Syfy, il canale via cavo USA dedicato alla fantascienza e al fantastico, ha puntato molto sulle due produzioni che sono partite in questa seconda metà di dicembre, Childhood's End e The Expanse, entrambe tratte da famosi romanzi. Ma ci sembra non essere riuscito a fare centro in nessuno dei due casi.

The Expanse è stata concepita come serie; i primi episodi appaiono lenti e incapaci di far presa sullo spettatore, ma c'è tempo forse di rifarsi.

Childhood's End invece, tratto dal romanzo di Arthur C. Clarke Le guide del tramonto, è una miniserie di tre episodi di due ore, andata in onda in tre giorni consecutivi. E il bilancio purtroppo è risultato decisamente negativo.

Il libro e il film

Metto subito in chiaro un punto: non sono tra coloro che condannano un film o una serie tv per le eventuali discrepanze o differenze rispetto al libro da cui sono tratte. Penso anzi che una cosa sia il libro e una cosa debba essere il film – ancora di più, una serie – e quindi un adattamento, a volte anche importante, possa essere persino necessario. 

Naturalmente questo non vuol dire che non si possano poi criticare le singole scelte. Quando qualche anno fa Syfy girò un adattamento del Fiume della vita di Farmer fece scelte, come quella di sostituire il protagonista sir Richard Burton con un astronauta americano, assolutamente criticabili, e infatti il film fu un disastro ed ebbe critiche pessime.

Ora, in tutta onestà devo ammettere di aver letto il libro di Clarke diversi decenni fa e di ricordarlo solo a grandi linee; anzi, sono andato a rileggermi la trama su Wikipedia per verificare se alcune cose viste nella serie fossero così anche nel libro o meno.

Qualche recensore online si scandalizza perché Rikki Stormgren – nella serie diventato Ricky – non è il segretario generale dell'ONU ma un contadino americano, interpretato da Mike Vogel (Under the Dome). La scelta è curiosa, ma non mi ha certo sconvolto. I problemi della serie sono ben altri.

Di cosa parla

L'inizio di Childhood's End è drammaticamente simile a quello di Independence Day. Assistiamo a una serie di eventi strani, aerei che si bloccano in cielo, trasmissioni televisive e telefoniche che smettono di funzionare, e quindi enormi astronavi che arrivano nel cielo anticipate da enormi nuvoloni neri, proprio come quelle di ID4. Si passa quindi alla reminiscenza di Contact quando le persone in tutto il mondo si vedono di fronte i loro morti che annunciano loro di chiamarsi Karellen,  supervisore per il pianeta Terra, e di essere venuti in pace.

Gli alieni dicono di essere venuti per aiutare i terrestri a esprimere il loro pieno potenziale. Impongono la pace, la non violenza, impongono ai terrestri di sfruttare meglio le loro risorse e in breve obbligano i terrestri a entrare in una sorta di età dell'oro. C'è chi si oppone in nome della libertà di scelta, come il giornalista Wainwright (Colm Meany), ma in breve vengono messi in un angolo e isolati.

Senza indulgere in spoiler, i terrestri scopriranno ben presto che il piano degli alieni non è esattamente quanto si aspettavano.

Sbagliare l'obiettivo

La scelta di Syfy, e il suo più grave errore, è stato quello tipico degli sceneggiatori televisivi poco avvezzi alla fantascienza: puntare tutto sui personaggi e sui risvolti umani. Spesso questa scelta è vincente: in qualche caso, come questo, è distruttiva. 

Childhood's End è una storia che segue diverse linee ed è spezzata in tre parti, ognuna delle quali separata dall'altra da grandi intervalli di tempo. Ciò che accade nel romanzo sono eventi di portata planetaria, parlano dell'evoluzione della specie umana e dell'entrata in una nuova fase dell'esistenza come specie. C'è un afflato cosmico, in parte mistico.

La produzione di Syfy perde completamente questa prospettiva. Gli enormi cambiamenti attraverso i quali passa l'umanità vengono illustrati sbrigativamente attraverso poche frasi pronunciate dai personaggi, ma la sostanza che ci viene mostrata attraverso le immagini, una realtà quasi immutata da quella a cui siamo abituati, non è conseguente e anzi risulta contraddittoria. Inoltre gli sceneggiatori si dilungano su controtrame aggiunte, come la storia di Ricky e del suo dilemma tra il ricordo della prima moglie morta e l'amore per la seconda moglie, che hanno poco o nulla a che fare con la vicenda e che spezzano in modo drastico la tensione narrativa della storia.

La terza parte della miniserie per un buon quarto del minutaggio è occupata da sogni e ricordi di Ricky: praticamente obbligatorio per lo spettatore che sia riuscito a rimanere ancora sveglio mettere mano al telecomando per cliccare il fast forward.

Childhood's End avrebbe dovuto essere una serie da riprendere con grandangolo, il regista Nick Hurran e lo sceneggiatore Matthew Graham invece innestano lo zoom per farci vedere i dettagli. Mentre nel mondo succede di tutto, loro spiano cosa accade nella cucina della casa di campagna di Ricky Stormgren.

Ritmo, questo sconosciuto

Talvolta ci lamentiamo che le produzioni moderne siano troppo infarcite di azione, alla ricerca di ritmo veloce, senza soffermarsi a pensare. Ecco, questo tipo di lamentela con Childhood's End non è proprio possibile: siamo anzi al problema opposto. Eppure la serie non cominciava male; la parte dell'arrivo degli alieni è narrata in modo forse scontato e che ricorda mille altri film del genere, ma abbastanza con brio, riesce a tenere lo spettatore interessato. Piano piano però il ritmo scende; già nella seconda parte è un gran parlare concludendo poco, con una colonna sonora monocorde che certamente non aiuta.

La terza parte è di una lentezza quasi inguardabile; persino la parte ambientata a New Athens, che nel libro di Clarke è una città modello, un esperimento sociale dove gli umani stanno cercando di creare un nuovo modo di vivere fuori dal dominio degli Overlord (Superni), è di una noia esasperante: la città non è altro che New York con il suo traffico, le cui doti ci vengono solo brevemente raccontate a voce e dove la gente per divertirsi va al cinema a vedere vecchi film in bianco e nero con James Stewart.

Quando finalmente si arriva alla drammatica conclusione l'unica reazione emotiva dello spettatore è il sollievo per la fine della propria sofferenza.