Nel 2020 le Olimpiadi di Tokyo, previste dal 24 luglio al 9 agosto, non si svolsero per una pandemia causata dal virus SARS-CoV-2.

Sembra il brano di un libro di fantascienza distopica. E in effetti questo che vi accingete a leggere è un libro di fantascienza. Ma, lo sappiamo tutti, la realtà ha superato la fantasia di molti scrittori e scrittrici dediti alla visione apocalittica del futuro.

Questo implica che molta letteratura di fantascienza (soprattutto distopica) letta o riletta oggi, alla luce delle recenti vicende del genere umano, può sembrarci meno improbabile e distante da noi di quanto lo fosse in passato. Il discorso vale anche per quest’antologia di fantascienza, il cui filo conduttore è lo sport, per quei racconti (e ve ne sono) in cui la narrazione poggia su una distopia.

Sport e fantascienza, dunque. Un connubio non certo inedito e che vale la pena analizzare per illustrare le radici alla base di quest’antologia.

Gli appassionati italiani di fantascienza (specie quelli di lungo corso) forse ricordano un'antologia apparsa nel nostro paese nel 1985. Urania numero 993, il titolo Le Olimpiadi della Follia. Il volume, curato dalla "premiata ditta" Asimov, Greenberg e Waugh, è la traduzione di The Science Fictional Olympics, pubblicato da Signet negli Stati Uniti e in Canada a giugno del 1984, poche settimane prima dell'inizio delle Olimpiadi di Los Angeles (che, a differenza di quelle di Tokyo 2020, si svolsero regolarmente). Nel saggio introduttivo Asimov pone l'accento su una differenza sostanziale tra le Olimpiadi dell'antichità e quelle moderne. Le prime avevano un valore simbolico talmente elevato da indurre, durante il loro svolgimento, la fine di tutte le guerre. Le seconde hanno un valore simbolico talmente elevato da divenire lo specchio dei conflitti e delle tensioni tra le nazioni: si pensi al boicottaggio ad opera degli Stati Uniti e di altre sessantaquattro nazioni delle Olimpiadi di Mosca del 1980 (la causa scatenante era stata l'invasione sovietica dell'Afghanistan pochi mesi prima dell'inizio dei Giochi) e il boicottaggio, quattro anni dopo, delle Olimpiadi di Los Angeles da parte dei paesi del blocco sovietico (con l’eccezione della Romania). Venendo ai nove racconti notiamo che questi sono incentrati sulla competizione più che sullo sport. Competizione che, in certi casi, prevede anche la morte come destino degli "atleti" coinvolti. Pertanto, anche se Asimov & co. si sono impegnati nel mettere assieme un'antologia di racconti che coniughino fantascienza e sport, il risultato può dirsi raggiunto solo in alcuni casi. Infatti, per quanto fervida possa essere la nostra immaginazione, è difficile pensare a gare olimpiche in cui si fronteggiano, fino a restare annientati, eserciti di creature simili a insetti (I guerrieri di Kokod di Jack Vance); oppure gare in cui si combatte contro la morte per aggiudicarsi un pezzo di terreno in un pianeta Terra sovraffollato e degenerato: è questa la trama di Corsa a ostacoli di un Robert Sheckley meno "in forma" (termine quanto mai indicato dato l'argomento) del solito.

Restando nel mondo Urania, abbiamo altri esempi di commistione tra sport e fantascienza in forma di romanzo. Boston 2010: XXI Supercoppa di Gary K. Wolf, Urania 712 (Killerbowl, 1975) è incentrato sul football americano, diventato nel 2010 uno sport gladiatorio, con atleti che, armati come se andassero in guerra, si scontrano non in uno stadio ma per strada. Genoa-Texcoco: zero a zero di Mack Reynolds, Urania 484 (The Rival Rigelians, 1967), di sportivo ha in realtà solo il titolo italiano (oltre alla bella copertina di Karel Thole), poiché racconta la rivalità tra due pianeti: “Genoa”, con un sistema sociale paragonabile a quello dell’Italia del feudalesimo, e “Texcoco”, assimilabile alla civiltà azteca precolombiana.

Tornando ad Asimov, il racconto La professione (The Profession, 1957) parla esplicitamente di Olimpiadi. Queste non si basano su gare sportive, ma su prove in cui occorre dimostrare l'abilità nella propria specializzazione lavorativa (una delle prove più "appassionanti" è quella di metallurgia). La posta in palio per il vincitore di ciascuna specialità è l'ambito trasferimento in un pianeta lontano dalla sovraffollata e malsana Terra. Il fatto che gare del genere possano essere classificate come Olimpiadi è del tutto legittimo: lo stesso Asimov nel saggio introduttivo al già citato Le Olimpiadi della Follia ci ricorda quanto segue.

Noi ci immaginiamo i Giochi Olimpici come gare soprattutto atletiche, ma gli antichi Greci non si limitavano affatto alle gare di muscoli. Essi ritenevano che l’intero corpo, testa e muscoli, fosse importante, e fra le competizioni c’erano anche rappresentazioni di tragedie e di commedie, e la lettura di opere letterarie.

Negli stessi anni veniva pubblicato il celebre Le sirene di Titano (The Sirens of Titan, 1958), secondo romanzo di Kurt Vonnegut, in cui viene descritto uno sport inventato dall’autore: la Pallamazza Tedesca. Winston Niles Rumfoord è un miliardario eccentrico amante delle esplorazioni spaziali. Nel corso di uno dei suoi viaggi si imbatte a poca distanza da Marte in un "infundibulo cronosinclastico", luogo in cui le nozioni di tempo e spazio non hanno più senso e dove Winston verrà a conoscenza del senso della vita sulla Terra. Ecco il passaggio in cui viene raccontato lo sport.

A scuola i bambini studiavano pochissimo, perché la società di Marte non sapeva che farsene di loro. Passavano così quasi tutto il tempo a giocare a pallamazza tedesca.

La pallamazza tedesca si gioca con una palla sgonfia grande come un grosso melone. La palla non è più elastica di un cappello da dieci galloni pieno di acqua piovana. Il gioco somiglia un po' al baseball, con un battitore che manda la palla nel campo dei giocatori avversari e fa di corsa il giro delle basi; e con gli esterni che cercano di prendere la palla e frustrare gli sforzi del corridore. Nella pallamazza tedesca, però, ci sono solo tre basi: la prima, la seconda e la casa base. E il battitore non ha nessuno che gli lanci la palla. Si piazza la palla su un pugno e la colpisce con l'altro. Se un esterno riesce a colpire il corridore con la mazza quando questi è tra le basi, il corridore viene eliminato e deve lasciare subito il campo.

Il responsabile della grande importanza che la pallamazza tedesca aveva assunto su Marte era, naturalmente, Winston Niles Rumfoord, che su Marte era responsabile di tutto.

Riferendoci a tempi più recenti, ricordiamo The Games, romanzo d'esordio (2012) di Ted Kosmatka, finalista del Premio Locus 2013 come migliore opera prima. Le Olimpiadi dei Gladiatori sono uno degli eventi più seguiti nella Terra del futuro. I combattimenti hanno un'unica regola: i contendenti non devono possedere DNA umano. Il genetista Silas Williams, responsabile della progettazione della finora imbattuta squadra degli Stati Uniti e preoccupato per i miglioramenti ottenuti dalle squadre delle altre nazioni, ricorre a un nuovo super-computer per progettare il codice genetico di un gladiatore invincibile. Il risultato è una macchina fin troppo evoluta che seminerà panico e terrore.

Ancora fantascienza e Olimpiadi nel racconto della scrittrice sudafricana Lauren Beukes, Slipping, contenuto nell'edizione 2014 di Twelve Tomorrows, interessante antologia della MIT Technology Review curata da Bruce Sterling. Le Olimpiadi immaginate dalla Beukes sono riservate ad atleti resi più abili grazie alla bioingegneria: alla protagonista sono stati rimossi alcuni organi interni per ridurne il peso e sono state applicate due lame per aumentarne la velocità. Viene subito da pensare a Oscar Pistorius, peraltro connazionale della Beukes.

Una furiosa partita a <i>Rollerball</i>, lo sport del futuro che esalta gli aspetti più violenti dell'Hockey
Una furiosa partita a Rollerball, lo sport del futuro che esalta gli aspetti più violenti dell'Hockey

Lo sport e la fantascienza si sono incontrati non solo sulla carta stampata ma anche sul grande schermo. Rollerball, tanto per cominciare. È un film del 1975 diretto da Norman Jewison (di cui è stato fatto un remake nel 2002): in un futuro in cui non ci sono più guerre e crimini, l’aggressività è tenuta a bada con giochi e sport, il più seguito dei quali è il Rollerball. Le squadre sono schierate lungo una pista ad anello, gli atleti si muovono con pattini e motociclette; lo scopo del gioco è centrare con una palla di metallo una buca magnetica.

Nel 1990 il compianto Rutger Hauer è il protagonista di Giochi di morte (Blood of Heroes), film in cui le squadre si fronteggiano in uno sport violento e sanguinario, con contatti fisici che rimandano all'hockey e al rugby.

Un altro caso, meno noto, è Future Sport, film TV prodotto dal canale americano ABC nel 1998 e apparso in Italia in DVD. Nel 2025 lo sport più in voga è il Future Sport: molto simile (anche per violenza) all'hockey, con la differenza che gli atleti si spostano sul campo di gioco concavo su hoverboard (gli skateboard a levitazione già apparsi in Ritorno al futuro) e rollerblade.

L’esempio più recente è Cosmoball, kolossal russo del 2020 in uscita negli Stati Uniti e in Europa nel 2021, in cui una squadra di quattro umani dotati di superpoteri sfida in uno sport spettacolare una squadra di alieni che minacciano la Terra a bordo di un’astronave enorme che incombe sul nostro pianeta.  

E, a proposito di sport inventati e portati sul grande schermo, non va dimenticato il Quidditch, lo sport praticato nel mondo magico di Hogwarts e presentato in Harry Potter e la pietra filosofale, il primo film della serie (2001). Una partita è disputata da due squadre di sette giocatori, che si muovono a bordo di scope volanti. Si usano tre tipi di palle: la "pluffa", che viene contesa dalle due squadre e deve essere lanciata nei tre cerchi posti sui pali alle estremità del campo; i "bolidi", sfere magiche di metallo che hanno il compito di disarcionare i giocatori; il "boccino d'oro", sferetta che deve essere catturata da due "cercatori". La cattura del boccino (che può durare anche più giorni) rappresenta la fine della partita.

Dal grande al piccolo schermo. In Battlestar Galactica le astronavi sono dotate di un'area per il gioco della Triade, un misto tra pallacanestro e rugby che si disputa su un campo con quattro lati. Lo scopo delle due squadre che si fronteggiano è lanciare una sfera d'argento in una delle buche poste su ciascun lato del muro. Nel remake del 2004 il gioco è ancora presente, ma con alcune varianti. Ha assunto il nome di Piramide e si gioca su un campo con tre lati; può essere giocato uno contro uno oppure a squadre. Si segnano punti lanciando la palla nella rete posta al vertice di uno dei tre lati.

Anche i creatori di Star Trek si sono divertiti a immaginare sport a bordo delle astronavi. L'Anbo-jyutsu, presentato in The Next Generation, è un'arte marziale. I combattimenti si svolgono in un'arena circolare, i contendenti utilizzano come arma di attacco e difesa una mazza che porta a una delle estremità un sensore di prossimità, indispensabile per rilevare la posizione dell'avversario poiché viene indossata una maschera che impedisce la vista.

Lungo excursus tra sport e fantascienza per dimostrare che il libro che avete tra le mani non ha la pretesa di costituire una novità. Però, a suo modo, è un unicum. Da quanto mi risulta, questa è la prima antologia composta da autrici e autori italiani in cui lo sport incontra la fantascienza in tutte le sfaccettature: gare in un futuro distopico, su pianeti vicini e lontani, con sport reali e sport inventati. E poi, a parte Le Olimpiadi della Follia, non risultano esservi altre antologie di fantascienza incentrate sullo sport. Insomma, possiamo vantare il pregio dell’originalità. Confidiamo anche nella qualità, avendo coinvolto in questo progetto autrici e autori noti (in alcuni casi vincitori di premi) e meno noti, ma agguerriti e talentuosi.

Un’ultima considerazione sul titolo scelto per questo libro. Qualcuno avrà già colto il riferimento alla musica rock. A chi è a digiuno della materia diciamo che Olimpiadi di Toronto 2112 è un omaggio a uno dei gruppi che meglio ha saputo coniugare rock e fantascienza: i Rush, canadesi di Toronto. E 2112 è una delle loro opere più riuscite: una suite che occupa per intero la prima facciata (si diceva così quando c’erano i long-playing) del disco omonimo.