Grindhouse è un omaggio al cinema di genere anni 70, quando in America con un solo biglietto si potevano vedere due film horror o action all’interno della suggestiva cornice di un drive-in, o in quella nostalgica di una matinèe.

Quentin Tarantino è attualmente il regista meglio qualificato per un’impresa del genere, seguito a ruota dal socio Robert Rodriguez, già famoso per la trasposizione cinematografica della sceneggiatura di Tarantino Dal Tramonto all’Alba, e per numerose altre pellicole d’azione incentrate su pistoleri spettacolari e cattivi da manuale.

Inizialmente Grindhouse prevedeva due episodi girati da Tarantino e da Rodriguez, tenuti insieme da una serie di trailers realizzati da Eli Roth, Edgar Wright e Rob Zombie. Ed è così che è uscito nelle sale in America e in Francia.

In Italia è attualmente sugli schermi la versione ritoccata del solo episodio di Tarantino Death Proof, spurgato dei trailers, già da tempo visionabili in rete e del complementare segmento di Rodriguez, Planet Terror. L’unica aggiunta sostanziosa alla versione italiana è la lap-dance di Vanessa Ferlito a beneficio di stuntman Mike, che nella versione originale era finita nella parte di pellicola persa o spezzata, che compare di tanto in tanto all’interno della proiezione del film, a memento indelebile dei pomeriggi passati a vedere vecchie copie sgangherate di film che perdevano parte dei loro fotogrammi nel corso delle successive proiezioni.

Planet Terror è un truculento omaggio ai film di zombi senza troppe spiegazioni, con un occhio alle cospirazioni familiari e/o governative, che si svolge senza nessun calo di tensione tra esplosioni, pistolettate e macellamenti intervallati da gag comiche, recitate con divertita complicità dallo stesso Tarantino. Spicca tra i camei di cui è zeppo l’intero film quello di Bruce Willis che fa quello che fa sempre, e Tom Savini che finisce subito tra la schiera degli zombi. La parte più innovativa è rappresentata da una pistolera bionica, che spara agli zombi da un M16 innestato a mò di protesi nella gamba. Si tratta di un assoluto omaggio al b-movie, che attraverso la sua scoppiettante rappresentazione ci porta indietro nel tempo senza mai annoiare. Va comunque tenuto presente il talento del regista in materia di action che ci regala una sarabanda di eccessi da far impallidire i maestri del genere del tempo passato.

I trailer presenti all’interno della versione americana sono dei piccoli gioielli di pochi secondi tra cui spicca quello più cafone di Rob Zombie Werewolf Women in the SS, con Nicolas Cage nella parte di Fu Manchu e l’inossidabile Udo Kier in quella dello scienziato pazzo. Il trailer di Eli Roth ha un’aria da satira del costume americano che rende preoccupante la sorte del tacchino del ringraziamento, mentre Don’t, il trailer di Edgar Wright, regista del piccolo cult Shaun of the Dead, uscito da noi col titolo L’alba dei Morti dementi, è molto minimale ma assai efficace nel prendere in giro i canoni del genere.

Death Proof del compiaciuto Tarantino che un po’ si filma addosso e un po’ammicca al genere regalandoci la resurrezione di Iena Plissken, un Kurt Russel mai così stropicciato e cattivo è senz’altro il punto di forza del film. Un road movie con tutti i crismi che è stato girato senza l’ausilio di computer grafica ma con veri stuntman, una fra tutti Zoe Bell controfigura di Uma Thurman in Kill Bill. Gli inseguimenti e le botte che i protagonisti si scambiano hanno un bel po’ del gusto retrò dei truculenti film anni 70, mentre l’ossessione di Tarantino per i piedi delle sue protagoniste richiama senza pietà i bruschi movimenti di camera a mano degli albori del cinema d’azione. La versione americana risulta meno snervante di quella italiana infarcita fino alla noia dei famosi dialoghi di Tarantino che originali lo sono pure ma che risultano un po’ troppo noiosi messi così palesemente là ad allungare la scena. Così come era stato originariamente concepito, Death Proof è scattante e serrato come si deve, e le striature della pellicola messe ad arte così come gli sbalzi nell’esposizione della luce, rendono il tutto datato e volgare come ci si aspetterebbe da un film di genere dell’epoca. Il cameo di Eli Roth, che interpreta la parte di uno sfigato che tenta di portarsi a letto una delle belle ragazze che finiranno male nella più suggestiva delle scene di incidenti frontali dell’ultimo decennio, è sotto tono rispetto a quelli dei suoi colleghi, ma pur sempre simpatico. Kurt Russell è per la prima volta interamente cattivo, e il suo ghigno fisso e demenziale è quanto mai azzeccato nel contesto del personaggio. Le ragazze sono tutte spettacolari e bellissime, in un tripudio di gambe, sederi e piedi, e il solo fatto di vederle tampinate da un tal mostro di cattiveria fa male al cuore. La parte finale, con tanto di inseguimento e cazzotti da manuale, rende omaggio al rape and revenge assai di moda nei lontani anni 70.

Sicuramente Tarantino e soci hanno raggiunto l’obiettivo dichiarato e gli amanti e i nostalgici del genere troveranno pane per i loro denti. Un po’ meno contenta appare certa critica che cerca a tutti i costi il capolavoro, anche dove impossibile, non essendo nessuno dei modelli neanche lontanamente ascrivibile a tale categoria.