L'idea

"Abbiamo risvegliato il sogno" è stato il motto della campagna pubblicitaria (se vogliamo chiamarla così) per il lancio della nuova serie di Robot. E per noi è stato davvero così. Franco Forte, che ha avuto l'idea, e io, che ho lavorato insieme a lui e a Curtoni per realizzarla, siamo della generazione che quando usciva Robot faceva i suoi primi passi nel mondo della fantascienza. Robot ci ha in un certo senso svezzati, e il ricordo di questa rivista è rimasto indelebile. Quasi un imprinting, che ci ha portato inevitabilmente, nel corso degli anni, a cercare di replicarla, di farla rivivere.

Ripensandoci ora le prove di questa influenza mi appaiono evidenti. Penso ad esempio ai primi anni ottanta, quando iniziati a pubblicare, insieme a Paolo Pavesi, la fanzine La Spada Spezzata. Chi andammo a scomodare per avere un nome importante sul primo numero e già che c'eravamo un'intervista sul secondo? Vittorio Curtoni, che allora lavorava ancora per Armenia, Aliens aveva chiuso da non molto e lui dirigeva, quasi in incognito, Omicron.

Franco da parte sua verso la fine degli anni ottanta fu tra i promotori di una rivista che a Robot doveva moltissimo, per impostazione e stile (disegni di Festino compresi): Ucronia. Inutile dire che quando si trattò di creare la prima rivista online di fantascienza italiana, Delos, con Luigi Pachì, il modello al quale ci ispirammo poteva essere uno solo.

Chi l'avrebbe mai detto che un giorno saremmo riusciti a far tornare in vita quello che per noi era un monumento del passato? A dirlo così sembra davvero impossibile, quasi un controsenso. Come il voler risvegliare un sogno. Eppure è accaduto: ecco come è andata.

La voglia di fare una rivista di carta c'era, c'è sempre stata, naturalmente. Quanti sono gli appassionati di fantascienza che hanno questa fissa? Una bella percentuale, senza dubbio. Ma avevamo valutato le prospettive, e alla fine avevamo convenuto che era troppo dispendioso, troppo rischioso e richiedeva troppo lavoro. Così il progetto era tornato nel cassetto. Ma quando Franco mi ha telefonato, ormai quasi un anno fa, proponendo l'idea di pubblicare Robot, tutte quelle obiezioni sono improvvisamente diventate meno importanti.

L'idea ci ha appassionato subito, e non solo noi: anche Vittorio Curtoni, protagonista imprescindibile, e Giuseppe Festino l'hanno accolta con entusiasmo. Sono letteralmente saltati sulla sedia.

Ma una volta passata l'emozione sono subentrati i dubbi. Realizzare una rivista, e realizzarla bene, richiede soldi, certo, ma soprattutto richiede lavoro. Tanto, tantissimo lavoro, da parte di chi sceglie pezzi e racconti, da parte di chi disegna, da parte di chi impagina. Con la prospettiva niente affatto remota di lavorare gratis.

E un'altra cosa preoccupava soprattutto Curtoni, artefice della Robot originale: quella di non essere in grado di realizzare un prodotto all'altezza. Alla fine degli anni settanta non era difficile reperire sul mercato, a prezzi molto bassi, racconti di grandissima qualità dei più grandi autori di fantascienza. E le pubblicazioni di fantascienza vendevano bene: Robot superava le ventimila copie, e quando chiuse aveva ancora una tiratura che farebbe invidia, oggi, persino e Urania.

Tanto noi quanto Curtoni però abbiamo sempre creduto molto nella fantascienza italiana. Si decise quindi di partire con autori del nostro paese per poi cominciare dai numeri successivi, una volta che fosse stato chiaro il budget sul quale si poteva contare, a inserire qualche racconto tradotto.

Un po' recalcitrante, il Vic nazionale acconsentì a provare, a vedere cosa succedeva. E la macchina si mise in moto.