Esattamente come il Principe di Persia di Ubisoft, anche questa nuova produzione che viene dal Canada sarà una trilogia. Ma non finiscono qui i punti in comune tra Assassin’s Creed e l’avventura iniziata con le Sabbie del tempo. Anche se Ubisoft sottolinea che si tratta di due serie indipendenti, senza bisogno di scavare troppo è facile riconoscere una stretta parentela tra entrambi i progetti sviluppati a Montreal o, spingendosi un po’ più in là, tra Assassin’s Creed e il primo Prince of Persia di Jordan Mechner, l’originale. Gli eleganti duelli con la spada, basati quasi esclusivamente sulle contromosse, dal ritmo musicale, sono un chiaro riferimento al capolavoro del 1989. In Assassin’s Creed, tuttavia, i combattimenti rappresentano appena uno degli ingredienti di un titolo di più ampio respiro, che intende piuttosto proporsi come nuovo paradigma della libertà di azione.

Si interpreta Altair, un sicario del XII secolo con l’incarico di eliminare sistematicamente una serie di obbiettivi, che si nascondono ad Acri, Gerusalemme e Damasco. L’anno è il 1191, durante la Terza crociata, e il personaggio appartiene alla setta degli hashshashin, realmente esistita in Medio Oriente intorno a quell’epoca. Pur se con precisi riferimenti e un pregevole lavoro di ricerca storica alle spalle, la vicenda è inserita in un contesto di fantasia, con collegamenti ai generi più disparati, dalla science fiction al teo thriller. Dietro tutto, l’idea che i geni conservino tracce della memoria dei nostri antenati e la religione sia forse la più grande bugia di sempre. Risposte precise, in verità, non vengono date, rimandando con un finale aperto ai capitoli seguenti, che avranno molti nodi da districare. Le battute conclusive di Assassin’s Creed danno in pasto uno stuzzicante minestrone di mysteri, che spaziano dalle visioni apocalittiche dei maya alle linee di Nazca, alla perduta civiltà di Yonaguni. Lo stesso fa la materia ludica, che in questo primo capitolo mostra solo una parte del suo potenziale.

La componente più importante è l’interazione tra Altair e il paesaggio, nel segno di quello che promette di essere un leit motiv dei videogame prossimi venturi, ossia il free running, disciplina estrema fatta di acrobazie sui tetti e scenografici salti da un cornicione all’altro. L’applicazione di queste dinamiche nell’universo di Assassin’s Creed si risolve nel gioco in un incredibile verticalismo spaziale, che consente di esplorare le incantevoli metropoli medievali in lungo, in largo, di sbieco e soprattutto in altezza, attraversando ogni risvolto delle famose tre dimensioni con invidiabile naturalezza grazie a un sistema di azioni consone al contesto e all’approccio scelto, furtivo o aggressivo.

L’altra interazione, quella con la folla, numericamente impressionante, non restituisce altrettanta fluidità, limitandosi a eventi prestabiliti, come duelli, borseggi, pedinamenti che costituiscono il ripetitivo iter di raccolta informazioni e studio di una via della via di fuga che precede l’assassinio. Elementi su cui Ubisoft avrà modo di lavorare nei prossimi episodi, per arricchire quella che è comunque già una struttura affascinante, aperta alla creatività del giocatore, pronto a immergersi in un contenitore multimediale di grande atmosfera. La ricercatezza architettonica, l’orizzonte che si stende a perdita d’occhio, ricordando le ultime conquiste tecnologiche... E i colori. Ciascuna città è virata su una tavolozza specifica, marchio di fabbrica di Ubisoft, che ha colto nella fotografia un mezzo efficace per trasmettere emozioni. Anche nei videogiochi.