Quando Lowell dormiva, mi calmavo giocherellando con i suoi capelli. Mi piaceva prenderne una ciocca fra due dita a forbice e carezzare col pollice la parte tagliata. Lowell aveva lo stesso taglio di Luke Skywalker, ma il colore era quello di Ian Solo. Ovviamente all’epoca non avevo visto il film. Ero troppo giovane e poi Fern non poteva andare al cinema. Ma avevamo le figurine. Conoscevo i capelli.

E Lowell, che lo aveva visto più volte, ce lo aveva recitato. Mi piaceva soprattutto Luke Skywalker. Sono Luke Skywalker. Sono qui per salvarvi. Ma Fern, che era di gusti più sofisticati, preferiva Ian. Entra dentro montagna pelosa! Non importa se poi puzzi.

I bambini non sopportano le ingiustizie. Quando infine vidi Guerre stellari, l’intero film fu rovinato dal fatto che Luke e Ian alla fine ricevevano una medaglia, e Chewbecca no. Lowell aveva cambiato questa parte nella sua versione, così fu un vero e proprio shock.

Chi pensa che la fantascienza parli di invasioni aliene, battaglie nello spazio, tecnologie futuristiche, sarà sorpreso di trovare, tra i candidati al premio Nebula nel 2014, un romanzo di Karen Joy Fowler dal curioso titolo. In effetti nell'edizione italiana di Siamo tutti completamente fuori di noi, curata da Ponte alle Grazie, la parola «fantascienza» non compare né sulla copertina né nella Presentazione.

E forse è giusto così, perché mai come in questo caso la parola italiana coniata da Giorgio Monicelli (a cui comunque siamo affezionati) ci appare inadeguata: è l'inglese science fiction a descrivere meglio il genere di questo romanzo: non un romanzo di scienza fantastica ma un romanzo scientifico di finzione.

Tutte le recensioni mettono in guardia sull'impossibilità di raccontarne la trama senza sciuparne la lettura, e io non correrò certo questo rischio.

Dirò solo che la vicenda ruota intorno a una ricerca scientifica, dove le scienze coinvolte non sono quelle tradizionali della SF ma la psicologia, l'antropologia, la linguistica. Ma sopratutto è la storia di una ragazza di nome Rosmary che fin dalle prime pagine ci si presenta come un po' strana, vagamente fuori fuoco, reticente, finché non è pronta a una rivelazione inaspettata che rimetterà ogni cosa a posto, dando un senso alla stranezza della narrazione.

Rileggendo i racconti iniziali di Rosmary alla luce di questa rivelazione, le sue opinioni e le sue azioni diventano comprensibili e di lì in poi quella che sembrava una normale storia di una famiglia andata in pezzi prima per la scomparsa di una figlia (Fern, la gemella di Rosmary) e poi per la fuga di un figlio, Lowell, diventa qualcos'altro.

O forse no. Perché in effetti il romanzo parla proprio di questo: di una famiglia in pezzi, di una figlia che tenta tenacemente di rifarsi una vita, integrarsi con i suoi coetanei, nascondere la sua alterità.

Siamo tutti completamente fuori di noi è anche un romanzo sulla memoria, non in senso proustiano di memoria ritrovata, ma su come costantemente la manipoliamo e falsifichiamo (più o meno consapevolmente) per dare forma alla nostra identità.

Rosmary è una narratrice inaffidabile: è una bugiarda, tende a spostare l'attenzione sugli aspetti della storia che testimoniano a suo favore, muovendosi avanti e indietro sulla linea temporale per costruire la biografia che più le conviene; è facile all'autoindulgenza, e dal momento che mette in atto le sue tecniche diversive con i personaggi che la circondano, il lettore è legittimato a dubitare della stessa storia che gli viene raccontata.

A sottrarre questa bizzarra protagonista alle antipatie del lettore è la costante ironia che alleggerisce i suoi giudizi e salva il romanzo dal rischio di moralismo: che senza dubbio in parte c'è, e trapela soprattutto negli ultimi tre capitoli che fanno da epilogo al romanzo.

Anche se la linea temporale del 1996, gli anni universitari della protagonista, risultano un po' stereotipati nella pretesa di sovrapporre la vicenda individuale con la storia recente degli USA, quello in cui Siamo tutti completamente fuori di noi riesce a convincere è la rappresentazione della famiglia: una famiglia che nella percezione della protagonista è decisamente sui generis e votata al fallimento, ma che tutto sommato si rivela non così diversa da ogni altra famiglia.

Questa attenzione all'individuo, alla famiglia, alle relazioni interpersonali è un dato interessante della fantascienza contemporanea che, pur non mettendo da parte gli interrogativi sugli sviluppi scientifici e tecnologici, non dimentica l'impatto che questi sviluppi hanno su di noi; un impatto forse in grado di cambiare le nostre vite, ma al tempo stesso rivelare quanto di radicato e immutabile c'è nell'essere umano.