Sono trascorsi cinque anni dalla pubblicazione del Manifesto del connettivismo, ma a che punto ci troviamo adesso lungo la strada che ebbe inizio nel dicembre del 2004? È per rispondere a questa domanda, anche in seguito agli spunti emersi dalla NextCon-09, tenutasi a Milano lo scorso 21 novembre, che vogliamo redigere adesso una breve raccolta di considerazioni.

Siamo due dei firmatari di quel manifesto e forse è il caso di precisare che quelle che andremo a esporre in seguito sono nostre valutazioni personali, senza alcuna pretesa di unanimità o di uniformità. Troppo spesso, in questi anni, le critiche implicitamente mosse ai connettivisti hanno fatto a meno di prendere in considerazione i loro lavori, postulando una specie di blob che tenderebbe ad assimilare tutto in un amalgama indefinito, finendo con il soffocare ogni autonomia personale. È anche per sgombrare il campo da incomprensioni simili che riteniamo utile questa nostra riflessione congiunta.

Il nostro progetto aveva e ha l’obiettivo di aggregare esperienze e prospettive eterogenee, ma accomunate dalla stessa sensibilità: l’attitudine a interrogarsi sul presente assumendo il punto di vista del futuro, il coraggio di non fermarsi sulla barriera del tempo, ma spingere lo sguardo oltre il contingente, la volontà di trovare nuovi spazi di sperimentazione all’intersezione tra i generi e non al di fuori di essi.

Crediamo che gli interstizi non rappresentino le zone franche di separazione tra i settori dell’immaginario, ma il loro tessuto connettivo. È insinuando gli occhi attraverso di essi che confidiamo di poter cogliere punti di vista obliqui sulla realtà che ci circonda. A ben guardare, è quanto la fantascienza va facendo fin dalle sue origini, usando gli strumenti della letteratura fantastica e del terrore dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento: cercare un’angolazione inusuale per far detonare le contraddizioni del mondo in cui viviamo. I connettivisti hanno deciso di farlo dandosene una ragione programmatica che va al di là dell’espressionismo ermetico del Manifesto. Ma, forse anche per via della forma esuberante di quel documento, molti dei nostri intenti sono stati finora fraintesi e travisati e questo ha offerto gioco facile ad attacchi ingiustificati.

Interpretare il Manifesto, analizzarlo per trarne conclusioni razionali, è il lavoro che dovrebbe restare in secondo piano per non imporne le linee alla stregua di un dogma. Andrebbe al contrario visto come la scintilla che ha innescato il processo, e tutt’al più dovrebbe essere letto per trovare un fondo comune nell’ispirazione delle opere di quegli autori che hanno deciso di rifarsi a esso, lasciandosi coinvolgere dal suo tono provocatorio ovvero affrontandone criticamente i presupposti. In questo preciso momento (cinque anni dopo la pubblicazione del Manifesto originario, in prossimità della fine imminente del primo decennio del XXI secolo), avvertiamo l’utilità di precisare gli spunti che stavano dietro le sue indicazioni e, in qualche misura, vogliamo offrire con queste riflessioni una chiave che superi la sua natura criptica senza tradirne l’essenza.

Anche questo dovrebbe dare una misura di come la direzione indicata nel Manifesto non sia una raccolta di leggi e istruzioni scolpite nella pietra, quanto piuttosto un flusso in continuo divenire, un movimento che sia la risultante delle direzioni indicate da persone che pensano con la propria testa e parlano con la propria voce. In questa pluralità costruttiva di sguardi, non va dimenticato che i connettivisti si sono resi protagonisti della prima esperienza di questo tipo fiorita in Italia. E forse è il caso di ricordare anche che, senza disconoscere la paternità del cyberpunk (e, se è per quello, anche l’influsso diretto della New Wave inglese) e l’affinità con il filone postumanista venuto alla ribalta nel corso di questo decennio nella letteratura britannica e in quella americana, australiana e canadese, l’esperienza connettivista rappresenta un unicum nel panorama nazionale e, per molti versi, conserva prerogative estranee alle correnti estere citate. Pur prediligendo scenari caratterizzati da un profondo e radicale mutamento sociale innescato dalla tecnologia, i connettivisti non si limitano alla semplice lettura postumanista del futuro e di certo non possiamo essere scambiati per l’organo di propaganda delle associazioni transumaniste (come pure è stato insinuato nelle discussioni che hanno coinvolto il nostro operato): non c’è alcuna volontà divulgativa o apologetica, nei nostri lavori, ma ci sforziamo di condurre con il massimo rigore critico possibile un’indagine delle ricadute future delle tecnologie implicite nel nostro presente. La nostra utopia è immaginare mondi, immaginare alienità. E non rinunciamo a fotografare i versanti più impervi e suggestivi dell’immaginario che si affaccia sul deserto della realtà.

Come connettivisti, sentiamo in questo momento l’importanza di indagare il panorama del futuro codificato nel mondo che ci circonda. Un panorama, questo, che oscilla in fluttuazioni convulse tra la prospettiva cupa di un “futuro zero”, disinnescato, annichilito e appiattito sul presente, e quella di ardua decrittazione di un futuro alieno, impossibile da anticipare nella densità dei presupposti che si sovrappongono nel nostro presente. Abbiamo sempre prediletto le possibilità di contaminazione e per questo riteniamo che l’ibridazione sia ormai nel nostro Dna. Tra le strade che ci sono date, da connettivisti ci proponiamo di addentrarci sempre di più nello scenario di una “fantascienza ripotenziata”, che impieghi senza riserve gli strumenti del genere anche al di fuori dei suoi confini, approfittando della fluidità e mobilità degli stessi anche per contribuire ad allargare la base dei lettori della fantascienza. Non rinneghiamo l’audacia della fantascienza, ma al contrario la riteniamo indispensabile ed è nostra intenzione servircene diffusamente, farla nostra per insinuare ovunque il seme del futuro.

Non più distinzioni, ma immersioni e compenetrazioni. E i margini come nuovi spazi di indagine.

Il territorio da esplorare è vasto e ciascuna delle voci che ha voluto o vuole dichiararsi “connettivista” è libera – come lo è stata finora – di percorrere i propri personali itinerari di scoperta.

Rendiamo reale il futuro, è tutto quel che conta. E facciamolo con le radici ben piantate nel presente.

 

Gli autori desiderano ringraziare per la loro collaborazione nella messa a punto di questo documento: Salvatore Proietti, Lukha Kremo Baroncinij, Fernando Fazzari, Francesco Verso e Francesca Fuochi.