Con il doppio episodio di The End of Time si chiude un ciclo importantissimo della storia del Doctor Who, con l’addio al decimo dottore David Tennant, uno dei più amati di sempre, almeno a giudicare dai sondaggi. Tennant infatti, nel corso degli ultimi quattro anni, era riuscito ad interpretare al meglio l’essenza del personaggio, e la sua dipartita è un peso che ci siamo trascinati per tutti gli speciali di questo 2009. Ci sono due modi per guardare questa doppia puntata: gli occhi del fan e quelli del telespettatore occasionale. Per il primo si tratta di un’esperienza intensissima ed epica, la perfetta chiusura di un cerchio a cui partecipano tutti coloro che hanno contribuito alla rinascita del Doctor Who in questi ultimi anni. Per il secondo si tratta probabilmente di un finale molto autoreferenziale e particolarmente costellato da incongruenze.
La storia narra appunto dell’ultimo viaggio della decima reincarnazione del dottore, evento che era stato ampiamente preannunciata da tempo attraverso una profezia degli Ood. Ad accompagnarlo c’è un po’ tutta la sua storia, a partire dalla sua nemesi, il Master, interpretato da uno straordinario John Simm (Life on Mars, 24-hour Party People) che per l’occasione si esibisce in una performance a dir poco memorabile, di quelle che da sole valgono il prezzo del biglietto. Raramente infatti mi è capitato di vedere un attore in grado di cogliere la vera essenza della follia, del disagio e del tormento come in questa occasione. Il paragone che salta subito alla mente è quello con il Jocker di Heath Ledger, ma se possibile il personaggio interpretato da John Simm è ancora più istrionico, ed è in grado di trasmettere una venatura umoristica e grottesca che non sottrae spessore al personaggio, ma anzi ne alimenta la profondità. Assurda, grottesca, esilarante, in perfetto stile Monty Python è la scena madre dei miliardi di Master che popolano improvvisamente l’intero pianeta in un’apoteosi di quella che è l’essenza dello humour britannico. Anche questa vale il prezzo del biglietto. Un’altra grande sorpresa per questo finale è la presenza di un’altra icona inglese, il vecchio James Bond nell’incarnazione di Timothy Dalton, che per l’occasione veste i panni di Rassilon, Lord President e fondatore della società dei Time Lord alle prese con l’estremo e spietato tentativo di salvare Gallyfrey e la sua razza dall’inferno dell’ultima grande guerra temporale. Dalton ci offre un’interpretazione sorprendente, già dai primi fotogrammi in cui compare risulta evidente come la sua presenza scenica sia imponente, ma è nella seconda parte, con la scena del dialogo al concilio dei Time Lord, che ci offre un’altra valida giustificazione al prezzo del biglietto. Riguardo a Tennant, è come al solito in forma smagliante e perfettamente in parte nel ruolo che gli si è cucito addosso e che lo ha consacrato nel firmamento degli attori britannici, spero per lui che non rimpianga la scelta di aver preso altre strade come è avvenuto in passato per altri interpreti del dottore. Come da tradizione, nella parte finale si intravede la reincarnazione del nuovo dottore, che come è noto è il giovane Matt Smith, che avrà il non facile compito di sostituire Tennant nel cuore dei fan. La scelta di un dottore così giovane, come anche quella di affidare il timone della serie a Stephen Moffat (autore di quello che è considerato dalla critica come il miglior episodio del Doctor Who: Blink), è certamente rischiosa, ma a suo tempo anche la coppia Russel T. Davies/David Tennant, che pure ha prodotto uno dei migliori cicli del dottore, era stata criticata aspramente. Tornando a questo The end of Time, per quanto riguarda la sceneggiatura, ormai abbiamo capito che Russel T. Davies ha abbracciato completamente la teoria del nonsense, secondo la quale non è importante la coerenza del processo logico che porta ad un’azione, ma l’unica cosa che conta veramente è l’effetto che questo produce. In questo senso è un’operazione assolutamente inutile parlare di buchi, salti narrativi o incoerenza, perché la vera essenza del Doctor Who è proprio quella di incarnare lo humour britannico in salsa fantascientifica, e per definizione la natura dello humour britannico è il nonsense.
Doctor Who is dead, long live Doctor Who.
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