Una sonda automatica che ha prelevato dei campioni della superficie marziana viene recuperata e portata a bordo della ISS, la stazione spaziale internazionale in orbita intorno alla Terra. L’esame al microscopio rivela la presenza di un organismo monocellulare inerte, prova incontrovertibile che esiste vita anche al di fuori del nostro pianeta. I tentativi di riattivare l’ospite marziano (“Roba da Re-Animator!” è il commento cinefilo-nerd dell’astronauta Rory Adams/Ryan Reynolds) dopo vari tentativi riescono e gli approfondimenti rivelano che i suoi tessuti hanno caratteristiche sia muscolari che neurali e fotorecettive: in altre parole in qualche modo è tutto muscoli, cervello e occhi. Dopo qualche settimana di crescita l’organismo si arresta e cade in una sorta di inspiegabile letargo per risvegliarlo dal quale decidono di provare a ridestarlo con una scossa elettrica. Calvin (così è stato denominato dai giovani studenti delle scuole) non gradisce e diventa improvvisamente aggressivo, riuscendo infine a uscire dalla zona di contenimento nella quale era stato sin dall’inizio rinchiuso. I tentativi per ricatturarlo falliscono uno dietro l’altro, la creatura cresce ora velocemente e ben presto cominciano a esserci vittime tra l’equipaggio, che deve in ogni modo cercare di impedire che raggiunga la Terra…

Diciamolo subito: Life – Non oltrepassare il limite (davvero pessimo e senza senso il sottotitolo italiano) è chiaramente un ibrido tra Gravity e Alien e visti gli incassi dei due titoli di riferimento gli autori del copione Rhett Reese & Paul Wernick (Deadpool) non devono averci messo molto tempo a piazzarlo a una delle major hollywoodiane. La Columbia Pictures/Sony ha chiamato a dirigerlo lo svedese Daniel Espinosa (Child 44) che ha raccolto la sfida con entusiasmo, decidendo di girare il tutto su pellicola anziché in digitale e trasportandoci a bordo dell’ISS con un impeccabile piano sequenza iniziale di oltre 6 minuti che permette sin da subito di ammirare anche il meticoloso lavoro di ricostruzione della stazione orbitante svolto dallo scenografo Nigel Phelps (Alien Resurrection).

Il cast, come la stazione spaziale sulla quale è ambientato, è internazionale: oltre al già citato Reynolds ci sono l’americano Jake Gyllenhaal (Donnie Darko, Source Code), la svedese Rebecca Ferguson (Mission Impossible: Rogue Nation), il britannico Ariyon Bakare (Star Wars: Rogue One), il giapponese Hiroyuki Sanada (The Wolverine) e la russa Olga Dihovichnaya (House of Others), tutti professionalmente consapevoli di essere pedine sacrificabili in un film tutto basato su un modello collaudato quanto funzionale: chi sarà il prossimo a essere fatto fuori?

Espinosa maneggia il tutto con abilità e crea le atmosfere giuste, pur avendo a disposizione un budget robusto (58 milioni di dollari) ma decisamente più contenuto rispetto ai chiari modelli di riferimento: Gravity era costato circa 100 milioni di dollari e – in attesa del prossimo – l’ultimo film della serie di Alien, Prometheus, aveva un budget di 130 milioni di dollari. Questo comporta che la creatura al centro della vicenda è interamente realizzata in CGI invece che con la combinazione tra animatronics e CGI, che di solito è quella che dà i risultati migliori. Questa scelta tuttavia per una volta appare giustificata vista la natura gelatinosa del ‘mostro’, davvero difficile da rendere in altro modo. Rimanendo nel campo degli effetti speciali comunque la qualità è garantita da Industrial Light & Magic e Double Negative, le due aziende che hanno fatto la maggior parte del lavoro.

Se per voi innovazione e originalità sono requisiti primari per la scelta dei film da vedere probabilmente Life non fa al caso vostro. Se invece il cinema di genere riuscite a gustarvelo anche nella versione "variazione sul tema" allora è lecito pensare che pensare che questo solido fanta-horror non vi deluderà. Pur nella sua palese semplicità il film offre qualche spunto di riflessione sulla potenziale pericolosità del venire a contatto con forme di vita extraterrestri e la necessità di rigidi meccanismi di protezione per evitare contaminazioni biologiche dagli effetti imprevedibili. Ma lo scopo è chiaramente quello dell’intrattenimento ad alta suspense, e la progressiva trasformazione dei tunnel della ISS in un labirintico castello degli orrori a gravità zero è inquietante e orrorifica, un incubo spaziale con una buona spruzzata di gore e che riserva anche un colpo di scena finale servito a dovere.