Accadde il 19 aprile del 1972.

In un caldo mercoledì di primavera, Napoli si preparava ad accogliere il concerto di una band inglese, in tournée in Italia per promuovere il terzo LP.

Il nome della band: Genesis. L'album: Nursery Cryme.

I nomi dei musicisti sono noti a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la storia del rock. Peter Gabriel, Steve Hackett, Tony Banks, Mike Rutherford, Phil Collins.

La scelta dell'Italia non era causale. Nonostante avessero realizzato fino a quel momento ottimi dischi (soprattutto Nursery Cryme e il precedente Trespass, pietre miliari di quel genere musicale, tanto in voga in quegli anni, noto come Progressive Rock), i Genesis erano pressoché sconosciuti nel proprio paese; avevano trovato invece un seguito via via crescente nel resto d'Europa, specialmente in Belgio e in Italia.

Napoli era la tappa finale di quel tour italiano, iniziato il 6 aprile a Feltre, e anche la più prestigiosa. Per la prima volta, infatti, i cinque avevano la possibilità di esibirsi in un vero e proprio teatro, dopo avere suonato (spesso con grossi problemi d'acustica) in palazzetti dello sport e in night club più o meno grandi.

Quel 19 aprile del 1972 i Genesis avrebbero tenuto due concerti (alle 16 e alle 21) al Teatro Mediterraneo, bellissima location nel quartiere di Fuorigrotta. Il gruppo alloggiava a pochi metri di distanza, all'Hotel Domitiana, in Viale Kennedy, di fronte al parco di divertimenti Edenlandia. Nel corso della giornata il gruppo si divise: Tony Banks e Mike Rutherford restarono in albergo, gli altri andarono a divertirsi all'Edenlandia.

Banks e Rutherford stavano componendo nuovi pezzi per l'album successivo, le pause tra un concerto e l'altro erano fondamentali per dedicarsi all'elaborazione di testi e musica. Tra il materiale già pronto c'era una base, composta pochi giorni prima, molto probabilmente a Reggio Emilia.

I due si affacciarono alla terrazza dell'albergo alla ricerca dell'ispirazione per il testo. Una Napoli, normalmente frenetica e vitale, apparve ai loro occhi deserta e quasi spettrale. Immaginarono un alieno che guardasse dall'alto quei luoghi e ammirasse le vestigia di un pianeta un tempo abitato e ora privo di vita.

L'idea dell'estinzione del genere umano vista dagli alieni riprendeva il celebre romanzo di fantascienza Le guide del tramonto (Childhood's End, 1953) di Arthur C. Clarke. Grazie a un'ispirazione così "forte" il testo fu pronto in pochi minuti. Così, tra un volo alieno su Napoli e un pensiero al buon Clarke, prese corpo una delle canzoni più note del gruppo: Watcher of the Skies.

Una lunga introduzione al mellotron (uno degli strumenti simbolo della musica progressive) eseguita da Banks, preludio alla prima strofa cantata da Peter Gabriel.

Watcher of the skies, watcher of all

His is a world alone, no world is his own,

He whom life can no longer surprise,

Raising his eyes beholds a planet unknown.

Quella canzone divenne il brano d'apertura dell'album seguente, intitolato Foxtrot, pubblicato nel mese di ottobre del 1972. Secondo molti (me compreso) il miglior album dei Genesis, uno degli LP fondamentali della storia del rock, insieme ai successivi Selling England by the Pound e The Lamb Lies Down on Broadway.

Il ricordo di quella giornata partenopea e dell'ispirazione che ne derivò fu riferito da Tony Banks in un'intervista rilasciata qualche anno dopo.

Mike and I wrote the lines to "Watcher Of The Skies" in Naples at the back of a hotel, staring out over this landscape. It was totally deserted. It was incredible. We had the idea of an alien coming down to the planet and seeing this world where obviously there had once been life and yet there was not one human being to be seen.