Il titolo di questo intervento richiama quello del libro di Maurizio Balistreri Sex robots. Love in the age of machines [1] in cui l’espressione “L’amore al tempo delle macchine” risulterebbe forse un po’ vaga, se non fosse preceduta da “Sex robots”, che a sua volta significa “robot sessuali”, ma potrebbe riferirsi all’appeal sessuale dei robot in quanto tali. Per capire che cosa intendo, basta guardare anche solo una delle tante iperrealistiche immagini di ginoidi disegnate dall’illustratore giapponese Hajime Sorayama. Il termine “ginoidi” si riferisce a dei (delle) robot con sembianze femminili, la cui caratteristica è di essere molto affascinanti, pur mantenendo il loro aspetto di robot.

In Balistreri invece l’argomento è trattato non solo in modo neutro, come si conviene a un discorso filosofico, ma la figura del robot è quella di una macchina costruita in modo da replicare il più possibile l’essere umano, senza peraltro cessare di essere una macchina nella sostanza. Balistreri parla dunque di androidi e ginoidi costruiti a immagine di uomini e donne, e capaci di sostituire le donne e gli uomini nei casi in cui un essere umano biologico non sia disponibile, ad esempio nei viaggi spaziali e negli avamposti extraterrestri [2] ma anche in tutte le altre situazioni in cui esistano difficoltà ad avere relazioni affettive e sessuali con un essere umano.

Le implicazioni morali ed etiche della questione sono varie e sfaccettate, e scritti come quelli di Balistreri ci confermano che il rapporto con i robot e con l’intelligenza artificiale è ormai diventato un argomento mainstream, non più confinato alla fantascienza. Ciò non toglie che la fantascienza se ne sia occupata già da molto tempo, anche se limitiamo il discorso all’ambito affettivo e sessuale, e malgrado il luogo comune che la fantascienza, in particolare quella dei primordi, evitasse di parlare di sesso (in ogni caso, compensava con le illustrazioni di copertina dei pulp).

Il prototipo delle ginoidi, cioè degli androidi femmina, risale al 1886, ed è rinvenibile in Eva futura (1886) di Villiers de l’Isle-Adam, che usa per la prima volta il termine “androide”. La Eva del romanzo è infatti un robot di nome Hadaly [3] costruito nientemeno che da Thomas Alva Edison come copia di una ragazza di nome Alicia, di cui riproduce le fattezze ma non il carattere.

C’è qui l’idea di una riproduzione che migliora l’originale, eliminandone i difetti. Piuttosto che accusare l’autore di misoginia (siamo ancora nell’Ottocento), è meglio porsi la questione sulla quale ruota l’intero dibattito su macchine, robot, androidi e Intelligenza Artificiale. Il punto è infatti che da un lato stiamo a chiederci se una IA possa diventare cosciente, ma al tempo stesso temiamo che i replicanti cibernetici [4] possano non solo essere troppo simili a noi, ma addirittura meglio.

La copertina di “Galaxy” del settembre 1954, disegnata da Ed Emshwiller, rappresenta un tecnico che ripara una donna-robot. Già tre anni prima Isaac Asimov pubblica Soddisfazione garantita [5] una storia in cui un robot androide di nome Tony (sigla TN-3) viene portato come domestico in casa di una donna, Claire Belmont, il cui marito lavora per la US Robots, la ditta costruttrice del robot.

L’idea è che un robot simile a un umano possa essere più facilmente accettato, e Claire funge da beta-tester. L’esperimento funziona al punto che la donna si innamora del robot, un risultato non previsto che (prevedibilmente) viene ritenuto inaccettabile. Perciò il robot fallisce perché sostituisce fin troppo bene non solo un domestico umano, ma addirittura anche il marito di Claire. In questo geniale racconto, c’è già tutta l’ambivalenza degli umani rispetto agli essere artificiali.

Tra il 1954 e il 1974 Sidney Jordan realizza Jeff Hawke, un fumetto di fantascienza che ha fatto epoca. Nel 1976 Jordan realizza una nuova serie, ambientata nel 2076, il cui protagonista è Lance McLane, un personaggio che si sostituisce a Jeff Hawke prima che sia lo stesso Hawke a sostituirsi a lui, nel senso che Lance McLane prende poi il nome di Jeff Hawke, e in questa veste avrà una relazione con una androide femmina di nome Fortuna.

Una scena tratta da <i>Ex Machina</i>
Una scena tratta da Ex Machina

Se Jordan risolve in modo “progressista” la questione dell’amore al tempo dei robot, altri esplorano la cosa in modo più problematico. In Ex Machina, film del 2015, Alex Garland ci presenta una bella e intrigante androide, Ava, che di fatto è una IA in forma umana. Il suo costruttore, Nathan Bateman, invita il giovane programmatore Caleb Smith nella sua casa-laboratorio, gli presenta Ava, e gli chiede di verificare se sia autocosciente. La ginoide supererà il test facendo innamorare Caleb, e inducendolo ad aiutarla a fuggire dalla villa.

Il punto di contatto tra la fiction fantascientifica e la ricerca teorica è fornito dall’idea di poter trasformare una sex-doll snodabile in un androide dotato di movimento e di intelligenza artificiale. Le sex-doll sono quasi sempre di aspetto femminile [6] e la ricerca va per lo più in questa direzione, ma ovviamente nulla impedisce di creare bambole sessuali di aspetto (e anatomia) maschile.

Il tema degli androidi creati con scopi specificatamente sessuali è stato affrontato in particolare da Francesco Verso nel suo romanzo E-Doll [7] vincitore del Premio Urania.

Note

[1] Trivent, Budapest, 2022.

[2] Maurizio Balistreri, “Le questioni morali e le implicazioni psicologiche della riproduzione, del sesso e delle relazioni affettive nelle missioni spaziali”, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, 14 (3), 2023, 148-167.

[3] Auguste de Villiers de l’Isle-Adam, “L’Ève future”, pubblicato a puntate in La Vie moderne (18 luglio 1885 – 27 marzo 1886) e poi raccolto in volume dall’editore Maurice de Brunhoff nel 1886.

[4] Il termine “replicante” per indicare gli androidi è stato usato nel film di Ridley Scott “Blade Runner” (1982) tratto dal romanzo di Philip Dick “Do Androids Dream of Electric Sheep?”, Doubleday, New York, 1968.

[5] Isaac Asimov, “Satisfaction Guaranteed”, Amazing Stories, aprile 1951. Il racconto è incluso nel volume “Earth is Room Enough” (1957) ma risulta assente dalla corrispondente edizione italiana “La Terra è abbastanza grande”, Editrice Nord, Milano, 1975.

[6] Una bambola sessuale, di aspetto femminile e a grandezza naturale, è la co-protagonista del film “Life Size” di Luis Garcia Berlanga (1973) con Michel Piccoli.

[7] Francesco Verso, “E-Doll”, Urania n. 1552, Mondadori, Milano, 2009.