"C'è qualche tua opera che ami particolarmente e che secondo te è stata poco apprezzata?"

"Sì, La mostra delle atrocità, che verrà ripubblicata dalla Re/Search di San Francisco in una nuova edizione illustrata. Per me è sempre stato uno dei miei libri più importanti; lì ho cercato di analizzare quello che succede nel punto in cui si incontrano il sistema dei media e il nostro sistema nervoso. Qual è il reale significato della morte di Marilyn Monroe o dell'assassinio di Kennedy? Come agiscono su di noi a livello neurale, a livello dell'inconscio? Questi eventi dei media, il suicidio della Monroe, l'assassinio di Kennedy, l'elezione di Reagan (riportata nel libro quindici anni prima dell'evento reale) hanno qualche significato nascosto nella nostra mente, influenzano la nostra immaginazione secondo modalità impreviste? Io ho cercato di analizzare gli schemi del mondo in cui viviamo. Ecco perché è stato un libro importante per me. Ho coltivato a lungo l'idea di scrivere un altro libro dello stesso tipo, una specie di seguito, e l'idea non mi ha abbandonato: forse uno di questi giorni lo farò." Ecco come rispondeva James Graham Ballard a Richard Kadrey e David Pringle in un'intervista del 1988 (che adesso si può leggere nel libro J. G. Ballard, edito dalla Shake). L'edizione americana a cui Ballard allude, arricchita dalle interessantissime note e da quattro nuovi racconti (su cui è stata condotta questa traduzione, ma senza, ahimé, le affascinanti illustrazioni) sarebbe uscita nel 1990. L'ipotetico "seguito", invece, lo stiamo ancora aspettando, e chissà mai se lo vedremo. La mostra delle atrocità è dunque un libro particolarmente caro al suo autore. Ma noi lettori abbiamo il diritto di chiederci se questa sua convinzione sia fondata, se anche a un occhio esterno questo libro abbia il valore particolare che gli assegna Ballard. La mia risposta è, senza alcun dubbio, sì. La mostra delle atrocità rappresenta nell'opera dell'autore inglese un punto di snodo importantissimo. E' un libro che getta una luce diversa e rivelatrice sui romanzi e i racconti di fantascienza scritti precedentemente, e pone le premesse per le opere che seguiranno. Né prima né dopo Ballard ha mai scritto un libro del genere (sinora, e se non porrà mano al progetto di "seguito" di cui ha parlato in varie occasioni). Eppure, leggendolo, noi comprendiamo meglio l'atmosfera di regressione psichica di Deserto d'acqua, la curiosa tensione utopica di Foresta di cristallo, la sconfitta degli astronauti vivi e morti di La prigione di sabbia, l'ebbrezza di La civiltà del vento, la tristezza del Gigante annegato, la sottigliezza filosofica di Cronopoli. E crediamo di capire anche perché nel 1984 Ballard abbia sentito il bisogno di abbandonare la fantascienza ancora più radicalmente di quanto non avesse fatto con La mostra delle atrocità, con Crash e con L'isola di cemento, per portare alla luce, a quarant'anni di distanza, le radici delle sue ossessioni e della sua ispirazione narrativa, cioè gli anni trascorsi nel campo di concentramento di Lunghua presso Shanghai dal 1943 al 1945; crediamo di capire perché abbia dovuto scrivere L'impero del sole.