Sebbene gli anni passino, il punto di partenza è sempre lui, George A. Romero, con i suoi zombi che si aggirano lenti e impacciati tra i vizi di un'America a misura del consumismo da tv. Sono i morti viventi che invadono ogni giorno i centri commerciali, dilapidano fortune ai casinò, si perdono nei reality. Anche se sepolta da un mare di ironia, dimostrano di averlo colto pure in casa Capcom con la serie Dead Rising che, nonostante il cambio di sviluppatori, prosegue senza tentennamenti lunga la strada tracciata da Keiji Inafune nel 2006, produttore anche di questo secondo capitolo. Forse la mancanza cronica di imitatori di una formula tanto ricca, quanto unica nel panorama odierno e soprattutto l'originalità spigolosa di un titolo che non incatena il giocatore, ma si lascia condurre attraverso i suoi bivi, saltando da una tessera all'altra del mosaico incontro ai diversi finali, a seconda di come si è saputo o voluto sfruttare il tempo a disposizione, ne ha conservata intatta la freschezza.

Come il vecchio protagonista (il mitico fotoreporter Frank West), anche il motociclista Chuck Green deve fare i conti con le lancette di un orologio che scandiscono inesorabili le ore che lo separano dall'epilogo dell'avventura. L'obbiettivo primario è sopravvivere. In realtà nulla di così complicato, dato che nessuno vieta di attendere i soccorsi al sicuro nel rifugio. Ma fuori c'è una città che è un immenso luna park pieno di zombi e aspetta solo di essere scoperta in ogni suo mistero. E qui il videogame si apre a decine di missioni o semplici divertissement abbandonati alla libera iniziativa del giocatore, che ha l'imbarazzo della scelta su come spendere i suoi tre giorni virtuali a Furtune City, la capitale dell'azzardo modello Las Vegas invasa dai morti di Dead Rising 2.

Rispetto al passato il cronometro è stato ingentilito, ma all'inizio comunque il tempo sembra non bastare mai, mentre si corre a destra e a manca cercando di destreggiarsi al meglio tra i mille incarichi. Non si può fare tutto, almeno non al primo giro. Ecco quindi che il gioco non si esaurisce in una tornata e anzi vive di un gustoso prova e riprova, un puzzle videoludico simile al Giorno della marmotta di Ricomincio da capo. Ci sono persone da salvare, una cospirazione da svelare, bizzarri psicopatici da eliminare, la medicina che la figlioletta di Chuck deve assumere quotidianamente.

Dead Rising 2, come il predecessore, è caratterizzato da una forte vena comico grottesca, però gli sviluppatori, i canadesi Blue Castle, hanno non da meno spinto sul clima di urgenza del secondo capitolo. Dalla sperduta cittadina del Colorado dove era incominciata l'infezione, l'azione si sposta nella nuova mecca dei peccati fondata sulle ceneri della vecchia Vegas, in un mondo ormai costretto a convivere con l'epidemia, al punto che gli zombi sono diventati la carne da macello di un cinico show televisivo contro cui si scagliano gli attivisti della neonata associazione per i diritti dei non morti.

Pur mantenendo salda la struttura portante del gioco, elaborata nei particolari - come le armi modificabili alla McGyver nel capanno del bricolage o l'aggiunta del multiplayer ispirato al reality – ma non nell'essenza, senza strafare il team americano dimostra di saper reinterpretare l'opera originale nipponica mediando con gusti più occidentali, spostando intanto le influenze da Zombi a una rilettura follemente colorata delle atmosfere disperate della Terra dei morti viventi e compiendo in fondo quell'operazione autorale che caratterizza seguiti cinematografici, come nella saga dei 28 giorni e settimane dopo.