La vita sposa l'elettronica, generando ibridi, novelli Frankestein, di fronte ai quali non si può fare a meno di restare ammirati da un lato e sconcertati da un altro...

In un articolo apparso sul giornale Nature Materials, i ricercatori Jianzhong Xi, Jacob Schmidt e Carlo Montemagno hanno spiegato di aver realizzato un nanorobot, delle dimensioni inferiori al millimetro, utilizzando le cellule del cuore di un topo. I suoi muscoli, in grado di contrarsi, si sono sviluppati da cellule vive attecchite su microchip, crescendo, moltiplicandosi e  dando così forma alla struttura stessa del robot. Grazie a essi, l'ibrido è in grado di muoversi autonomamente senza bisogno di sfruttare altre fonti di energia.

Il prototipo (o protot...opo?) apre la via allo studio di futuri robot in grado autorigenerarsi e autoassemblarsi.

Non si tratta tuttavia del primo esperimento effettuato con l'utilizzo di cellule vive di animale: nel 2002, lo scienziato americano Steve Potter (un "maghetto" dell'elettronica?) aveva realizzato un robot il cui cervello sfruttava una combinazione di chip di silicio e neuroni di ratto, mentre nel 2001 un team di ricercatori tedeschi aveva utilizzato, con procedimento simile, quelli di lumaca.