…una terza città, che potrebbe chiamarsi San Francisco e protendere ponti lunghissimi e leggeri sul Cancello d’Oro e sulla baia, e arrampicare tramvai a cremagliera per vie tutte in salita, e fiorire come capitale del Pacifico di lì a un millennio, dopo il lungo assedio di trecento anni che porterebbe le razze dei gialli e dei neri e dei rossi a fondersi insieme alle superstite progenie dei bianchi in un impero più vasto di quello del Gran Kan – Italo Calvino, Le città invisibili

Piove a dirotto da sempre, senza interruzioni né rallentamenti. Nemmeno se una collina frana o se una foresta entra nell'acqua che sale in fondo, qualche cosa muta dentro la pioggia. Solo i giorni e le stagioni girano toccando la luce; e questo è l'unico segno che il tempo ancora esiste – Paolo Volponi, Il pianeta irritabile

…e colossali collegamenti elicoidali, e vertiginose passerelle e gabbie d’acciaio più vaste delle grandi navi che vi passavano sotto, vi entravano, ne uscivano: mentre automobili e furgoni bianchi, azzurri o d’acciaio (non vedevo altri colori) tutti alla stessa velocità, senza tregua e senza intevalli fra l’uno e l’altro, quasi come fissati a invisibili cremagliere, percorrevano quelle rette, quelle curve, quelle elissi che s’incrociavano sopra, sotto, in ogni senso – Mario Soldati, Lo smeraldo

Uno dei fenomeni letterari degli ultimi decenni è la crescente appropriazione di temi fantascientifici da parte di scrittori che non si ritengono di fantascienza e non sono ritenuti tali dai fan del genere (che di solito si risentono della cosa). Autori con reputazioni importanti come Michel Houllebecq, Haruki Murakami, Cormac McCarthy e Margaret Atwood scrivono romanzi pienamente (o anche non proprio pienamente ma vabbè) all’interno delle "regole" del genere e vengono accettati con assoluta naturalezza da critici e da lettori, senza il benché minimo scandalo.

Questo mentre la fantascienza in quanto genere letterario separato è al suo minimo storico. Ai fasti cinematografici e televisivi si contrappone una crescente marginalità editoriale. Basta guardare lo scaffale che le è dedicato nella più vicina libreria. 

E il fenomeno non è solo italiano. Chi se la ricorda la libreria Murder One a Londra, in Charing Cross? Al piano nobile c’erano gialli, thriller, noir e spionaggio, ma scendendo una rampa di scala si trovava il più ricco e fornito negozio di fantascienza si potesse umanamente considerare. Ecco, Murder One non c’è più e la prima ad andarsene fu proprio la sezione fantascienza. Quanto a Forbidden Planet, l’altro grande pellegrinaggio londinese per gli appassionati di SF, oggi vende ben pochi libri e molti, molti gadget cinematografici e televisivi.

Però bisogna ricordare una cosa: che i romanzi di fantascienza precedono la fantascienza. H.G. Wells e Jules Verne non scrivevano ‘fantascienza’, come non ne scriveva Olaf Stapledon, l’autore di due assoluti classici come Last and first men e The Starkmaker, che in vita non scrisse nulla che non fosse ambientato nel futuro ma che non si considerava né era considerato uno scrittore di fantascienza.

Come non scrissero ‘fantascienza’ George Orwell, Aldous Huxley, Evgenj Zamjatin, Anatole France, Alfred Doblin, Mary Shelley, Emile Zola, Jack London, E.M. Forster e molti altri. Persino Ippolito Nievo scrisse una sua breve storia del futuro. Quando H.G.Wells scrisse i suoi scientific romances nessuno criticò il fatto che si svolgessero nel futuro o che ci fossero degli alieni, come nessuno criticò gli aspetti fantascientifici delle distopie di Huxley e Orwell, entrambi scrittori mainstream ben affermati; su ‘1984’ persino Benedetto Croce scrisse pagine ispirate. Allo stesso modo oggi nessun critico s’è sognato di criticare l’ambientazione post-apocalittica di La strada di Cormac McCarthy.

La fantascienza come la intendiamo noi è una costruzione americana degli anni Venti e Trenta, una specie di ghetto volontario che pretendeva di monopolizzare il racconto della futuro e della scienza. Ora la letteratura mainstream si riappropria massicciamente un tipo di narrazione che non ha mai abbandonato del tutto.

Questo vale anche per l’Italia. È noto (beh, almeno a me) che il più bel romanzo italiano di fantascienza è Lo smeraldo di Mario Soldati. E poi ci sarebbero Paolo Volponi, Enrico Morselli, Corrado Alvaro e il solito Calvino, che fu pure candidato al Nebula.

Negli ultimi anni il numero di romanzi italiani d’argomento futuribile ma al di fuori del genere è cresciuto esponenzialmente, anche da parte di autori molto affermati e vincitori di Premi Strega. D’ora in poi vorremmo segnalarveli e, talvolta, anche recensirli.

Paolo Zardi, XXI secolo (Neo Edizioni, 2015)

Candidato allo Strega. Un esempio estremamente tipico della ‘fantascienza’ mainstream. Una storia prettamente realistica – un uomo scopre che sua moglie, in coma dopo un ictus, lo tradiva da tempo – ambientata in un vicino futuro – intorno al 2030 circa – in cui la crisi economica permane imperterrita e tutto rimane fermo, disgregandosi poco a poco, un mondo simile al nostro, solo un po’ più povero, violento e disperato. Anche il progresso tecnologico pare essersi fermato – il protagonista vende depuratori d’acqua domestici, sempre più necessari.

Luca Doninelli, Le cose semplici (Bompiani, 2015)

Se il romanzo di Zardi si mantiene su una linea di semplice realismo borghese, quello di Doninelli invece è vasto, ambizioso, profetico e impegnativo, non solo una storia ma un’interpretazione del nostro tempo. Inoltre, si svolge un attimo dopo quello di Zardi, nel 2039: ora la civiltà è proprio crollata, senza grandi esplosioni, per puro esaurimento delle possibilità vitali. Non c’è elettricità né benzina né Internet, con tutte le stelle nuovamente visibili la notte. Ci si muove a fatica, in una Milano fatiscente, occupata da bande criminali oppure in mano ai cinesi. Il letterato Edoardo, armato di carta e penna, ricorda la sua storia d’amore con la matematica Chantal, una storia di ‘prima’, fra Roma, Parigi e New York, sullo sfondo della fine del vecchio mondo e, attraverso la riscoperta dello spirito da parte di Chantal, la promessa del nuovo. 

Niccolò Ammaniti, Anna (Einaudi, 2015)

Ammaniti, autore di romanzi importanti come ‘Io non ho paura’ e ‘Come Dio comanda’ (Premio Strega 2007), perfette rese dei terrori dell’infanzia e dell’adolescenza, per il suo ultimo romanzo sceglie un tema tipicamente ‘young adults’: siamo nel 2020 e un virus – la Rossa – ha ucciso tutti gli adulti e continua a uccidere chiunque raggiunga la maturità. Ambientato in una Sicilia degli orrori, fra centri commerciali saccheggiati e grandi totem di ossa umana, racconta del viaggio di Anna e del suo fratellino minore Astor, che cercano di raggiungere una fantomatica salvezza in Calabria. A differenza del ‘Signore delle mosche’ di Golding, non ci si prova nemmeno, a creare una nuova società. I ragazzi non possono fare a meno di ricreare la cultura di massa di prima della caduta, oppure obbedire al ricordo di genitori che tentarono di insegnare loro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Antonio Pennacchi, Storia di Karel (Bompiani, 2013)

Uno dei nostri scrittori più simpatici, che ha raggiunto tardi il successo con best seller storici e autobiografici come ‘Il Fasciocomunista’ e ‘Canale Mussolini’, Pennacchi dimostra una delle principali differenze fra fantascienza di genere e fantascienza mainstream: non si può abbandonare la Terra. Finché si rimane nel vicino futuro, nessuno obbietta; ma quando si lascia il sistema solare, è difficile essere presi sul serio, non tanto dalla critica quanto dai lettori. Infatti questo è stato un fiasco. Una Federazione galattica, un lontanissimo pianeta colonizzato e regredito tecnologicamente, un tentativo di riportare alla luce l’antica sapienza  tecnologica – ma la città principale di Colonia assomiglia molto alla Latina di Pennacchi, un po’ come i pianeti colonizzati nella fantascienza americana della Golden Age assomigliavano molto al Midwest…

Jacopo Barison, Stalin + Bianca (Tunuè, 2014)

Il romanzo d’esordio del giovanissimo Barison ci riporta nel mondo di Zardi, a un passo dal collasso ma con le strutture della vita sociale ancora più o meno in piedi. Ma mentre Zardi e gli altri autori fin qui citati si tengono alle regole del ‘genere’ – nel senso almeno che abbiamo ben chiaro come si sia arrivati a quel mondo futuro, cioè siamo chiaramente entro i confini del realismo narrativo,  in Barison siamo già nella ‘fabulation’, sospesi fra realismo magico, fantasy e post-moderno. Non sappiamo cosa sia successo, perché siano scomparsi gli arcobaleni o perché la violenza dilaghi quasi incontrollata, anche se ci sono ancora i cinema multisala e il giovane Stalin possa sognare di diventare un regista, mentre fugge verso una innominata capitale insieme a Bianca, una ragazza cieca di cui si è fatto guardiano ma che in realtà è rimasta il suo unico sostegno. Il tono è più fiabesco nero che strettamente fantascientifico ma l’effetto è potente.

Stefano Amato, Il 49esimo Stato (Feltrinelli, 2013)

Infine, un attimo di buonumore dopo questa infilata di future catastrofi. Il romanzo di Amato (famoso anche per il blog L'apprendista libraio) è un’ucronia in cui una sola cosa è cambiata: nel dopoguerra la Sicilia, come volevano certi indipendentisti, è stata annessa agli Stati Uniti d’America ed è diventata, appunto, il 49esimo Stato (all’epoca gli stati erano 48), uno stato ovviamente molto mafioso. I protagonisti della storia sono quattro giovanissimi punk siciliani con tanto di band, che nel 1978, durante i festeggiamenti per il trentennale dell’americanizzazione, vorrebbero fare da supporto dei Ramones, per la prima volta in tourné nell’isola. Il tono è leggero e divertente anche quando considera temi interessanti, quali il rapporto fra cultura americana e italiana.