Nella notte tra domenica e lunedì 26 maggio la sonda Phoenix Mars Lander, lanciata dalla NASA nell’agosto dello scorso anno, si è posata dolcemente sulla tundra artica nell’emisfero settentrionale del Pianeta Rosso. Dopo nove mesi, durante i quali sono stati percorsi 633 milioni di chilometri, il veicolo spaziale ha iniziato il tuffo nell’atmosfera marziana per ridurre in un tempo brevissimo la velocità dagli iniziali 20.000 ai circa 8 chilometri l’ora necessari per toccare il suolo senza danni.
“Sette minuti di terrore”, così i tecnici chiamano la discesa su Marte, durante i quali gli elaboratori di bordo, in completa autonomia, devono orientare la navicella, separarla dallo scudo termico, dispiegare i paracadute, estrarre il supporto di atterraggio e accendere i retrorazzi per la decelerazione finale.
Il Phoenix Mars Lander ha infatti adottato la tecnica di atterraggio verticale, l’unica in grado di garantire un contatto “dolce” con la superficie come richiesto per carichi ingombranti e delicati.
Solo nel lontano 1976 le sonde gemelle Viking, lanciate in occasione delle celebrazioni per il Bicentenario degli Stati Uniti, erano riuscite in tale impresa. Le rover Spirit e Opportunity che stanno esplorando l’equatore marziano hanno raggiunto la superficie del Pianeta Rosso grazie ai collaudati airbag che però comportano un atterraggio estremamente rude e non controllato.
La missione Phoenix replica il tentativo già effettuato con il Mars Polar Lander che nel dicembre del 1999 si schiantò sulla superficie di Marte a causa di un anticipato spegnimento dei razzi frenanti. Proprio tale fallimento diede il via a un profondo riesame del programma di esplorazione di Marte con l’effetto di cancellare le missioni già in allestimento. Proprio da queste prende nome la sonda Phoenix, essendo stata realizzata grazie al riutilizzo di componenti e strumentazioni altrimenti dimenticate nei laboratori, con un contenimento significativo dei costi.
Scopo della missione è la ricerca nel sottosuolo ghiacciato della regione polare di molecole organiche, testimonianza di tracce di vita passata o presente sul Pianeta Rosso. Equipaggiata con un braccio robotizzato dotato di trivella, benché non mobile a causa del peso e dimensioni, Phoenix potrebbe fornire la tanto attesa prova che la vita non è un fenomeno esclusivo del pianeta Terra.
8 commenti
Aggiungi un commentoIo ci credo D'AVVERO.
Ma quali tsunami e uragani ma non ti sei mai accorto che sono solo degli effetti speciali forse solo le vittime sono vere
saludos
Questo me lo chiedo da un pezzo anch'io.
saludos
Non è mio costume intervenire nei commenti su qualcosa di cui sono autore, ma mi sento di proporre una risposta alla domanda ripetuta sul perchè di queste imprese.
L'India, potenza tecnologica emergente, ma con drammatici problemi sociali, ha varato un programma di esplorazione lunare con sonde automatiche costosissimo. Il fine è principalmente quello di creare un "catalizzatore" intorno a cui far prosperare e offrire opportunità ai giovani tecnici e scienziati. Da cosa poi nasce cosa, anche con tangibili benefici sociali.
Un grande progetto, non solo spaziale, è proprio ciò che manca all'Italia che infatti sta rapidamente regredendo a uno stadio pre-industriale.
science for science's sake quindi? devo dire che ha senso...
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