Quando ci fummo tolti la tuta Braddy mi venne vicino e mi batté una mano sulle spalle. — Mi piace lavorare con te — disse sfiorandomi appena con lo sguardo. Le sue dita avevano più coraggio dei suoi occhi.Feci cenno di sì, senza sapere bene cosa rispondere. Forse perché lui era debole e non si curava di nasconderlo e io invece lo ero ancora di più ma cercavo di mascherarmi, non so. Fatto sta che annuii e me ne andai, e poi mi sentii strano. Incompiuto è la parola, se capite cosa intendo.— Tutto bene? — chiese Jones appena mi vide entrare. Stava giocando col computer di bordo e perdeva, né più né meno del solito.

— Un incanto — risposi con ancora negli occhi la cascata di stelle.

Jones si voltò a fissarmi e sorrise come se lo avessi detto a lei. Io feci finta di niente e mi chiusi nella mia cabina a pensare.

Anche i pensieri sono qualcosa di vivo, una specie di fluido vitale. E nello spazio somigliano alla luna… chi come me ha vissuto per anni sulla Terra dovrebbe capirlo. Voi sulla Terra alzate gli occhi e cosa vedete? La luna, sissignori, l’occhio d’argento che parla di tutto e niente, ogni cosa viva che si agita nell’animo umano… come i pensieri, ma certo! I pensieri che si accendono nel vuoto e volano chissà dove, tra i silenzi delle stelle come in un mare di Niente. La Luna e i pensieri, la stessa cosa, e voi laggiù con il naso per aria, e tanti desideri dentro di voi che un diario solo per elencarli tutti non basterebbe.

Jones non è solo una donna. Voglio dire, una donna che fosse una donna e basta non sarebbe mai venuta quassù di sua iniziativa, dico bene? Quindi c’è dell’altro in lei, dietro quelle tette e quella voce di gallina.

Le donne spaziali, chissà perché, mi hanno sempre insospettito. Lo spazio è una cosa seria, che diavolo, mica è il regno della moda e nemmeno del letto, sebbene a volte, di questo, si senta davvero la mancanza.

In Jones e in quelle come lei deve esistere una componente materna tutta particolare, se capite cosa voglio dire. Tutte le donne sono un po’ madri, si sa, ma nello spazio è diverso. Noi, nello Spazio, non siamo nulla, virgole di Niente, un seme di arancio sputato, ecco cosa, e allora come si può essere madri di questo Niente?

Forse è tutto un imbroglio, e la mia mente si è perduta in una delle tante morti nella vasca ibernante, chissà. Ma le donne spaziali hanno qualcosa che le rende diverse, complicate. Sono donne, capite, ma anche un po’ uomini… oh, al diavolo, un po’ l’una e un po’ l’altro. Per forza devono esserlo, altrimenti non ce la farebbero, è chiaro, lo spazio è un padre severo e freddo che non fa prigionieri, e se Jones non avesse le tette che ha, non mi sarebbe difficile pensare a lei come a un uomo.

In fondo, penso, la chiamiamo Jones proprio per questo. Non si è mai sentito di una donna chiamata Jones… Jones e basta, voglio dire. La verità è che nessuno di noi conosce il suo nome, ma se è per questo nessuno conosce il nome di nessuno, qui a bordo. Non è una cosa importante, il nome. Immagino che un tempo lo fosse, senza dubbio, ma nessuno ha più il tempo e la forza di preoccuparsene.

Cercate di capire: se davvero a qualcuno importa del suo nome, perché magari è proprio bello e suona bene, allora è meglio che se ne resti a Terra, dove può continuare a credere di essere quello che dicono i suoi documenti – nome e cognome e indirizzo, eccetera eccetera; di essere sé stesso e nessun altro, un individuo unico e ben distinto che ama e soffre e pensa, che in una parola vive…

Ma nello spazio i nomi non servono. Voglio dire, nello spazio non sono i nomi a dare un’identità alle persone. Chiedetelo a chiunque. Semmai è la solitudine di cui parlavo prima.