Dalla prefazione a Lo Hobbit o la riconquista del tesoro: Nell'ottobre 1954 J.R.R. Tolkien venne invitato all'Università di Liegi, nel Belgio, per ricevere la laurea honoris causa in lettere. Fu accolto come il createur de M. Bilbo Baggins, e quando chiese una spiegazione degli applausi, si sentì rispondere che Lo Hobbit era una delle'opere obbligatorie' con le quali ci si aspettava che alcuni aspiranti alla laurea dovessero avere una certa familiarità. Vari mesi più tardi, in uno scritto di carattere autobiografico preparato per i suoi editori, rispondeva con un'unica parola - alas - seguita da un grosso punto di esclamazione. La sua reazione a un'edizione annotata de Lo Hobbit sarebbe indubbiamente stata rivelatrice di una costernazione ancora più grande.

L'avversione di Tolkien nei confronti della critica (e, in particolare, di quella delle sue opere) è risaputa. Sulla critica delle fiabe, in una occasione scriveva: "Volendo adoperare le parole di [George Webbe] Dasent [dalla sua traduzione di Popular Tales from the Norse], dovrei dire: 'Dobbiamo accontentarci della zuppa che ci è stata servita e non voler vedere le ossa del manzo con il quale è stato fatto il brodo... E per 'zuppa' intendo la fiaba così come ci è stata servita dall'autore o dal narratore, mentre per 'ossa' alludo alle sue fonti o al materiale di documentazione - anche quando (per un caso tanto raro quanto fortunato) queste ultime possono essere scoperte con sicurezza. Ma in genere, naturalmente, io non vieto la critica della zuppa in quanto tale". (The Monsters and the Critics).

Nel caso di Tolkien, il critico o il curatore si trova in una posizione 'tanto rara quanto fortunata" e molto sulle ossa (e sul cuoco) può essere determinato con un discreto grado di certezza. Infatti oltre il corpus più che notevole dei suoi scritti, Tolkien ha lasciato un numero incredibile di lettere che sono singolarmente rivelatrici per quel che riguarda le sue fonti - autobiografiche, letterarie e linguistiche."

Bene, J.R.R. Tolkien non aveva un buon rapporto con la critica, non gli posso dare torto: è sempre difficile, se non impossibile approntare una seria critica su una opera di fantasia. E Lo Hobbit non avrebbe proprio bisogno di annotazioni e critiche per essere letto; tuttavia, in questa edizione Bompiani, Douglas A. Anderson ha pensato bene di inserire una nutrita serie di annotazioni. Io, personalmente, le trovo del tutto superflue e molte fuori luogo, comunque il testo de Lo Hobbit, quello è originale, è dell'erudito di Oxford, J.R.R. Tolkien. Le note, seppur riprese da lettere e scritti di Tolkien, sono pesanti, inutili, nel senso che oggi Tolkien probabilmente sarebbe inorridito da una simile versione annotata di questo suo capolavoro di fantasia; è come se Douglas A. Anderson avesse trasformato J.R.R. Tolkien in critico di se stesso: che immane tristezza!

Io non dico più nulla, lascio che sia J.R.R. Tolkien ad introdurvi nel mondo de Lo Hobbit: "Se vi piacciono i viaggi fuori del confortevole e accogliente mondo occidentale, oltre il Confine delle Terre Selvagge, per poi tornare a casa, e pensate di poter provare un certo interesse per un umile eroe, ecco la storia di questo viaggio e di questo viaggiatore. Il periodo e il tempo antico fra l'Età Fatata e il dominio degli Uomini, quando la famosa foresta di Bosco Atro esisteva ancora e le montagne erano piene di pericoli. Nel percorso verrete a imparare molte cose (come è capitato a lui) su Uomini Neri, Orchi, Nani ed Elfi e potrete dare uno sguardo alla storia e alla politica di un'epoca trascurata ma molto importante. Infatti il signor Bilbo Baggins andò in visita a vari personaggi di rilievo; ebbe una conversazione con il drago Smog; fu presente alla Battaglia dei Cinque eserciti. Tutto ciò è tanto più singolare in quanto egli era uno Hobbit. Finora gli Hobbit sono stati trascurati nella storia e nella leggenda, forse perché - in genere - preferivano le comodità alle emozioni. Questo resoconto, fondato sui ricordi di un anno elettrizzante nella vita solitamente tranquilla del signor Baggins, vi darà un'idea abbastanza chiara di questo rispettabile popolo che adesso (a quanto si dice) sta diventando piuttosto raro. Non amano il rumore." Questa nota è più che sufficiente a comprendere Lo Hobbit: non servono altre introduzioni o annotazioni né scritte dalla mano di Tolkien né dalla mano del più eminente critico.

Lo Hobbit è un capolavoro della narrativa fantastica, una vera pietra miliare: un consiglio, godetevi la storia e lasciate perdere le note anche se sono state tratte da alcuni scritti e lettere di Tolkien. Per chi poi volesse approfondire maggiormente il mondo, il pensiero di Tolkien, consiglio al lettore la bellissima edizione delle lettere di Tolkien sempre in edizione Bompiani, La realtà in trasparenza: questa antologia di epistole merita veramente di essere letta con profonda attenzione perché è una opera a sé. In definitiva, un ottimo libro, unica tara dell'edizione Bompiani sono le note che comunque possono essere saltate con tutta facilità. Lo Hobbit è una lettura indispensabile per avvicinarsi al mondo fantastico oltre il Confine delle Terre Selvagge, quello splendidamente inventato da J.R.R. Tolkien e non dai critici e dai commentatori o dagli annotatori.