Con la definitiva introduzione del concetto narrativo di multiverso, il Marvel Cinematic Universe è andato incontro dall’inizio del 2021 a una mutazione che, tra le altre cose, ne sta accentuando ulteriormente quelle caratteristiche transmediali già comunque presenti in nuce nell’intero progetto fin dalla fondazione. Basato su un processo di rimediazione (1) audiovisiva di storie e personaggi degli albi a fumetti della casa editrice Marvel Comics pubblicati dal 1961 (e, in alcuni casi, addirittura dal 1940 quando si chiamava ancora Timely), l’universo narrativo coordinato da Kevin Feige a partire dal 2008 è crossmediale per sua stessa natura, in quanto declina fin dall’inizio i concept e le proprietà intellettuali del medium fumetto su media differenti. Oltre che per le proprie caratteristiche crossmediali, però, il MCU s’è distinto ben presto anche per l’evidente inclinazione per il transmedia storytelling, intendendo col termine “transmediale” lo sviluppo e la diffusione di prodotti, concept o proprietà intellettuali (in questo caso, i supereroi della Marvel e le loro avventure) in modo unificato e coordinato su media differenti. D’altra parte, una semplice analisi anche superficiale dell’evoluzione del Marvel Cinematic Universe attraverso gli anni mostra con estrema chiarezza quanto siano evidenti, in tutti i suoi tasselli narrativi e nell’intero puzzle audiovisivo, quei principi che, secondo il teorico della convergenza Henry Jenkins, caratterizzano appunto le narrazioni transmediali (2): spalmabilità, penetrabilità, continuity, molteplicità, immersione, estraibilità, costruzione di mondi, serialità, soggettività, performance. In tal senso, quelli racchiusi sotto l’ombrello del MCU sono prodotti audiovisivi fortemente rappresentativi dei fondamentali mutamenti in atto da qualche anno nell’industria globale dell’entertainment: mutamenti produttivi, per esempio la centralità del concetto di media franchise; tecnologici, relativi ai sempre più sofisticati effetti speciali digitali; narratologici, come la diffusione del transmedia storytelling; socioculturali, come la convergenza tra differenti piattaforme mediali e il boom delle fan cultures (soprattutto sul web) (3).

Dopo i primi anni di distribuzione esclusivamente cinematografica, durante la cosiddetta Fase 1 inaugurata nel 2008 con Iron Man, il gigantesco affresco concepito da Feige e dai tanti altri talenti creativi da lui riuniti inizia ad ampliarsi ben oltre lo specifico ambito del cinema propriamente inteso già nel 2012-2013, con l’uscita prima del kolossal-crossover The Avengers e poi della serie tv Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D., per poi diffondersi con sempre maggiore regolarità in modo, appunto, transmediale su altre piattaforme e ritornare persino al medium originario, cioè il fumetto. L’operazione portata avanti dai Marvel Studios è da intendersi, dunque, come profondamente seriale e transmediale oltre che puramente crossmediale. Essa, infatti, è pianificata con notevole consapevolezza e con una progettualità di lungo periodo, non episodica e, anzi, concepita per prolungarsi nel tempo secondo le dinamiche delle narrazioni seriali contemporanee più sofisticate, sempre più assimilabili a quel modello teorico dell’ecosistema narrativo che uno studioso raffinato come Guglielmo Pescatore ha ripreso dalla biologia. Degli ecosistemi narrativi, infatti, il MCU possiede tutte le proprietà: è un sistema aperto (cioè, un’unità complessa nella quale le narrazioni, i personaggi ma anche i fruitori si modificano nello spazio e nel tempo), è una struttura interconnessa (cioè, costituita da componenti che interagiscono tra di loro e con l’esterno), ha un equilibrio interno ma al tempo stesso è resiliente, non è procedurale bensì dichiarativo, è costituito da una componente abiotica (il contesto mediale di riferimento) e da una biotica (le forme narrative, in costante competizione, adattamento e mutamento) (4). Con l’evolversi e l’ampliarsi del Marvel Cinematic Universe lungo gli anni si passa, così, dalla crossmedialità e da una transmedialità più debole a un transmedia storytelling vero e proprio, tra l’altro realizzato all’interno di un contesto produttivo e narrativo gigantesco, articolato tra il 2008 e il 2021 in ben 34 film (compresi i sette prodotti da Sony-Columbia, cioè i cinque su Spider-Man con Tobey Maguire ed Andrew Garfield e i due su Venom con Tom Hardy, resi canonici grazie alla raffinata operazione di retcon (5) attuata nel recente campione d’incassi Spider-Man: No Way Home) e innumerevoli ulteriori segmenti di narrazione distribuiti attraverso altre piattaforme mediali come l’home video, la televisione, il web e i fumetti.

Già nei primi anni di vita del Marvel Cinematic Universe, per esempio, la narrazione dei film viene ampliata attraverso i Marvel One-Shots, una serie di cortometraggi direct-to-video inseriti nelle edizioni blu-ray e digitali di alcuni blockbuster dei Marvel Studios proprio per espandere quell’universo narrativo attraverso storielle brevi e apparentemente banali che, però, dessero allo spettatore l’idea di trovarsi in un mondo vivo e il più vasto e realistico possibile: Il consulente (2011), Scena comica nel raggiungere il martello di Thor (2011), Item 47 (2012), Agente Carter (2013), All Hail the King (2014) e i tre brevissimi corti scritti e diretti da Taika Waititi Team Thor (2016), Team Thor: Part 2 (2017) e Team Darryl (2018). Poi, a settembre 2013, come detto, il Marvel Cinematic Universe arriva anche in televisione, col debutto in prima serata sul network di casa Disney, la ABC, della serie Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. (2013-2020), seguita due anni dopo da Agent Carter (2015-2016), dalla deludente miniserie in otto episodi Inhumans e dalle serie co-prodotte con Netflix e dedicate agli aspetti più cupi e urbani del MCU: Daredevil (2015-2018), Jessica Jones (2015-2019), Luke Cage (2016-2018), Iron Fist (2017-2018), la miniserie crossover The Defenders (2017) e The Punisher (2017-2019). Sempre online, ma su Hulu, sono diffusi sia il teen drama Runaways (2017-2019) che l’horror Helstrom (2020), di brevissima durata, mentre la tv via cavo Freeform è scelta per la messa in onda di un’altra serie rivolta al target young adult, Cloak & Dagger (2018-2019). Tutte queste serie – soprattutto Agent Carter e le prime stagioni di Agents of S.H.I.E.L.D. e Daredevil – propongono riferimenti narrativi più o meno puntuali e regolari a ciò che accade parallelamente nei film, ma è a partire da gennaio 2021 su Disney+ che vengono distribuite le serie responsabili dell’ulteriore salto di qualità del MCU dal punto di vista delle logiche narrative transmediali, andando così a creare un unicum inscindibile tra storytelling cinematografico e “televisivo”. Si tratta di WandaVision, The Falcon and the Winter Soldier, Loki, lo show animato What If… e Hawkeye, con Moon Knight in arrivo a fine marzo 2022.

Il quadro già così composito si completa con le brevi web series WHIH Newsfront (2015-2016) e Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. – Slingshot (2016) ideate direttamente dal trasmedia producer della Marvel, Geoffrey Colo, per essere diffuse su YouTube e sul sito ABC.com a metà strada tra marketing e narrazione pura; ma anche con i tanti videogames, sia quelli ufficiali come per esempio Iron Man, The Incredible Hulk o Iron Man 2, pubblicati tra il 2008 e il 2010 da Sega, sia i due su Spider-Man realizzati nel 2018 e 2020 da Insomniac Games, il Marvel’s Avengers distribuito da Square Enix nel 2020 e quelli ancora più originali scaturiti dall’accordo commerciale con un colosso del giocattolo come Lego, cioè Lego Marvel Super Heroes (2013), Lego Marvel’s Avengers (2016) e Lego Marvel Super Heroes 2 (2017), tutti e tre sviluppati dall’azienda britannica Traveller’s Tales. Inoltre, affascinanti intrecci transmediali riguardano anche le centinaia di set di costruzioni che la stessa Lego ha realizzato negli anni, immortalando grazie ai celebri mattoncini specifiche sequenze iconiche dei vari film dei Marvel Studios e permettendo quindi ai fruitori – così come avviene anche con i videogames – di giocare in prima persona con le trame filmiche, immergendosi in esse, rimodellandole e facendole esplodere dall’interno.

no, non questo ritorno in scena...
no, non questo ritorno in scena...

Il Marvel Cinematic Universe, poi, ha anche una sua densissima vita a fumetti, fin dal 2008, con decine e decine di albi e volumi divisi tra adattamenti dei vari film, ma anche prequel che ne svelano le premesse o altre storie inedite che ne ampliano comunque la narrazione, riempiendo così i vuoti tra un film e l’altro. Un buon esempio di interscambio di profondità tra fumetti e audiovisivi riguarda il personaggio del nuovo Nick Fury. La sua versione afroamericana, infatti, appare per la prima volta su carta, tra le pagine di un comic book della linea Ultimate della Marvel Comics (6), Ultimate Marvel Team Up 5 del 2001, seguito poi nel 2002 dallo storico Ultimates 1 di Mark Millar e Bryan Hitch. Questa versione del personaggio è costruita graficamente sulle fattezze dell’attore Samuel L. Jackson e nel 2006 debutta anche nei film d’animazione Ultimate Avengers e Ultimate Avengers 2, realizzati direttamente per l’home video. Infine, nel 2008, a partire dalla celeberrima scena dopo i titoli di coda del primo Iron Man arriva al cinema e poi in televisione, nei lungometraggi e nelle serie tv (soprattutto in Agents of S.H.I.E.L.D.) che, in un’autentica chiusura del cerchio, vedono scritturato per quel ruolo proprio l’attore che, anni prima, aveva ispirato la nuova iconografia del personaggio tra le pagine dei fumetti. Nel 2012, infine, il nuovo Nick Fury afroamericano degli universi Ultimate e Cinematic viene introdotto anche nella continuity classica marveliana e diventa così canonico (nel senso che entra a far parte del Canone Marvel) anche nei fumetti. In questo caso, però, l’aspetto fisico di Samuel L. Jackson viene applicato a un nuovo personaggio, di nome Marcus Johnson, che fa la sua prima apparizione nell’albo Battle Scars 1 del gennaio 2012 come figlio segreto del Fury originale. L’escamotage narrativo, naturalmente, ha come motivazione principale proprio quella di adeguare l’iconografia del personaggio delle serie a fumetti Marvel classiche a quella proposta nei film, in modo da non spiazzare o confondere gli appassionati più giovani. D’altronde, già in una sua analisi del 2007 lo studioso americano Derek Johnson sottolinea come le ambizioni transmediali della Marvel richiedano “prima l’eliminazione delle differenze tra le versioni a fumetti e quelle audiovisive delle sue proprietà intellettuali” (7).

Qualcosa di simile accade anche col personaggio dell’agente speciale dello S.H.I.E.L.D. Phil Coulson, seppure con un percorso opposto rispetto a quello di Nick Fury, dai film ai fumetti. Interpretato dall’attore Clark Gregg, viene introdotto per la prima volta al cinema in Iron Man, per poi ritornare negli altri film della Fase 1 (8), in alcuni Marvel’s One Shots per l’home video e nella serie Agents of S.H.I.E.L.D. in televisione. Non molto tempo dopo il debutto di Coulson nel MCU, una sua controparte viene introdotta anche nella continuity originale dei fumetti, rendendo così il personaggio canonico sia nei comics che nel Cinematic Universe. Nei fumetti, esordisce inizialmente col solo soprannome di Cheese, nella stessa serie Battle Scars che ha visto il debutto anche del nuovo Nick Fury Jr., per poi rivelare nel numero 6 di giugno 2012 di chiamarsi Phil Coulson. Di lì a poco, la sua diventa una presenza stabile nell’universo a fumetti classico della casa editrice, quello avviato nel 1961 con la pubblicazione di Fantastic Four 1, poiché nel 2013 lo sceneggiatore Nick Spencer lo inserisce tra i personaggi fissi della nuova serie Secret Avengers. Dopo altre comparsate, l’anno dopo su Thor: God of Thunder 19 e su Deadpool 21-24, fa da protagonista della nuova serie S.H.I.E.L.D., realizzata a dicembre 2014 da autori importanti come Mark Waid, Carlos Pacheco, Alan Davis e Chris Sprouse. La popolarità del personaggio è tale che già nel 2012 Joss Whedon lo aveva utilizzato in The Avengers come elemento decisivo per vincere le diffidenze esistenti tra i supereroi protagonisti dei vari film della Fase 1 fino a convincerli a mettersi assieme in un’unica squadra che, nel primo crossover dei Marvel Studios, sconfigge Loki e la sua armata aliena di Chitauri durante la cataclismatica battaglia di New York. Così, è proprio la morte di Coulson per mano dello stesso Loki a convincere i vari Thor, Hulk, Captain America, Iron Man, Vedova Nera e Occhio di Falco a fare fronte comune contro quel nemico proveniente dallo spazio.

Ora ci penso io
Ora ci penso io

La parabola del simpatico agente speciale, però, non termina con The Avengers, poiché con un ottimo esempio di transmedia storytelling viene reinserito nel Marvel Cinematic Universe nel 2013, all’inizio della serie tv Agents of S.H.I.E.L.D., della quale diventa il protagonista alla guida di un team impegnato a fronteggiare minacce sovrumane. “Dalla morte, Coulson si salva grazie al direttore dello S.H.I.E.L.D., Nick Fury, che in segreto lo trasporta in una struttura iper-tecnologica occulta nella quale viene operato e riportato in vita, anche grazie a iniezioni di sangue alieno Kree” (9). La serie tv diventa, soprattutto nelle sue prime stagioni, un tassello essenziale delle strategie di transmedia storytelling messe in campo da Kevin Feige e dai suoi. Le vicende narrate in Agents of S.H.I.E.L.D., infatti, hanno luogo dopo gli eventi di The Avengers e Iron Man 3 e proseguono cronologicamente tra molti riferimenti espliciti alle trame dei film, intrecciandosi persino con l’uscita nei cinema di alcuni kolossal del MCU. Per esempio, l’ottavo episodio della prima stagione viene trasmesso nella settimana successiva all’arrivo in sala di Thor: The Dark World e propone anche in televisione una storia con personaggi asgardiani, mentre qualche settimana dopo (nella quindicesima puntata) gli agenti dello S.H.I.E.L.D. devono vedersela addirittura con due asgardiane potenti come l’affascinante Lorelei e la guerriera Lady Sif interpretata anche nei film su Thor da Jaimie Alexander (il personaggio ritorna anche nel dodicesimo episodio della seconda stagione). Nella settimana compresa tra la messa in onda del sedicesimo e del diciassettesimo episodio, inoltre, esce in sala Captain America: The Winter Soldier, “che è narrativamente inserito proprio tra queste due puntate televisive, con le quali costituisce dunque un vero e proprio crossover-evento transmediale” (10) incentrato sullo scontro tra lo S.H.I.E.L.D. e l’organizzazione segreta criminale HYDRA, sempre più centrale poi anche nella serie tv in onda sulla ABC. Di episodio in episodio, la vastità dello scenario e delle trame emerge con sempre maggiore chiarezza, con riferimenti continui a ciò che, in parallelo, avviene nei vari film (si pensi, per esempio, ai discorsi alla nazione che periodicamente declama in televisione, durante alcuni episodi della terza stagione, il presidente degli Stati Uniti Matthew Ellis che s’era già visto in Iron Man 3, interpretato da William Sadler, con citazioni dirette di catastrofi globali narrate nei film, quali la battaglia di New York, la Convergenza a Londra o il disastro di Sokovia). A partire dalla quarta stagione, però, i riferimenti espliciti alla continuity del Marvel Cinematic Universe scemano sempre di più, fin quasi a scomparire nella prima metà della quinta annata.

Un altro ottimo esempio di narrazione transmediale è offerto tra il 2015 e il 2017 dalle due stagioni della serie tv Agent Carter, creata da Christopher Markus e Stephen McFeely per la ABC e ambientata nel passato del Marvel Cinematic Universe, nel 1946, con Hayley Atwell che riprende il suo personaggio di Peggy Carter già visto in Captain America: Il primo Vendicatore e nel cortometraggio One-Shot del 2013. Nell’America sessista e retrograda di fine anni Quaranta, la volitiva protagonista, donna single molto attraente e sicura di sé, deve impegnarsi a fondo per emergere tra le file dell’intelligence americana. Lo storyworld transmediale coordinato da Kevin Feige acquista ulteriore profondità proprio grazie a questa serie, che introduce elementi narrativi importanti e personaggi significativi come il padre di Tony Stark, Howard (interpretato da Dominic Cooper, di nuovo nel ruolo ricoperto nel primo film su Capitan America), e l’atletico Edwin Jarvis (James D’Arcy), il fidato maggiordomo di casa Stark, che decenni più tardi lo stesso Tony utilizzerà come matrice per sviluppare J.A.R.V.I.S., la sua intelligenza artificiale.

Dove sono gli Avengers quando servono?
Dove sono gli Avengers quando servono?

Una transmedialità più blanda, invece, caratterizza le serie co-prodotte con Netflix, con accenni e riferimenti, soprattutto nella prima stagione di Daredevil, al contesto generale del mondo nel quale agiscono i vari personaggi, in modo da mostrarlo allo spettatore con una certa naturalezza e senza troppe spiegazioni. Nel 2019, comunque, la Disney blocca questi progetti in vista del lancio della piattaforma streaming di casa, Disney+. Le stagioni già realizzate restano disponibili in esclusiva su Netflix, fino a fine febbraio 2022, mentre eventuali nuove storie di quegli stessi personaggi – col Daredevil di Charlie Cox e il Kingpin di Vincent D’Onofrio già reinseriti nel MCU – saranno produttivamente gestite in toto dai Marvel Studios e narrativamente connesse ai film e alle altre serie in modo più puntuale e continuo di quanto avvenuto con le versioni di Netflix.

In tal senso, la svolta avviene a inizio 2021, con la serie che inaugura la Fase 4, cioè WandaVision. Bizzarro e affettuoso omaggio dei Marvel Studios alla storia della sitcom televisiva americana attraverso i decenni, infatti, lo show con Elizabeth Olsen e Paul Bettany di nuovo nei ruoli di Wanda Maximoff/Scarlet Witch e di Visione propone notevoli collegamenti con le più ampie trame thriller-avventurose di genere supereroico del MCU, giocando anche con le prime possibili tracce di quel concetto narrativo di multiverso ereditato direttamente dall’epocale kolossal Avengers: Endgame e sviluppato, poi, nella successiva Loki e nei film Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange in the Multiverse of Madness. Proprio lo sviluppo del multiverso, peraltro, avviene secondo le più tipiche modalità del transmedia storytelling. Gli spettatori ne hanno, infatti, un primo assaggio durante il blockbuster dei fratelli Russo col quale nel 2019 si chiude la Infinity Saga. In quel film epocale, gli Avengers trovano il modo di viaggiare indietro nel tempo divisi in varie squadre, per recuperare in punti differenti della linea temporale le Gemme dell’Infinito, costruire un nuovo Guanto e provare a riportare in vita quella metà degli esseri viventi dell’universo uccisa da Thanos col devastante schiocco di dita in Avengers: Infinity War. Nel corso della missione, si originano alcune diramazioni lungo la linea temporale, poi esplorate più nel dettaglio quasi due anni dopo all’interno della serie tv Loki. E proprio all’infido fratellastro di Thor è affidato lo sviluppo transmediale più affascinante e denso di conseguenze dell’attuale Fase 4 del MCU. Se in Avengers: Endgame, infatti, il dio asgardiano degli inganni appare soltanto per pochi minuti, giusto il tempo di rubare il Tesseract e fuggire, originando una linea temporale parallela e una versione alternativa di se stesso, nella serie distribuita su Disney+ diventa il protagonista di una delirante avventura cosmica ambientata in un misterioso luogo al di fuori dello spazio-tempo, dove deve vedersela con la Time Variance Authority, una potentissima organizzazione addetta al monitoraggio della Sacra Linea Temporale e al suo corretto dispiegarsi lungo i millenni, tanto da intervenire per cancellare dall’esistenza le possibili varianti (tra cui quelle dello stesso Loki) che ne minaccino l’integrità. Nell’episodio conclusivo della prima stagione della serie, la linea temporale si sfalda in infinite ramificazioni causando la definitiva nascita del multiverso. Nell’affresco narrativo del Marvel Cinematic Universe (o Multiverse?), le prime conseguenze si vedono nuovamente sul grande schermo cinematografico, in Spider-Man: No Way Home, dove va in scena l’attesissimo incontro tra le tre versioni dell’Uomo Ragno interpretate negli anni da Tobey Maguire, Andrew Garfield e Tom Holland, ciascuna proveniente da un universo parallelo, così come il Venom di Tom Hardy che appare per pochi minuti in una scena post-credits destinata a sua volta a lasciare conseguenze sul futuro del MCU. Tutte le serie Marvel distribuite su Disney+ rendono concreta l’idea di Kevin Feige di “azzerare le differenze stilistiche e produttive tra film per il grande schermo e serie per quello televisivo, facendo così dei Disney+ Originals veri e propri kolossal audiovisivi paragonabili concettualmente a quelli cinematografici” (11), ai quali sono efficacemente collegati proprio utilizzando al meglio le potenzialità del transmedia storytelling. E il concetto narrativo di multiverso, con le sue possibilità di sfruttare potenzialmente tutte le proprietà intellettuali Marvel apparse nei decenni su qualsiasi piattaforma mediale (fumetti, cinema, radio, televisione, animazione, libri, web, videogames, home video) e di inglobarle in un unico gigantesco affresco del quale diventa quasi impossibile persino intravedere i confini, sembra perfetto per poter far dispiegare al loro meglio le enormi potenzialità transmediali di quello che s’è imposto come il fenomeno pop più influente (e remunerativo) della nostra epoca.

Note

(1) In breve, si tratta del fenomeno di scambio, interrelazione e influenza reciproca tra i media nell’adattamento e ripresentazione di un medium in un altro. Si veda J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e associati, Milano 2003.

(2) H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2007, p. 111.

(3) F. Zecca (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto, pubblico, Mimesis, Milano-Udine 2012.

(4) I. A. De Pascalis, G. Pescatore, Dalle narrazioni estese agli ecosistemi narrativi, in G. Pescatore (a cura di), Ecosistemi narrativi. Dal fumetto alle serie tv, Carocci, Roma 2018, p. 29.

(5) Abbreviazione dell’espressione inglese retroactive continuity (in italiano continuità retroattiva), la retcon è un espediente narrativo utilizzato per modificare eventi e situazioni descritti in precedenza in modo da renderli coerenti con ciò che si sta raccontando al momento.

(6) Ideata dallo sceneggiatore Brian Michael Bendis e pubblicata dal 2000 al 2009, questa linea editoriale propone serie che rileggono fin dalle origini i personaggi classici della Marvel, ringiovanendoli e portandoli nel mondo contemporaneo attraverso un’intelligente operazione di reboot. Dal punto di vista narrativo, le testate Ultimate Marvel sono ambientate in un universo parallelo rispetto a quello classico nato nel 1961.

(7) D. Johnson, Will the Real Wolverine Please Stand Up?, in I. Gordon, M. Jancovich, M. P. McAllister (a cura di), Film and Comic Books, University of Mississippi Press, Jackson 2007, p. 67.

(8) La mega-narrazione transmediale del Marvel Cinematic Universe è divisa in varie Fasi: le prime tre, tra il 2008 e il 2019, compongono la Infinity Saga, mentre la quarta è iniziata a gennaio 2021 con WandaVision ed è attualmente in corso.

(9) D. Del Pozzo, Marvel Cinematic Universe. Dal fumetto agli audiovisivi digitali: i film di supereroi tra convergenza mediale e nuova serialità, CentoAutori, Napoli 2021, pp. 196-197.

(10) Ivi, p. 199.

(11) Ivi, p. 246.