c’era in commercio del buon dottore. Con Bradbury fu diverso. L’inverno successivo, un mio amico che oggi è un fisico brillante dell’università di Milano, mi disse che Cronache Marziane erano un capolavoro. Lo lessi e non ci trovai nulla di entusiasmante, mi sembrarono raccontini esili, a volte senza capo né coda, di un significato che mi sfuggiva. Gli chiesi, alla fine, che cosa ci avesse trovato di bello. Per un paio di anni, Bradbury uscì dal mio orizzonte. Avevo diciotto o diciannove anni quando ci riprovai: questa seconda volta, lo giudicai un capolavoro. Quel linguaggio poetico, quei nessi di logiche non sempre consequenziali sul piano della razionalità superficiale mi avevano rapito. Era un linguaggio altro, emotivo, e avevo la maturità per percepirlo. Cronache Marziane l’ho riletto altre due volte, con grande piacere.

Nella percezione comune, entrambi sono due icone della fantascienza, anche se Asimov è legato più al lato “scientifico” e Bradbury più a quello “letterario”. Ci sono, a tuo avviso, punti in comune tra la narrativa di Asimov e Bradbury e quali sono, invece, le differenze? 

Tutti e due hanno avuto delle grandi idee, sebbene sviluppate diversamente. L’idea della Fondazione, delle leggi dei robot, di Notturno sono grandi idee, sviluppate in maniera forte e coerente. Allo stesso modo penso a tanti racconti di Bradbury, da Il Veldt, a Pioggia senza fine, Il Pedone. Ma anche alla base delle storie di Cronache Marziane ci sono idee brillanti che pure vengono sviluppate con profondità e forza, ma più su un piano di relazione umana, di incanto di fronte alle idee, alle possibilità offerte dagli sviluppi fantascientifici, non tanto di elaborazione di avventura e di trame complesse e fortemente concatenate.

La narrativa breve è sempre stata un punto di forza della fantascienza, in generale, e non c’è dubbio che Asimov e Bradbury siano stati due cantori di questo tipo di narrativa. Quali sono, a tuo avviso, i loro racconti migliori? E perché? 

Ho già in parte risposto nella domanda precedente. I racconti migliori sono quelli che tutti abbiamo apprezzato, per Asimov penso al ciclo dei Robot, a Notturno, ma non dobbiamo dimenticare che lo stesso ciclo della Fondazione nasce da racconti, come accade, del resto, per Cronache Marziane di Bradbury. Anche in questo si somigliano. Idee brillanti che danno luogo a situazioni o a trame intriganti. C’era in quegli anni un rigoglio di invenzioni, secondo me perché esisteva un’apertura forte verso il futuro, verso un nuovo orizzonte. E c’era tanta speranza: uscivamo dalla Seconda guerra mondiale… La libera associazione delle idee veniva sospinta in maniera prepotente da un desiderio di giustizia e di progresso, per il bene di tutti. Poi questa spinta si è esaurita e la fantascienza è cambiata di conseguenza. Ma abbiamo tanto bisogno di ritornare a sognare e la fantascienza può aiutare. Penso all’impatto culturale del cinema di fantascienza. La letteratura è assai più di nicchia, ma è importante perché spesso spinge le altre arti, a partire dal cinema, ma penso anche ai giochi. Credo ci sia bisogno di uno scatto da parte della fantascienza, credo che debba tornare a fare sognare, se non vuole morire. Vedi, questo è il suo specifico: anticipare e dare un senso al futuro. Perlomeno provarci. Se noi scrittori di fantascienza ci limitiamo a dire quanto fa schifo la realtà e quanto farà ancora più schifo in futuro… be’ mi basta leggere i giornali”.

Com’è nata l’idea di un’antologia celebrativa su questi due giganti della fantascienza? 

Un giorno di gennaio, pensando all’anniversario di Asimov, celebrato da diversi giornali, mi sono reso conto improvvisamente che anche Ray Bradbury era nato nel 1920, sono andato a controllare e ho trovato la conferma: 22 agosto 1920. Una coincidenza che non avevo mai notato. Mi è sembrata eccezionale, significativa. Le due facce della migliore fantascienza, finora insuperata, erano sbocciate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra. Mi sono detto che bisognava sottolineare un fatto così particolare. Sì, ma come? Ho pensato a un omaggio da parte di alcuni dei migliori autori italiani di fantascienza, ne ho parlato con Silvio Sosio che si è dimostrato subito entusiasta. In un secondo momento ho pensato che sarebbe stato bello aggiungere altri due racconti, di due maestri dei nostri grandi autori. Gli epigoni e i maestri. E abbiamo scelto Edgar Allan Poe per Bradbury e Stanley G. Weinbaum per Asimov. Weinbaum l’ho tradotto di nuovo. È stato molto interessante entrare nei meccanismi della scrittura di questo grande autore, purtroppo morto troppo presto.

Cosa hai chiesto alle autrici e agli scrittori che hai coinvolto in questo progetto, al di là del fatto di scrivere un racconto ispirato alla narrativa di uno dei due scrittori americani? 

Non ho chiesto proprio niente, li ho lasciati liberi di ispirarsi senza condizioni ai due grandi. Soltanto abbiamo creato due squadre: asimoviani e bradburyani, sette e sette. C’era Alain Voudì che si era proposto per un racconto “crossover”, ma poi lo abbiamo schierato, per ragioni di equità, di “par condicio”. Qualcuno si è liberamente ispirato alle atmosfere di Asimov o Bradbury, come hanno fatto per esempio Emanuela Valentini e Angela Clerici, qualcun altro ha ripreso proprio delle vicende che si trovano nelle loro opere, come per esempio accade per Francesco Troccoli o Luigi Calisi. Penso che in ogni caso si tratti di racconti tutti interessanti.

  

Come ti dicevo, le atmosfere sono quelle. Abbiamo i robot, abbiamo gli psicostorici, abbiamo vicende che arrivano quasi come spin off dai romanzi. Abbiamo un racconto che ricorda certamente le Cronache Marziane, ma che riesce tuttavia a sorprendere… io penso che lo avrebbe potuto scrivere il miglior Bradbury.

Nell’antologia ci sono anche due storie di autori classici: Edgar Allan Poe e Stanley Weinbaum. Quali sono i racconti e perché hai voluto inserire anche questi due autori americani? 

Perché entrambi sono stati pubblicamente riconosciuti rispettivamente da Bradbury e Asimov come loro modelli ispiratori. Addirittura a Poe, Bradbury ha dedicato un racconto di Cronache Marziane, Usher II, il cui incipit è precisamente quello de La caduta della casa degli Usher, uno dei racconti più suggestivi di Poe. E di Weinbaum Asimov ha sempre parlato con grande ammirazione dicendo che i suoi racconti lo suggestionarono quando li lesse, da ragazzino. In particolare Un’odissea Marziana e Il Pianeta dei Parassiti. Noi proponiamo questo secondo.

Hai avuto la fortuna di incontrare e intervistare Ray Bradbury: ci racconti le circostanze di quest’incontro e l’emozione che hai provato nel conoscere uno dei grandi autori dell’Età d’oro della fantascienza americana? 

Sì, l’ho incontrato nel suo studio di Beverly Hills ai primi di gennaio del 1986. Andai a trovarlo insieme a Forry Ackerman e a Betti Filippini che mi aveva accompagnato a Los Angeles. Forry e Ray erano molto amici, dai tempi in cui erano nel fandom di Los Angeles. L’ufficio di Bradbury era un caos di libri messi da ogni parte, persino sull’unica poltrona, per arrivare alla sua scrivania si doveva fare lo slalom tra le pile di volumi. Lui era sorridente, accogliente. La sua scrivania era popolata di pupazzetti con personaggi della fantascienza, da Robby, il robot di Il pianeta proibito, ai personaggi di Star Wars. In quel tempo lui era consulente della Disney per i parchi giochi. Facemmo una lunga chiacchierata, lui tolse i libri dalla poltrona e mi fece sedere, poi mi si mise accanto e si fece fotografare con me. L’intervista la pubblicammo su Tuttolibri de La Stampa e su Bresciaoggi. Ma anche su Dimensione Cosmica di Solfanelli. Lo intervistai altre due volte, una per telefono e un’altra in video conferenza. Sempre bello parlare con lui. Quel giorno mi confessò che i circhi gli avevano sempre messo tristezza e che fin da bambino aveva provato un senso di grande compassione per coloro che vi lavorano e che per questo aveva scritto Il popolo dell’autunno. Mi disse che il mondo aveva soltanto una chance per non precipitare: la consapevolezza che viene dalla cultura, dal senso profondo del mondo. Mi disse che era preoccupato perché invece gli sembrava che il mondo andasse nella direzione opposta, della mancanza di consapevolezza, della estrema superficialità. Mi disse che la cultura, i libri, li si poteva eliminare non soltanto bruciandoli, ma anche svuotandoli, anche evitando che la gente vi si rivolgesse. Attraverso il rimbambimento televisivo, per esempio, o attraverso le mode, o un certo tipo di fruizione di Internet.”

Quale romanzo di Asimov e di Bradbury consiglieresti per cominciare a leggere questi due grandi scrittori di fantascienza? 

Il capolavoro di Bradbury è senz’altro Cronache Marziane, ma non è adatto a tutte le sensibilità. Fahrenheit 451 invece è proprio adatto a tutti. E poi ci sono i racconti raccolti nei volumi Paese d’ottobre e Le auree mele del sole. Per Asimov… io ho apprezzato molto la serie della Fondazione e il romanzo Neanche gli dei. E i racconti della prima raccolta dei robot, I Robot oltre a quelli raccolti nell’antologia in due volumi Oscar Mondadori Il meglio di Asimov.