Nonostante quest'anno la distanza tra il nostro alloggio e la sala delle proiezioni sia considerevolmente inferiore rispetto agli scorsi anni, siamo riusciti a perdere il film del mattino. Sentendoci in colpa per la nostra grossolana dabbenaggine, abbiamo optato per una passeggiata ristoratrice, che avrebbe portato nuova linfa alle nostre menti un po' affaticate dal binge watching e ci avrebbe dato la giusta carica per recuperare la pellicola persa. Attraverso il bosco giungiamo a una trattoria molto accogliente e decidiamo di accomodarci a un tavolino per scrivere il nostro reportage baciati dal sole. Ma come si sa il tempo passa in fretta quando ci si diverte ed è ormai ora di pranzo. Un dilemma ci attanaglia: correre a casa attraverso il sentiero nel bosco o assecondare il naturale svolgersi degli eventi in direzione di una sugosa grigliata? La nostra deontologia professionale ci obbliga ad assecondare l'istinto e divoriamo la carne mentre le nostre dita continuano la loro unta corsa saltellante sulla tastiera del computer. Tutto questo per dire che, anche se avremmo potuto vedere il film del mattino in un secondo momento, non l'abbiamo fatto.

Lo Sean Connery che ricorderemo.
Lo Sean Connery che ricorderemo.

Ma puntuali come la buonanima di Sean Connery, il cui motto in merito era “sono sempre puntuale, se ritardo è perché sono morto”, alle 14 ci facciamo trovare in Sala 1, pronti per l'immersione nello spazio dei corti. Tra riciclaggi di esseri più o meno umani, intelligenze artificiali, tetri stop-motion e novelli Frankenstein la scelta dei più interessanti non è facile. Una delle paure rispetto al futuro che sembra tornare più volte è quella relativa all'essere gettati via perché obsoleti o difettosi. Che la nostra corsa verso una perfezione standardizzata ci stia creando delle pressioni? A vedere The recycling man e Human Trash sembrerebbe proprio di sì.

In Néo Kòsmo, prodotto italiano di ottima fattura, viene rappresentato un futuro non troppo lontano in cui le persone si nascondono dietro, o dentro, visori vr creando attorno a sé un vuoto soffocante, di cui solo un bimbo e una robo-tata sembrano percepire l'esistenza. Dalla mancanza quasi totale di sentimenti si passa all'amore, e al bisogno di amore, che sfida la morte. 

Frank & Mary, nato da una campagna di crowdfunding su Kickstarter, rivisita la storia di Frankenstein in chiave molto umoristica: un appassionato quanto goffo bricoleur riporta in vita la moglie e si dimostra pronto ad assecondare ogni sua bizzarra abitudine alimentare, a dimostrare che il vero amore non conosce barriere.

In Gabriel invece, facciamo la conoscenza di quell'amore che, una volta incontratosi con la morte, porta via con sé una parte di noi che sembra impossibile provare a riportare in vita.

Frank(enstein) & Mary (Shelley?)
Frank(enstein) & Mary (Shelley?)

Giusto il tempo per tamponarci le lacrime e veniamo catapultati nel presente un po' straniante del documentario Coded Biasche indaga sulle tendenze comportamentali inconsce (bias) finite negli algoritmi che regolano le IA. Si va dalle problematiche tecniche relative al riconoscimento facciale (che in molti casi riconosce meno bene i visi delle donne o degli afro-americani) a un più ampio – e talvolta fumoso – problema di diritti civili. Tutto parte da una studiosa del MIT e arriva a includere molti personaggi, in gran parte donne. Un documentario stimolante e avvincente, viziato solo da un pochino di retorica di fondo. Per capirci, potreste confrontarlo con Zero Days, presentato anni fa qui al Trieste Science+Fiction: pur avendo terreno molto più fertile per una visione critica e semi-rivoluzionare, preferisce insinuare dati nella mente degli spettatori per far nascere in loro le teorie. D'altronde Christopher Nolan ci aveva avvertito anni fa: per impiantare efficacemente un'idea è necessario che il sognatore la percepisca come propria.

Non è quel Thor, ma è comunque un Thor.
Non è quel Thor, ma è comunque un Thor.

Alle 20.00 ci aspetta Mortal, la nuova fatica del regista norvegese di Troll Hunter e di Scary stories to tell in the dark. Un giovane americano recatosi in Norvegia per cercare i suoi lontani parenti sviluppa poteri soprannaturali che lo porteranno, aiutato da una dolcissima psicologa, a scoprire un albero genealogico di tutto rispetto. Gradevole e non banale riattualizzazione dei miti norreni e delle leggende relative a un ritorno delle loro maestose divinità dopo il Ragnarok. Molto coraggiosa la scelta del regista di prendere la figura di Thor, ormai dominio della Marvel, per costruire un film in cui l'eroismo e l'epicità non sono contemplati e in cui invece dell'imponente e luccicoso Mjöllnir c'è un piccolo, arrugginito e sgrausissimo martello da fabbro.

Ancora immersi in una dimensione fantamitica veniamo violentemente catapultati in una realtà a tratti troppo vicina alla nostra. La sola lettura della tagline ci fa sbuffare: pandemia e auto-isolamento. No, basta. Siamo saturi. L'introduzione del simpatico ed entusiasta regista Johnny Martin, ex stuntman di successo, spinge però a concedere ad Alone una possibilità. E non facciamo poi così male. Ok, il tema è trito e ritrito (un virus pandemico che trasforma gli esseri umani in zombie), ma nel complesso la visione è gradevole. Ecco, il finale però no. Quello non si può vedere. Già amore e pandemia fa arricciare il naso ma la chiusura del film sulle parole “insieme ce la faremo” è veramente troppo.

Uno dei killer più simpatici e inquietanti di sempre.
Uno dei killer più simpatici e inquietanti di sempre.

E chiudiamo in bellezza con un film che è difficile non amare. Benny Loves You di Karl Holt è uno di quei film low-budget che, anche a ora tarda e dopo una giornata di film, di tiene sveglio fino alla fine. Echi di Chucky – La bambola assassina, effetti materici e digitali ben bilanciati, umorismo a pacchi e l'assurdità della trama: un orsacchiotto ama a tal punto il suo “padrone” da uccidere qualsiasi persona non sia lui. Tonnellate di sangue in quella che pare essere un'opera molto personale, tanto che il regista, prima della proiezione, racconta di come abbia girato quasi tutto in casa e sua madre fosse microfonista (il protagonista del film è un coetaneo del regista e abita ancora con la madre). Che dire: viva il gore e dormiamo felici, ripensando a quel Dylan Dog in cui i conigli rosa uccidevano.