Quando le radici: Massimo Del Pizzo

Nato in Abruzzo nel 1954 (risiede a Francavilla al Mare, presso Pescara), Massimo Del Pizzo è probabilmente un nome noto a una cerchia ristretta di appassionati della fantascienza, eppure la sua bibliografia di narrativa e di saggistica nel settore comprende ormai numerosi titoli, molti dei quali di particolare interesse...

Massimo Del Pizzo: leggi la presentazione di Vittorio Catani

Si avvicinarono al mare, dopo averlo a lungo osservato da lontano. Erano a piedi nudi, i pantaloni rimboccati sul polpaccio. I cappelli di paglia, le cui falde larghissime ricadevano quasi sulle spalle, disegnavano sul viso una netta linea d'ombra.

Il sole, lontanissimo, friggeva dentro il mare, e sottili onde d'acqua e di luce si spingevano lente sulla sabbia, fin quasi a lambire i loro piedi.

Verglas stava dritto davanti al sole, e lo guardò nell'unico assurdo occhio. Ma per poco. Si mise la mano sulla bocca e corse a vomitare lontano dalla riva; si piegò in due, sussultò, quindi si accovacciò e rimase immobile.

- Abbiamo camminato troppo - biascicò.

La schiuma marina era piena di alghe verdi e rosse, mollemente adagiate sulla riva e poi subito risucchiate; solo qualche fiocco rimaneva imprigionato tra gli scogli più vicini. Le pietre bruciavano ancora; alcune, le più piccole, quasi incandescenti, sollevavano tenui nuvole di vapore.

Resistendo alla temperatura, Kladis avanzò cauto nell'acqua, fino alla caviglia, affondò le mani appena sotto la superficie a cercarvi un'oasi: trovò correnti calde che gli scottarono le dita.

Era rimasto anche lui di faccia al sole, lasciando che il sudore gli scivolasse sugli occhi e la barba, bloccandosi in rivoli di sale tra le pieghe del viso. Ora osservava il bagliore rosso da dietro le falde del cappello, con le palpebre quasi del tutto abbassate; il sole gli appariva dilatato su tutta la linea dell'orizzonte, liquefatto, disciolto in un colore diffuso, come una vischiosa vernice che penetrasse dentro il mare.

Verglas, poco lontano, volgeva ancora la schiena all'acqua, ansimando.

- Noti niente di strano? - chiese Kladis all'amico.

Questi si voltò. A destra, a sinistra, davanti e dietro di lui nulla si muoveva. Riuscì appena a socchiudere gli occhi bruciati, e subito ebbe un sussulto quando la luce penetrò nella fessura delle palpebre, dritta e dolorosa come una spada, dentro le pupille.

- No - rispose.

- Strano... - mugugnò Kladis che guardava in lontananza, facendosi schermo con le mani.

- Ma...

- Dico, c'è qualcosa di strano, e tu non te ne accorgi.

- Infatti... è strano - ammise Verglas. - E' questo che è strano?

Kladis si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. Verglas era sempre accovacciato, e aveva riabbassato la testa sul petto, rimanendo quasi interamente ricoperto dal cappello.

- Va meglio?

Accennò di sì col capo.

- Sta scomparendo - lo rassicurò Kladis.

Del sole, infatti, era rimasta una sottile linea senza luce, dispersa lungo tutto l'orizzonte; sempre più sottile, sempre più lontana.

* * *

Alle loro spalle, le finestre dei grattacieli, pochi metri oltre la strada, erano chiuse. Tra le costruzioni e la spiaggia si sollevava una cortina densa di vapore giallastro. Lungo i bordi della strada deserta, sulla quale non transitava nessuno, erano parcheggiate migliaia di automobili, da entrambi i lati della carreggiata. Erano tutte arrugginite, con i pneumatici liquefatti incollati sull'asfalto, come una bava nera. La fila interminabile di automobili rifletteva, duplicandolo, il calore che pioveva dal cielo e restava bloccato nell'aria.

Verglas ricoprì di sabbia il reciticcio. Si sedette di nuovo stringendo le ginocchia sul petto e abbassando il capo. Le falde del cappello toccarono la sabbia.

Kladis sedette accanto a lui.

- E' questo il punto - disse.

- Sei certo?

- Comunque... di qui non ci muoveremo.

- No - disse Verglas.