Riproposto dopo anni di oblio sull’onda della mediocre (soprattutto se confrontata alla precedente, seminale, incursione di Tarkovskij) trasposizione di Soderbergh, Solaris è un romanzo che nella biblioteca del lettore non dovrebbe mancare. La tematica del mondo vivente/pensante/senziente si presta ad una molteplicità di letture tale da giustificare il suo successo dentro e fuori la cerchia degli appassionati del genere: la fantascienza infatti non è che una delle chiavi di lettura di questo libro, che può con altrettanta efficacia essere permutata con l’allegoria o con il trattato filosofico. Il fascino di Solaris, pianeta intelligente (ma lo è davvero?) e misterioso, è dopotutto riuscito ad imporsi di diritto nell’immaginario collettivo dell’uomo moderno. Stanislaw Lem, scrittore polacco che forse meglio di chiunque altro futurologo della sua generazione è riuscito a sondare le implicazioni della tecnologia e della sua evoluzione in rapporto all’uomo, penetrando a più riprese nell’esplorazione delle risorse cognitive della mente umana, tocca in questo romanzo uno degli apici della sua meritoria carriera.

Senza azzardare pur possibili letture ecologiche (il parallelo con Gaia, il pianeta che vive, è istintivo) è sufficiente soffermarsi alle implicazioni metafisiche ed escatologiche, connaturate all’esistenza di un simile enigma, per comprendere lo sconcerto di Chris Kelvin, ricercatore appena approdato sullo sperduto avamposto umano, separato da casa da anni luce di silente tenebra cosmica. Kelvin ha un fantasma che lo perseguita, un’ossessione che da anni ormai non gli dà pace: consapevole delle sue responsabilità in un rapporto mai facile, è infatti tormentato dalla tragica scomparsa della moglie. Moglie che ritroverà proprio su Solaris, miracolosamente replicata in una proiezione onirica tanto perfetta quanto incompleta. Ma, assodato che Solaris non è il paradiso e che Harey non è la vera Harey, bensì una sua copia, quanto fedele si può ritenere la simulazione all’originale? Dopotutto, il simulacro si muove come lei, parla come lei, pensa come lei: e lo fa in maniera talmente sofisticata da riuscire ad ingannare lo stesso Kelvin, dalle cui memorie il pianeta senziente ricava le proiezioni della donna. La parzialità del suo punto di vista finisce inevitabilmente per contaminare il risultato, al punto che lo scienziato non sopporta l’immagine della moglie rediviva proprio perché troppo conforme alle sue “idealizzazioni”. La follia è solo una delle possibili soluzioni di fronte a un’esperienza simile, e non è detto che sia la peggiore. Come scoprirà Kelvin, scienziato senza speranza di redenzione, disposto a vivere nel sogno di una illusione consapevole come antidoto all’autodistruzione.

Solaris, come si sarà intuito, non è un libro facile. La lettura è leggermente compromessa da una traduzione non proprio agile, costantemente in bilico tra l’arditezza e l’approssimazione. Ma l’atmosfera estraniante – alienante – non ne risente, riuscendo forse proprio amplificata da certi accostamenti di termini in grado di evocare immagini e suggestioni ataviche. Per ammissione del suo autore, dopotutto, questo è forse il suo romanzo più inspiegabile, prodotto di un autentico processo inconscio. La tematica del rapporto tra la scienza e la tecnologia, e tra la tecnologia e la conoscenza, l’indagine dei meccanismi sottesi ai processi cognitivi sono, come già accennato, i motivi ricorrenti della produzione di Lem. In questo caso la speculazione è approfondita dall’esame dei risvolti psicologici di una situazione ai confini della comprensibilità e dell’umana tolleranza. La precarietà della condizione umana, l’incomunicabilità e l’esilità dei rapporti trapelano dalle pagine e le elevano ad un livello di universalità ineccepibile. E l’ossessione per il doppio, per il riflesso della realtà, anticipa di un decennio la lezione dickiana.

Stanislaw Lem nasce a Lviv, Ucraina, nel 1921. Laureato in medicina, ha lasciato la professione nel 1950 per dedicarsi alla biologia e alla cibernetica, oltre che alla scrittura. Il suo primo romanzo di fantascienza, Il pianeta morto, è del 1951. Ma la sua fama è legata ai romanzi Eden e Solaris, entrambi forti di una trasposizione cinematografica. E considerato il maggiore autore di fantascienza non angloamericano contemporaneo: i suoi libri, tradotti in circa 30 lingue, hanno venduto oltre 12 milioni di copie.