È uscito per Delos Digital Il lastrico del tempo, terzo romanzo del ciclo dell’Ufficio Centrale Cronotemporale Italiano (UCCI) di Lanfranco Fabriani. Tornano il vicedirettore del servizio segreto Giampiero Mariani, l’agente Marina Savoldi, il direttore, detto anche il Vecchio, e la sua segretaria la signorina Alfonsi.

L'UCCI ha un compito molto delicato: salvaguardare l'integrità della storia italiana, tornando indietro nel tempo grazie alla Macchina di Leonardo, una macchina del tempo i cui principi si ispirano ad un’opera di Leonardo Da Vinci.

Il ciclo è composto da tre romanzi. Oltre al già citato Il lastrico del tempo, ci sono Lungo i vicoli del tempo e Nelle nebbie del tempo, rispettivamente Premio Urania nel 2001 e nel 2004 e ora riproposti in ebook e cartaceo da Delos Digital. Al ciclo appartengono anche altri quattro racconti, i primi due dei quali potete leggere nell’antologia I quadrivi del tempo e dello spazio (Delos Digital).

A Fabriani abbiamo chiesto di parlarci di questo nuovo suo lavoro.

Partiamo dalla premessa dei tuoi romanzi: Leonardo da Vinci scopre il principio del viaggio temporale, ma non potendolo realizzare concretamente, lo descrive in un fantomatico libro, il Codice d’Aquitania, che poi diventa il testo base per creare una vera e propria macchina del tempo. Come mai la scelta di imputare la scoperta del viaggio nel tempo a Leonardo? 

Dovendo scrivere un romanzo di fantascienza italiana, mi piaceva l’idea di forzare su questa “italianità”, e visto che Leonardo si è occupato di quasi tutto, dalle pompe allo scafandro da palombaro ai carri armati e agli elicotteri, chi se non lui? Ovviamente si tratta di un gioco da condividere con il lettore.

In ogni romanzo c'è sempre un personaggio storico che in qualche modo entra nella trama: Boccaccio in Lungo i vicoli del tempo, Cristoforo Colombo in Nelle nebbie del tempo e in questo tuo ultimo romanzo c'è Machiavelli. Qual è il senso di queste presenze e perché ne Il lastrico del tempo la scelta è caduta sull’autore de Il Principe

Se parliamo di viaggi nel tempo, e sono tutti viaggi nel tempo passato, è ovvio che bisogni in qualche modo mettere in scena dei personaggi di una certa notorietà. Tutto sommato nell’ultimo più che nei primi due, dove i personaggi sono a malapena intravisti nella folla. La presenza di Boccaccio è quasi incidentale, più che altro una contro trama, quella di Colombo è un po’ più significativa, visto che il tentativo degli antagonisti è proprio quello di non far scoprire l’America. Per quanto riguarda Machiavelli, beh, viene continuativamente citato da uno dei protagonisti che si considera un suo discepolo, il suo spettro è presente in ognuno dei romanzi del ciclo, in quest’ultimo mi piaceva dargli una parte di un certo rilievo, proprio in ragione del fatto che fa parte del passato di uno dei protagonisti.

Parliamo dell’atmosfera del romanzo. C’è una macchina del tempo e relativi viaggi, quindi siamo nel pieno della fantascienza, ma c’è anche un servizio segreto e quindi un tipico “strumento letterario” del genere spy-story, ma ci sono sempre anche delle indagini vere e proprie che richiamano il giallo classico. Come dovremmo definire Il lastrico del tempo e i romanzi che l’hanno preceduto? 

Probabilmente un gioco tra i generi, mi è sempre piaciuto entrare e uscire dai generi. I rapporti sono differenti tra un romanzo e l’altro. L’ho detto più volte, Lungo i vicoli è più strettamente un giallo classico, ed è un omaggio sputato alla coppia Nero Wolfe e Archie Goodwin. C’è un protagonista che non esce mai dal proprio ufficio e il galoppino che va in giro a scovare prove e rovesciare sassi. L’ultima scena, con tutti i personaggi convocati nella stanza del Direttore è la classica scena finale dei romanzi di Stout. In Le Nebbie ho cavalcato maggiormente il romanzo di spionaggio e qui l’omaggio è direttamente a Le Carrè e Len Deighton. In effetti, pensandoci dopo il primo romanzo, il modello per la figura del Vecchio è sempre stata quella di Sir Alec Guinnes in George Smiley, persino quando è stato piegato a interpretare Nero Wolfe. Il terzo romanzo continua sempre sullo spionaggio, questa volta in modo forse più attuale, visto che i nemici sono contemporanei e non passati. Però c’è da tener presente che, a parte i grandi scenari, poi tutto si riduce a dei pasticci che gli uomini dell’Ufficio Centrale Cronotemporale hanno creato loro stessi.

Senza spoilerare, come si suol dire, ma cosa dobbiamo aspettarci da Il lastrico del tempo in termini di storia? 

Un divertimento per il lettore, spero come sempre. Una sarabanda di movimenti temporali nel corso dei quali i personaggi principali inseguono i propri personali fini, non completamente coincidenti.

In questo romanzo Mariani, il vicedirettore dell’UCCI protagonista del romanzo, sembra più cinico rispetto alle prime storie: non guarda in faccia a nessuno, se ritiene che qualcuno stia compromettendo la sicurezza del servizio segreto di cui è uno dei massimi dirigenti. Quanto è cambiato? 

Mariani? Molto poco. Sin dall’inizio è una persona pericolosa, sottovalutato da alcuni degli altri personaggi e soprattutto dai lettori. Nella mia testa Mariani ha la pericolosità del burocrate, è grigio, non appariscente, ma se qualcuno gli attraversa la carriera, può diventare letale come un cobra.

Non spolieriamo troppo, ma penso che possiamo dire che in questo romanzo il rapporto tra Giampietro Mariani, il protagonista della saga, e i due principali personaggi secondari, Marina Savoldi e il Vecchio, sono mutati enormemente… Cosa ci puoi dire a tal proposito? 

Non sono realmente sicuro che Mariani sia il protagonista della saga. Nel primo romanzo sì, Marina Savoldi era quasi incidentale, mi serviva unicamente come “l’altra” in un triangolo amoroso per mettere in rilievo la spregevolezza di Mariani, e un po’ come l’agente menefreghista che fa il suo lavoro ma si gira dall’altra parte se qualcuno sgraffigna i fondi. Nel secondo romanzo la mia intenzione era che Marina diventasse un protagonista a tutti gli effetti, persino più di Mariani. Ancora scrivendo il primo romanzo mi ero accorto che lei sgomitava per una parte maggiore, cercava di rubare le battute e la scena al collega. Lei non è irresoluta come lui, e non prende ogni decisione dopo aver studiato se e quanto questo metterà a rischio la propria carriera. Il terzo romanzo è un po’ differente. Certo, non sono passati i venti anni che sono passati nella realtà tra il primo e l’ultimo, ma la conclusione della striscia non arriva certo dopo qualche mese dallo sviluppo del secondo. Savoldi è un po’ invecchiata, come Mariani d’altronde, ed è meno disposta a tollerare situazioni che conosce bene. Sa di essere migliore del collega, ma sa che nessuno le affiderà mai l’UCCI. Soprattutto non è disposta a sentirselo dire in faccia. Se non fosse che comunque crede nel proprio lavoro, anche se con una vena di profondo cinismo, forse arriverebbe a lasciar combinare a Mariani un disastro, pur di toglierselo da mezzo. E comunque nelle ultime pagine si scopre un personaggio nuovo, o meglio, si scopre il nuovo ruolo di un personaggio conosciuto dalla prima pagina del ciclo.

Come sempre l’UCCI è pervaso da lotte interne, colpi bassi per fare carriera, dossier con scottanti verità: la cosa che mi intriga di più dei tuoi romanzi è che questo servizio segreto è tipicamente italiano, con tutto ciò che questo implica. Perché hai fatto questa scelta e non magari prendere una via più facile e descrivere un servizio segreto con una connotazione più internazionale o comunque più asettica? 

Beh, tutto è nella mia storia personale. Quando io ho cominciato a scrivere fantascienza ancora c’erano i contrasti tra fantascienza americana e fantascienza italiana, il disco volante a Lucca, quelle cose lì: “È inutile che vi illudete, gli americani la fantascienza la scrivono meglio”. A parer mio, ma anche di altri autori dell’epoca, il modo migliore per affermare la propria esistenza di fronte alla fantascienza americana era proprio lo spingere sulla specificità italiana di ciò che si andava scrivendo, accentuandola, nel bene ma anche nel male, visto che vi sono state a volte scelte sbagliate e difetti di impostazione che a distanza di cinquanta anni si vedono. In questo senso, volevo ottenere l’irripetibilità della storia in un altro contesto. Il Ciclo dell’UCCI è un ciclo italiano. Se lo scrivesse un autore americano non potrebbe non scriverlo in modo differente. In ogni modo, non trovi anche tu che se il servizio segreto italiano fosse stato più neutro, più asettico, forse sarebbe mancata la risposta del pubblico? “Sì, carino, ma tutto sommato un americano avrebbe potuto scriverlo meglio”. Il bello è che comunque parte dell’impostazione di partenza, viene dal Circus di Le Carrè e dalla branca dei servizi segreti che troviamo nel romanzo di Len Deighton La pratica Ipcress”.

Questa è una domanda che ti hanno già posto mille volte, ma non resisto nel chiederti la tua reazione alla messa in onda della serie TV spagnola El ministerio del tiempo (Il ministero del tempo in italiano), che ricalca molto la tua saga. Ricordiamo – a scanso di equivoci – che i primi due tuoi romanzi sono stati pubblicati nel 2001 e nel 2004, mentre la serie TV è del 2015… 

Direi che l’unica cosa in comune che hanno i miei romanzi e la serie televisiva è che sono il prodotto di due culture latine e per un certo verso imparentate. Un americano avrebbe scritto della CIA o della NSA e avrebbe scritto storie sulla storia americana e ne avrebbe scritto in un certo modo, e sarebbe uscita fuori la serie televisiva Timeless. Noi che veniamo da mondi simili, abbiamo scritto delle storie che sono abbastanza simili come ispirazione. Confesso di non aver ancora visto El ministerio perché visto che il ciclo dell’UCCI era ancora in itinere, e secondo me la narrativa è soprattutto un gioco con elementi presi qui e lì, volevo evitare di ritrovarmi a giocare, anche inconsapevolmente, con elementi altrui ben identificabili.

Ci saranno altre avventure di Mariani, Savoldi e dell’UCCI? 

Sì, penso di sì. In realtà in mezzo ad altri progetti c’è anche un abbozzo di una loro storia. Ma non penso che si tratterà più di un romanzo, e ringrazio che con gli ebook anche i racconti e i romanzi brevi abbiano assunto una maggiore importanza sul mercato, con una loro autonomia, una copertina. Quindi probabilmente ci saranno altre storie ma, come per la trilogia appena conclusa, io ho bisogno che i rapporti tra i personaggi possano cambiare, perché altrimenti mi annoio e quindi, a meno che non si tratti di un raccontino estemporaneo, ho bisogno di immaginare un momento prima o dopo rispetto ai tre romanzi.

Se i romanzi dovessero diventare un film o una serie TV, cosa che ti auguriamo, quali sarebbero gli attori a cui affideresti i ruoli di Mariani, Savoldi e del Vecchio? Facciamo un doppio cast, attori viventi e non più sulla scena… 

Uhhmm, intendi dire una serie basata sui viaggi nel tempo con degli attori ripescati con una macchina del tempo? Be’, per il passato, sicuramente come ho detto si tratterebbe di Sir Alec Guinness per il Vecchio e Michael Caine per Mariani, Marina Savoldi non potrebbe essere altro che Vanessa Redgrave, ma non dimenticare La Vergine di Norimberga, non fare mai l’errore di dimenticarla, che sicuramente sarebbe Lois Maxwell. Per i moderni dipende dal budget, quanto mi dai? Con un alto budget probabilmente il Vecchio sarebbe John Malcovich, Mariani proprio non so, ma Marina Savoldi sarebbe sicuramente Kate Beckinsale, anche se vedrei molto bene nella parte Luisa Ranieri, e per quanto riguarda la Vergine di Norimberga, Helen Mirren non dovrebbe neppure passare dal trucco. Ma siamo in Italia e lo chiedi a quello che scrive le storie dell’UCCI. Sospetto quindi che alla fine si tratterebbe di René Ferretti, Stanis La Rochelle e Corinna Negri “La Cagna”.

Come giudichi l'attuale fase che vive la fantascienza italiana? Personalmente sono convinto, come ha scritto Silvio Sosio in appendice all'antologia Strani Mondi della Mondadori, che stiamo vivendo un momento molto vivace, una nuova “Età dell'oro”: ci sono case editrici molto attive; autori che stanno emergendo con storie molto interessanti; penso, in particolare, anche alle scrittrici che sono salite come quantità, ma che stanno anche apportando tanta qualità nella science fiction di casa nostra. 

Hai ragione, per quanto riguarda la fantascienza italiana, forse più che di una nuova “Età dell’oro”, potremmo parlare di una età dell’oro. Ci sono case editrici valide, che fanno selezione e spronano a fare sempre di meglio. Il digitale poi ha aperto molto il mercato e questo da spazio agli autori per nascere e crescere. Spesso, purtroppo, in passato si è assistito alla sorte di autori, uomini e donne, che nascevano sulle fanzine, scrivevano cose molto valide, e morivano sulle fanzine, noti a trecento appassionati e magari persino addetti ai lavori, ma senza riuscire a uscire di lì e ad entrare in contatto con un vero e proprio pubblico, cosa che affina l’autore stesso, che si rende conto che c’è qualcuno dall’altra parte del proprio atto di comunicazione. Adesso, se qualcuno ha voglia di sfondare, è in una situazione in cui può riuscirci. E questo sicuramente ha avvantaggiato molto anche le donne, da cui stanno venendo storie e punti di vista estremamente interessanti.