Mangiammo e bevemmo e alla fine i nostri occhi dissero: — Ora va meglio.Restammo silenziosi a fumare guardando il fumo spegnersi nei ventilatori, e tutto sapeva di festa e allegria.
— Bene — disse Taylor alla fine, studiando il filtro della sua sigaretta. — Adesso che ci siamo rifatti del tempo perduto, dovremmo dare un’occhiata ai programmi di bordo. Se la Mamma ci ha svegliati dev’esserci del lavoro per noi, da queste parti. Che dici, Braddy?
— Ho dato un’occhiata ma non mi pare ci sia un granché. Abbiamo uno shopping tra le stelle per il recupero di un satellite in tilt e poi, visto che ci troviamo nel suo settore di influenza, abbiamo un carico di duraxite su Magellano 7. Una vera pacchia. — Rise come un cavallo, rivoltando le labbra e mostrando i denti.
— Va bene — fece Taylor strizzando l’occhio a tutti quanti. — Mezz’ora di pausa e poi si comincia. Vediamo di sbrigarcela alla svelta… ho un sogno interrotto che mi aspetta, là dentro. — Indicò alle sue spalle, la sala con le vasche ibernanti.
— Uno solo? — volle sapere Jones, aggiustandosi i capelli. Io mi misi a ridere. Non per via della domanda o dei suoi capelli, no, ma per la sua voce di gallina. Aveva detto uno solo come coccodè… proprio come una gallina, ecco, una gallina con le tette e una voglia che non finisce più. Risi di nuovo.
Jones mi guardò e sorrise. Sapeva dei miei gusti in fatto di donne, ma non aveva ancora gettato la spugna… si dormiva così tanto su quell’astronave che forse, una volta, avrei anche potuto addormentarmi accanto a lei.
— Accidenti, un sogno è sempre meglio di niente — esclamò Taylor che, al solito, amava prendere tutto sul serio. Per questo lo avevano fatto capitano.
— Ma se il sogno è un sogno di niente… — dissi piano come se temessi di farmi sentire.
Nessuno aprì bocca, così Taylor concluse: — Siamo d’accordo, allora. Tra mezz’ora vi voglio tutti in quadrato. Magellano 7 ci aspetta.
Magellano 7 ci aspetta, pensai alzandomi. L’idea che qualcuno ci stesse aspettando, proprio noi che eravamo viaggiatori del Nulla e di Nulla, mi affascinava. Chissà come se la passano laggiù, a invecchiare tutti i giorni?
Se c’è una zona in tutta l’astronave in cui uno si sente veramente solo, questa è la camera di decompressione. Sapete cosa intendo quando dico solitudine. Parlo della solitudine che è dentro di noi e che c’è sempre, ma che a volte si riesce a nascondere e a ignorare: nella camera di decompressione lei viene a galla come un liquido denso che imprigiona i sensi, lo stomaco si stringe e i polmoni si svuotano più velocemente e il vetro del casco si appanna dello spirito e il tempo si ferma, lei c’è e niente può mandarla via.
Non che la solitudine sia cattiva, ma è come arriva tutta ad un tratto, che fa male. Per forza di cose fa male. La vita nello spazio è come una bugia di Pinocchio, il naso lungo così e tutto il resto, ma la solitudine no. Lei è reale ed è buona, fa parte di noi, e se non esistesse nient’altro potrebbe esistere, tutto sarebbe inutile: viaggiare, esplorare, ricordare, sarebbe solo un gioco imbecille che non varrebbe la pena di vivere e morire.
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