Cari lettori, anche stavolta (come a novembre 2003 con "Julian Berry" alias Ernesto Gastaldi) ho pensato, Delos consenziente, di modificare l'impostazione di questa rubrica. Ho ridotto a una paginetta la mia introduzione facendola seguire da una corposa intervista, convinto che l'autore del racconto di turno avesse parecchie cose interessanti da dirci.
Mi riferisco allo scrittore Domenico (Nico) Gallo, attivo in campo fantascientifico dalla fine degli anni Settanta (lettore del genere dai Sessanta). Gallo è, credo, un personaggio particolare. Dalle sue risposte all'intervista (estesa più del previsto, ma scorrevolissima) emerge lo "spaccato" palpitante d'un mondo poco noto, specie ai più giovani. Apprendiamo cosa e come era la fantascienza per alcuni appassionati, in anni definitivamente scomparsi.
Qualcuno ricorderà che anche Vittorio Curtoni (protagonista di numerose esperienze, prima da fan poi da professionista della sf) ha scritto al riguardo, nella sezione saggistico-autobiografica della sua antologia Retrofuturo. Storie di fantascienza italiana (Shake, 1999); in altra occasione (Delos n. 58) proposi in questa rubrica brani saggistici di Antonio Caronia che esemplificavano aspetti del fervore teorico generato dalla fantascienza negli anni '70; ancora, a novembre '99 intervistai per Delos Claudio Asciuti, fresco vincitore del Premio Urania con La notte dei Pitagorici: anch'egli tornava con la memoria a quel periodo & connessi. Ma ho pensato che valesse la pena scavare ulteriormente in quegli anni - cruciali per la fantascienza in genere - e trarne ulteriori notizie e visioni, nuove sfaccettature, per sottolineare al lettore odierno in che modo alcuni (non pochissimi, a esser sinceri) "vivevano" questa narrativa; cosa si faceva per portare avanti certe idee; quanto seguito avesse un concetto di fantascienza vissuta in intima connessione col reale, oltre ad essere essa divenuta spontaneamente "elemento della cultura alternativa e giovanile"; e poi ancora cose non banali, e altre che al disincantato occhio odierno potranno magari apparire... un po' folli.
Tutto ciò propongo non tanto per ribattere la campana di risvolti socio-politici in quella narrazione viscerale e "massimalista" del mondo che spesso è stata la più genuina science fiction, ma perché gli eventi che Gallo riesce intensamente (e da autentico scrittore) rievocare, rappresentano un coacervo di dettagli inediti; fanno sempre parte - in definitiva - della "nostra storia".
Oggi la fantascienza raramente accende gli animi; se lo fa, è di solito per una sua maggiore o minore ortodossia scientifica, per il suo aspetto più o meno letterario, per la bontà o superficialità delle traduzioni; se si tratta di un film, si sottolinea la genialità dei trucchi (spesso considerati sostanza); più di rado la discussione verte sull'individuazione d'un qualche significato meno esplicito dell'opera, a qualunque livello. Come dire che abbiamo attraversato una grossa trasformazione. Evito banali confronti; semplicemente rilevo e sottolineo che sono esistiti periodi in cui la science fiction poteva, da molti, essere vissuta differentemente e avere essa stessa un senso diverso. Verosimilmente anche le cose, intorno, erano molto diverse.
Il racconto di Gallo che propongo, Front End Dance, è un'opera visionaria e complessa, robusta eppure sottilmente malinconica (preannunciatrice tra l'altro di tematiche antiglobalizzazione oggi ben note): insomma una tipica storia alla Domenico Gallo. Apparve in Sangue sintetico (peQuod 1999), un'antologia curata da Roberto Sturm che ricercava problematiche radici cyberpunk in autori nostrani. Il racconto è del '97: come si apprende dall'intervista, alla narrativa l'Autore è giunto relativamente tardi, dopo esperienze di saggista e di fondatore/curatore di fanzine.
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