— Certo che lo sei! Se non fossi corso a chiamare il comandante non avrebbero rinchiuso Albert!— Non perdiamo tempo — fece Rosario passando avanti. — Non ci metteranno molto a scoprirci.Albert camminava davanti a lui, con passo svelto. Il sudore gli infradiciava il collo e la schiena, ma non scottava e sembrava abbastanza in forze.— Tu che dici? — gli chiese Rosario. — Pensi anche tu che il magazzino non sia sicuro?Lo sentì borbottare qualcosa, senza cogliere le parole.

— Non verranno mai a cercarlo qui — ripeté Marcus.

— Ma verranno a chiudere il varco — protestò di nuovo Julio. — Ci sarà una processione qui dentro.

— Io la penso come Marcus — disse Rosario. — Stanno mantenendo tutto sotto segreto, quindi chiuderanno il buco senza far troppo casino. Verranno in pochi e Albert si nasconderà. Hai visto quanto è grande, qui? Tra tutti questi scaffali, armadi e robaccia sarà uno scherzo non farsi vedere.

— Se lo dite voi. Ancora non ho capito perché lo avevano isolato, però.

Rosario non aveva raccontato nulla ai ragazzi del racconto di Cristina Biur. Non voleva spaventarli con la storia delle zanzare velenose. Guardò Albert, che copriva la bolla con una mano. La dottoressa Biur aveva detto che sul pianeta c’erano diversi tipi di insetti e non tutti erano letali. La bolla di Albert era rimasta sempre minuscola e Rosario era sicuro che non si trattava di una incubatrice di insetti assassini. Lo avrebbe nascosto finché la bolla non fosse sparita, per dimostrare a tutti che Albert non era pericoloso.

Perché sapeva che gli adulti lo avrebbero ucciso, per proteggersi.

— Era una punizione — spiegò a Julio.

— Addirittura!

— Non hai sentito Dirk? — ribatté Marcus. — Voleva arrestarci. Tutto per un gioco!

Albert barcollò e finì contro uno scaffale semivuoto. Crollarono entrambi in un frastuono di polvere e ruggine. Rosario si affrettò a raggiungerlo. Quando si chinò vide che la mano di Albert era scivolata via dall’avambraccio.

— Non lo aiuti? — chiese Marcus.

Rosario di allontanò di un paio di passi.

— Che cazzo ha vicino al gomito? — pigolò Julio.

La bolla viola sporgeva per almeno un paio di centimetri. Qualcosa sembrava muoversi sotto la pelle.

Julio si chinò a guardarla. — Che schifo!

— Allontanati da lui! — gridò Rosario.

Julio lo guardò, con la bocca ancora piegata dal disgusto. Un attimo dopo Albert gli fu addosso, i denti affondati nella sua fronte.

Rosario non rimase a guardare. Le gambe lo trascinarono via, mentre le urla di Julio straziavano il soffitto del magazzino. I passi pesanti di Marcus lo tallonavano.

— Che succede? Che cazzo succede? — frignava il ragazzone.

Rosario lo ignorò. Correre, solo questo aveva importanza. Muovere le gambe, finché possibile, fino a che il fiato lo avrebbe sorretto.

O fino a che una parete rossastra di ruggine non decidesse di porsi tra lui e la salvezza. Rosario arrestò la corsa, intontito dalla paura e l’indecisione sulla direzione da prendere.

Marcus si lasciò andare a una tosse asmatica. — Cosa ha fatto Albert a Julio?

Il respiro pesante di Marcus era l'unico rumore a sovrastare il cuore di Rosario. Le urla di Julio erano ormai spente. — Lo ha ucciso.

Marcus spalancò la bocca. Tutta la spavalderia del più grosso del gruppo si era disciolta.

— Ho fatto una cazzata a liberarlo — continuò Rosario. — Ucciderà anche noi.

Marcus recuperò un grossa chiave inglese da una scaffalatura. — Che ci provi. Gli spaccherò la testa.

— Non puoi ucciderlo! O diventeremo come lui. — Marcus assunse un’espressione interrogativa. Rosario cercò di spiegarsi meglio. — Quella bolla sul braccio. È piena di insetti come quelli che lo hanno punto. Se lui muore, la bolla scoppia e se veniamo punti… diventiamo come lui.

Ci fu solo il tempo di percepire il ringhio bavoso di Albert, prima di vederlo apparire lungo il corridoio di scaffali da cui erano arrivati Rosario e Marcus. Arrivò veloce, quasi a balzi, con le dita artigliate e i denti scoperti. Il viso e il petto erano lordi di sangue dal colore ancora vivido. L’attenzione di Rosario di concentrò sugli occhi incrinati dalle vene gonfie di furia nel momento in cui Albert lo spingeva contro il muro spalancando le fauci.

L’urto gli offuscò la vista. Nella nebbia percepì una macchia rossa che esplodeva sulla testa di Albert. Scivolò sul pavimento, mentre l’altro cadeva di lato.

— Ti ha morso? — La voce di Marcus lo riportò alla realtà. Era stato lui a colpire Albert alla testa con la chiave inglese.

Rosario scosse la testa e accettò la mano di Marcus per aiutarsi a tornare in piedi. — No. Sto bene… grazie.

Albert mugugnava sul pavimento. Spinse le mani nella polvere, gocciolando sangue da una ferita alla tempia. Con un balzo ruotò su se stesso e scattò subito all’attacco di Marcus. Riuscì ad atterrarlo mentre la chiave inglese fendeva l’aria e cadeva lontano.