Nell'estate del 1982 l’universo divenne d’un tratto ben più vasto di quanto fino ad allora ipotizzato. Una trentina di cosmologi, provenienti da mezzo mondo, si erano riuniti all’Università di Cambridge su invito di Stephen Hawking per un seminario di tre settimane finanziato dalla Fondazione Nuffield (e pertanto noto come “seminario Nuffield”), con l’obiettivo di sistematizzare le teorie emerse in quegli ultimi anni relative all’universo primordiale(1).

Tra gli invitati c’erano tre cosmologi che erano pervenuti più o meno indipendente a conclusioni molto simili. Il primo era Alan Guth, un giovane ricercatore allora trentacinquenne, che all’inizio di quel decennio aveva iniziato a scuotere la comunità scientifica con la rivoluzionaria idea dell’inflazione cosmica. Il secondo era Andrei Linde, della stessa età di Guth, ma proveniente da Mosca, che sembrava aver elaborato la stessa teoria in modo indipendente. Il terzo era Alex Vilenkin, il più giovane del terzetto – aveva 33 anni –, giunto negli Stati Uniti dopo che il KGB, nella sua natia Ucraina, gli aveva impedito di frequentare il dottorato all’Università di Mosca per il suo rifiuto di testimoniare contro un compagno di studi. La teoria dell’inflazione da loro proposta era davvero rivoluzionaria e risolveva parecchi problemi, ma nessuno di loro tre aveva davvero idea di quanto quell’idea fosse destinata a cambiare radicalmente la nostra idea dell’universo.

Il modello dell’universo inflazionario era stato presentato per risolvere un problema legato al cosmo primordiale. Le osservazioni dimostravano che la radiazione a microonde proveniente da ogni parte del cielo, la cosiddetta “eco del Big Bang”, è estremamente omogena, dal che si deduce che l’universo primordiale doveva possedere una densità e una temperatura molto uniforme. Tuttavia, dato il limite posto dalla velocità della luce, sembrava impossibile che regioni distanti tra loro potessero essere state in contatto, condizione necessaria per scambiarsi temperatura e densità fino a raggiungere livelli omogenei. La velocità di espansione dell’universo, infatti, impedisce questa possibilità: le diverse regioni dell’universo si sarebbero allontanate tra loro a una velocità superiore a quella necessaria per diventare omogenee. Secondo Guth e gli altri due giovani cosmologi, il problema poteva essere risolto se si ipotizzava che l’universo, subito dopo il Big Bang, avesse improvvisamente aumentato esponenzialmente le sue dimensioni. I valori posseduti dal minuscolo universo emerso dalla singolarità iniziale sarebbero stati pertanto ereditati da tutte le regioni dell’universo post-inflazione. Per spiegare questa specie di miracolo, l’ipotesi era che lo stato di energia minimo in cui attualmente si trova il nostro universo fosse stato preceduto da stati di energia ben superiori, i cosiddetti “falsi vuoti”, instabili rispetto al “vero vuoto” in cui viviamo, che è lo stadio di minima energia (una sorta di valle tra montagne dai ripidi pendii). Le enormi energie possedute da questi falsi vuoti producono una tensione repulsiva, una sorta di “antigravità”, che era già stata prevista da Einstein. Ecco quindi che una forza opposta a quella gravitazionale – una forza repulsiva – poteva essere responsabile dell’improvvisa espansione inflazionaria dell’universo primordiale, nel momento in cui, subito dopo il Big Bang, avveniva il passaggio dal falso vuoto al vero vuoto attuale.

L’era inflazionaria sarebbe durata in realtà molto poco, appena un trilionesimo di secondo o anche meno; ma durante questa fase, l’universo avrebbe aumentato la sua dimensione di 10^26, passando dalla dimensione di un singolo protone a quella di un’arancia. Da quel momento in poi, la storia dell’universo sarebbe proseguita nel modo che conosciamo: una graduale espansione, con conseguente calo della temperatura e della densità, fino a raggiungere i livelli attuali.

Modello (non in scala) di origine e espansione dello spaziotempo e della materia in esso contenuta. In questo diagramma il tempo aumenta da sinistra a destra, vengono rappresentate due dimensioni spaziali (una dimensione di spazio è stata soppressa); in tal modo, l'Universo ad un certo istante è rappresentato da una sezione circolare del diagramma.
Modello (non in scala) di origine e espansione dello spaziotempo e della materia in esso contenuta. In questo diagramma il tempo aumenta da sinistra a destra, vengono rappresentate due dimensioni spaziali (una dimensione di spazio è stata soppressa); in tal modo, l'Universo ad un certo istante è rappresentato da una sezione circolare del diagramma.

C’era un problema, tuttavia, che Guth discusse per la prima volta pubblicamente al seminario Nuffield nell’estate del 1982. L’inflazione non si arrestava. Non esisteva un meccanismo noto in grado di fermare il meccanismo inflativo una volta messo in moto. Ciò naturalmente era in disaccordo con l’osservazione: il nostro universo non si sta espandendo a un tasso inflazionario, quindi il meccanismo deve essersi fermato pochi millisecondi dopo il Big Bang. Ma non è così semplice. L’energia repulsiva responsabile dell’inflazione si esercita sull’universo attraverso un campo di forza, il campo inflativo, che secondo la teoria a un certo punto dovrebbe “decadere” per far arrestare il processo di espansione esponenziale. Paragonando questo fenomeno a quello della radioattività, che fa sì che particelle instabili decadano in altre più stabili, anche il campo inflativo possiede un’emivita, ossia un tempo entro il quale metà del campo è destinato a decadere (e a dare origine al nostro attuale universo). Ma affinché il meccanismo inflativo possa funzionare e spiegare la portentosa, rapidissima espansione dell’universo, la sua velocità dev’essere un po’ più alta di quella dell’emivita. Perciò, il campo non decade tutto insieme. Una parte lo fa, e dà origine all’universo come lo conosciamo. Un’altra parte continua invece a espandersi a ritmi inusitati. Metà di quella parte decadrà, producendo una regione stabile di universo come la nostra; l’altra metà proseguirà l’espansione inflazionaria, e così via.

La teoria della “inflazione eterna” fu proposta sia da Guth che da Linde al seminario Nuffield, ma non destò molto scalpore. “Nello scenario suggerito”, spiegò Linde nel suo intervento a Cambridge, “l’universo contiene un numero infinito di mini-universi (bolle) di dimensioni diverse, e in ciascuno di questi universi le masse delle particelle, le costanti di accoppiamento ecc. possono differire a causa della possibilità di diversi meccanismi di rottura di simmetria all’interno delle diverse bolle”(2). Pochi mesi dopo Vilenkin, che aveva iniziato a lavorare alla Tufts University a Boston, si recò a trovare Guth, che insegnava al MIT, distante pochi chilometri, e gli propose una dimostrazione matematica dell’inflazione eterna. Guth si addormentò durante la discussione e Vilenkin, scoraggiato dai riscontri di altri suoi colleghi, inserì la questione in un paragrafo del suo articolo pubblicato sulla Physical Review, dal titolo “The birth of inflationary universes”, non ritenendo fosse opportuno dedicarle un intero articolo(3). Tre anni dopo anche Linde dimostrò la stessa teoria, affibbiandogli per la prima volta il termine “inflazione eterna”. Ma anche quell’articolo, pubblicato su Physical Letters, non riscosse grande attenzione(4). Tutti erano convinti che il problema dell’inflazione eterna fosse un errore, risolvibile sviluppando ulteriormente la teoria, e non un fatto reale. Lì fuori, il cosmo non si riproduce continuamente generando infiniti universi-bolla.

Nei vent’anni successivi, l’ago della bilancia ha iniziato decisamente a oscillare a favore della teoria dell’inflazione eterna e delle sue drammatiche conseguenze. Le intuizioni di Guth, Linde e Vilenkin vennero confermate applicando allo studio del campo inflativo la meccanica quantistica. Il campo, infatti, è associato a un’ipotetica particella, l’inflatone, vera responsabile dell’inflazione cosmica. Come ogni particella, anche l’inflatone è soggetta all’indeterminazione quantistica, che fa sì che i suoi valori oscillino continuamente, sottoposti a fluttuazioni quantistiche casuali. Più aumenta l’energia, più aumentano le fluttuazioni, cosicché all’origine dell’universo l’energia elevatissima del campo inflativo doveva sottoporre l’inflatone a fluttuazioni quantistiche molto potenti. Sotto l’effetto di tali fluttuazioni, in alcuni casi l’inflatone “decade” e raggiunge l’energia minima (il “vero vuoto”); in altri casi resta inalterato. Ogni punto del campo, dunque, si comporta in modo diverso, e genera regioni dell’universo stabili e regioni dell’universo dove l’inflazione è ancora in corso. È questo il meccanismo che Vilenkin, nel 1983, aveva intuito con l’esempio dell’emivita radioattiva. L’effetto delle fluttuazioni quantistiche, che tendono a interrompere l’espansione inflazionaria, è più che compensato dalla velocità di espansione del volume di spazio permeato dall’energia del campo inflativo. Nel corso degli anni Novanta, inoltre, numerose prove iniziarono ad accumularsi a favore della teoria dell’inflazione. Il satellite COBE fornito una prima mappa dettagliata delle differenze di temperatura nella radiazione cosmica di fondo, perfettamente in accordo con le previsioni fatte dai cosmologi dell’inflazione. Nel 1998 due diversi gruppi di ricerca americani, uno dei quali guidato da Paul Steinhardt, che era insieme ai primi teorici dell’inflazione al seminario Nuffield del 1982, e l’altro da Saul Perlmutter (i due avrebbero condiviso il Nobel nel 2011) annunciarono la sorprendente scoperta di un’accelerazione nell’espansione dell’universo. Si trattava di un fenomeno che confermava ulteriormente l’ipotesi dell’inflazione.

Anche se oggi la prova definitiva, la “pistola fumante” che l’era inflazionaria all’origine dell’universo sia effettivamente avvenuta, non è ancora saltata fuori, la teoria è saldamente alla base della cosmologia contemporanea. Ma, lungi dal correggere quella sorta di “errore”, gli sviluppi successivi della teoria hanno confermato l’ipotesi dell’inflazione eterna. Se si accetta che l’espansione inflazionaria sia davvero avvenuta, quindi, bisogna accettare anche che questa espansione sia ancora in corso in regioni dell’universo al di fuori del nostro orizzonte cosmico. Gli “universi bolla”, di cui Linde aveva per la prima volta parlato nel 1982, potrebbero quindi essere reali: universi come il nostro, ma dotati di valori diversi delle costanti fisiche, all’interno di un più vasto multiverso, che il fisico Max Tegmark definisce “Multiverso di Livello I”(5) Come vedremo successivamente, infatti, potrebbero essercene di altre tipologie, basati su altre argomentazioni. Ma questo è quello che forse più si avvicina a una certa idea di universi paralleli che troviamo esposta nella fantascienza: universi simili al nostro ma che differiscono dal nostro perché le leggi della fisica prendono un’altra strada. Poiché sono tutti figli di una stessa madre – il campo inflativo immediatamente successivo al Big Bang – questi universi condividono uno stesso “set” di leggi fisiche, più o meno identiche alle nostre; ma i valori delle particelle fondamentali e di altre costanti, come aveva intuito per primo Linde, devono necessariamente differire, partendo dal diverso valore dell’inflatone nel punto del campo scalare “collassato” per dare origine a ciascun universo. In questi universi paralleli non troveremmo facilmente copie di noi stessi, perché noi esseri umani siamo il prodotto – piuttosto fortuito, peraltro – di una combinazione di costanti fondamentali, che in altri universi assumeranno valori diversi. L’esempio più brillante è quello immaginato da Isaac Asimov nel suo capolavoro Neanche gli dei(6). L’assunto da cui parte il romanzo è l’inaspettata scoperta, in un laboratorio, di un isotopo del plutonio – il plutonio 186 – che non può esistere in natura nel nostro universo, perché decadrebbe immediatamente in un atomo più stabile. In effetti, quell’isotopo proviene da un para-universo con cui il nostro è entrato in contatto, molto diverso dal nostro, dove una delle quattro forze fondamentali, la forza nucleare forte (che tiene uniti tra loro i quark, i componenti ultimi della materia), ha un valore molto superiore al nostro. L’interferenza prodotta artificialmente tra i due universi paralleli scombussola le leggi fisiche di entrambi, minacciando l’esistenza di ambedue le civiltà intelligenti.

L’ipotesi asimoviana resta nell’ambito della fantascienza. Solo attraverso di essa è possibile immaginare modi di entrare in contatti con questi universi, che altro non sono se non regioni irrimediabilmente distanti e irraggiungibili del nostro stesso “multiverso”. Ma poiché una teoria fisica acquista concretezza e validità solo in presenza di una prova, molti scienziati si sono recentemente lambiccati il cervello cercando un modo per provare se l’ipotesi del multiverso inflazionario sia o meno reale. La strada più promettente sembra quella di andare a cercare prove di possibili collisioni tra universi-bolla. Come infatti spiega il fisico e matematico Brian Greene, “se la velocità di espansione delle bolle supera la velocità a cui lo spazio che si rigonfia le allontana, le bolle entreranno in collisione”. In alcuni casi queste collisioni potrebbero avere effetti catastrofici per entrambi gli universi (ben più di quelli dello scenario ipotizzato da Asimov); ma in altri casi “due bolle possono anche sfiorarsi leggermente, senza produrre conseguenze disastrose, ma lasciando comunque tracce osservabili”(7).

Un nuovo modello dell'universo suggerisce che lo spazio-tempo retrocede all'infinito nella distanza, piuttosto che a partire da un singolo evento. Fonte Foto: NASA.
Un nuovo modello dell'universo suggerisce che lo spazio-tempo retrocede all'infinito nella distanza, piuttosto che a partire da un singolo evento. Fonte Foto: NASA.

Nel 2012 un gruppo di cosmologi e fisici dell’UCL di Londra, del Perimeter Institute di Waterloo, in Ontario, e dell’Università della California a Santa Cruz ebbero l’idea di sviluppare una simulazione con due soli universi-bolla spinti dal meccanismo inflativo, ipotizzando una collisione e verificando che tipo di traccia, visibile ai giorni nostri, avrebbe prodotto. La “pistola fumante”, in questo caso, è una struttura a forma di disco, con un particolare profilo di temperatura, individuabile nel fondo cosmico a microonde (CMB, cosmic microwave background). La struttura sarebbe il residuo di onde d’urto propagatesi in tutto lo spazio a partire dal punto di collisione, e in grado di modificare la temperature delle regioni più calde e più fredde del CMB. A partire dalla fine degli anni Ottanta, il CMB è stato oggetto delle osservazioni approfondite di tre grandi missioni, COBE e WMPA della Nasa e il più recente Planck dell’ESA. Le sonde sono riuscite a elaborare mappe sempre più precise del CMB, all’interno delle quali i cosmologi sono andati in cerca, tra le altre cose, anche di prove di collisioni tra universi-bolla. Cercando, attraverso un algoritmo ad hoc, la presenza della struttura ipotizzata dalla loro simulazione nell’immagine del fondo cosmico elaborata dalla sonda WMAP, gli scienziati scoprirono quattro segnali potenzialmente incoraggianti(8). Quando però, alla fine del 2014, sono state rilasciate le mappe più dettagliate elaborate dalla sonda dell’ESA, Planck, i segnali si sono rivelati degli abbagli.

Nella mappa prodotta da Planck, tuttavia, qualcun altro dichiara di aver visto un’altra possibile prova del multiverso inflazionario. Una “macchia” di luce più luminosa, risalente all’epoca della “ricombinazione”, una fase avvenuta circa 300.000 anni dopo il Big Bang in cui per la prima volta elettroni e protoni iniziarono a interagire tra loro creando l’idrogeno, che emette luce nello spettro del visibile. È il momento del “fiat lux”, quello in cui per la prima volta l’universo, fino ad allora del tutto buio, s’illumina. Un punto più luminoso rispetto al resto del fondo cosmico risalente a quell’epoca potrebbe significare, secondo una ricercatrice del Caltech, una collisione tra universi-bolla in quel punto, sufficiente a produrre un eccesso di elettroni e protoni e quindi un aumento della luce emessa dall’idrogeno(9). Naturalmente, così come una rondine non fa primavera, una piccola macchia non è sufficiente per gridare all’esistenza del multiverso; sia perché la difformità potrebbe rivelarsi inconsistente con le analisi successive, sia perché può essere spiegata attraverso teorie meno esotiche, sia perché l’ipotesi del multiverso è così ambiziosa che servirebbero molte prove convincenti per validarla. E c’è chi sostiene che non si riusciranno mai a raccoglierne abbastanza da trasformare l’ipotesi in scienza “vera”. Ma forse ci sono altre strade che possono condurci al multiverso. Strade che provengono sempre dalla fisica teorica, ma che sembrano dimostrare che l’esistenza di altri universi sia ben più di un’ipotesi, e soprattutto che abbia a che fare molto più con la scienza che con la fantascienza…

Note 

(1) Cfr. Alan H. Guth, Inflation and cosmological perturbations, in The Future of Theoretical Physics and Cosmology. Proceedings of the Stephen Hawking 60th Birthday Conference, Cambridge University Press, 2002. arXiv:astro-ph/0306275v1

(2) Andrei D. Linde, The new inflationary Universe scenario, in The Very Early Universe. Proceedings of the Nuffield Workshop, Cambridge, 21 June to 9 July, 1982, Cambridge University Press, 1983.

(3) Cfr. Alex Vilenkin, Un solo mondo o infiniti? Alla ricerca di altri universi, Raffaello Cortina Editore, 2007, pp. 118-119.

(4) Cfr. John Gribbin, In Search of the Multiverse, Penguin Books, 2009, p. 135.

(5) Max Tegmark, L’universo matematico. La ricerca della natura ultima della realtà, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 140 ss.

(6) Isaac Asimov, The Gods Themselves, 1972; tr. it. Neanche gli dei, Mondadori, 1995.

(7) Brian Greene, La realtà nascosta. Universi paralleli e leggi profonde del cosmo, Einaudi, 2012, p. 212.

(8) Wainwright et al., “Simulating the universe(s): from cosmic bubble collisions to cosmological observables with numerical relativity”, Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, marzo 2014.

(9) Ranga Ram Chary, “Spectral Variations of the Sky: Constraints on Alternate Universes”, Astrophysical Journal (prossimamente). arXiv:1510.00126