Torna a interessarsi al suo libro. Lo sfoglia, anzi, lo accarezza, lo annusa, e poi passa a un altro. Lo mostra a Ennis: – Questa casa editrice pubblica tutto quello che riesce ad adattare a parole nostre. Ennis annuisce fingendo interesse, dice ancora: – Bello. Lei lo fissa, inespressiva, poi torna al libro, si china sulle pagine, di nuovo le accarezza, le annusa. Poi passa a un terzo libro. – Qui hanno tradotto gli impulsi ritmici degli scarfi. Conosci gli scarfi? Comunicano con impulsi.

– Certo – dice Ennis – impulsi ritmici.

– Bravo. Sei gulio.

– Gulio?

– È un farismo, una parola farese, una lingua che parlano i coloni valba sul pianeta Blijin.

– Oh, sì, è un farismo. Quest’anno vanno di moda i farismi.

– Sei proprio gulio.

Ennis non ne può più, troppa inutile socialità. Stare tra gli altri è come stare su un palcoscenico: una fatica da attori giovani. E lui è stanco. E poi a che serve? Si alza e si avvia all’uscita salutando Lis con un leggero cenno e una breve dilatazione delle narici. Arriva un vocione dal tavolo accanto: – Lis! Sempre a spendere i tuoi rimuneri in libberi!

– Si chiamano libri e sono contenitori d’arte e vita – risponde subito Lis, con un tono da “ecco, siamo alle solite”. Il collega Phebis le fa sempre questi commenti: – Quei libbri sono accumulatori di polvere! Lasciali alle cantine dei satelliti-museo!

Lis si alza, con impeto afferra la sua torre di Babele di libri e se ne va. Senza salutare. Poco dopo anche Ennis è fuori.

In corridoio ora non c’è nessuno, solo la musica diffusa durante le pause. È musica del pianeta Volta, è la musica naturale prodotta da quel qualcosa di simile al vento che spira su quei paesaggi fatti di colonne d’acqua che danzano in campi di forza insoluti. Ennis non ama questa musica, preferisce i suoni creati dai maestri musici della città di Pan Sel, sul pianeta Tri Pu Oh, quelli che suonano strizzando le meduse facantine.

Ecco, ora Ennis è giunto sulla soglia della sua serra idroponica: è tempo di mungere. Entra nel suo sancta sanctorum  lasciando tutto e tutti di fuori.

Lunga inspirazione. Breve apnea. Lenta espirazione. Ennis è pronto.

Opera a mani nude. Estrae la pianta dal pannello di galleggiamento, la tiene sollevata un minuto a sgocciolare sul bagno nutritivo, poi lento la conduce sul banco di mungitura. Con la mano sinistra sostiene alla base del fusto la Datura innoxia, nella destra impugna una lunga siringa.

Con movimento lento avvicina l’ago estrattore ai filamenti delle radici, è da lì che la pianta espelle le molecole terapeutiche. Nel liquido nutritivo in cui le piante vivono sono presenti sostanze che stimolano le radici a produrre e rilasciare le preziose “lacrime”, così le chiama Ennis.

– Voglio le tue lacrime – sussurra mentre riempie varie volte la siringa.

Quando la mungitura termina, Ennis posa la siringa e avvita un tappo di chiusura sul bicchiere che ha colmato. Poi si avvia alla vasca, deve reinserire la pianta nel pannello di galleggiamento.

Ennis è fermo, fissa il vegetale, le radici che paiono respirare. Un tempo, nel periodo della scuola agronomica, in un libro cartaceo aveva letto una frase che diceva “ …quella radice era impastata nell’esistenza”. Perché se ne ricorda adesso?

Forse perché ha ancora nelle orecchie, e nel lobo frontale destro, le parole dei colleghi, le notizie, le infinite notizie, le novità che non finiscono mai. E i libri di Lis, e la musica. E lo spot col neonato che piange: come potete mangiare tranquilli mentre sul pianeta Gasdi si sta esaurendo la fonte di vita?

Tutto gli vortica in testa, lo disturba. Torna a respirare concentrando l’attenzione, fissandola all’essenziale: alla radice.

Ennis è lento, metodico e delicato nel reinserire il cespuglio delle radici nel foro del pannello di galleggiamento. La prima mungitura è terminata, nella vasca altre settanta piante lo attendono. Torna al bicchiere colmo di liquido ricco di molecole di Atropina e Scopolamina. Svita il tappo e infila a bagno la sonda di un visore microscopico.

Su uno schermo appaiono le molecole. Sembrano pianeti, sistemi planetari inseriti in ammassi galattici. Un universo di molecole, contenuto in quel singolo bicchiere, trattenuto nella sua mano. Quella è l’esistenza, quello è l’infinito.

Lui che è taciturno e non partecipa mai ai dibattiti coi colleghi, ora parla, rivolgendo la parola a una singola molecola, indicandola sul visore: – Tutto è altrove, ma tu sei qui presente, esistente. Io ti vedo, ti conosco, non sono ignorante perché ho questa conoscenza. Può essere l’unica conoscenza che ho, ma vale una galassia. Da sola vale quanto le notizie di mille notiziari, di un miliardo di notiziari. Perché uno vale quanto un miliardo in rapporto all’infinito. Io sono impastato nell’esistenza.