Guida ai super robot è un titolo che non spiega pienamente di cosa tratta il tuo libro. Non è un catalogo di schede sulle serie tv dedicate ai robottoni (schede che peraltro sono comunque presenti), ma una riflessione su un particolarissimo genere narrativo dalle caratteristiche molto compatte. Quand'è che hai cominciato ad accorgerti che dietro alle alabarde spaziali e ai magli perforanti c'era qualcos'altro?

Il tema dell’orfano alieno lo avevo notato da bambino; credo che i nodi fondamentali, per la mia esperienza, siano stati Goldrake, Diapolon e Daltanious. Tre punti fanno un piano. La questione del rimosso nagaiano, del passato che si ripresenta sotto forma di avversario, la conoscevo perché era stata al centro di alcune riflessioni che circolavano nei Novanta, in concomitanza con la prima ondata di pubblicazioni di manga in Italia. Il resto è venuto di conseguenza quando negli ultimi tre anni sono tornato sul genere per motivi di ricerca narratologica: ho notato che il passato che si ripresenta di Nagai cambia di forma e slitta di significato se connesso al tema dell’orfano alieno; i finali di Baldios e God Sigma confermavano che la questione della circolarità del tempo era centrale. Il che a sua volta si legava alla dimensione visionaria, un po’ solipsistica, delle vicende del tipico eroe super-robotico, a quel clima onirico, così differente da quello delle storie che si basano sulla guerra tra popoli. Le storie di super robot sembravano parlare, più apertamente di altre, di una dimensione psichica, interiore, il loro impianto e i loro oggetti somigliavano a quelli delle teologie.

Per quanto riguarda il problema della tecnica, anch'esso era già stato affrontato abbondantemente in relazione alle opere di Nagai; ho semplicemente cercato di capire come si integrasse nel contesto più ampio della super-robotica, nel suo percorso evolutivo.

Jacopo Nacci
Jacopo Nacci
Nel libro fai uso di termini ricorrenti per circoscrivere alcuni concetti chiave, come il "padre della tecnica" (figura paterna che detiene un sapere scientifico-tecnologico) e l'"abisso" (dimensione oscura con risvolti sia materiali sia psicologici). Le hai inventate tu o le hai prese a prestito da altri?

Le ho inventate io. Mi servivano dei termini per identificare dei nuclei concettuali, delle posizioni su una mappa ideale, identificarli in modo forte, sufficientemente sintetico, con dei nomi che indicassero il loro ruolo nella singola storia super-robotica e nella storia della super-robotica, in modo da poter seguire l’evoluzione del singolo concetto e notare le differenze (per esempio la connotazione sciamanica di alcuni padri della tecnica, quelli di Diapolon e Daltanious) e talvolta le opposizioni (come in God Sigma, in cui il padre della tecnica distrugge il suo stesso archetipo). Mi serviva perché avevo bisogno di maneggiare dei concetti ricorrenti senza dover continuamente fare mente locale per saltare dal piano del significante a quello del significato e viceversa, e a un certo punto mi sono reso conto che non potevo più farne a meno neanche nell’esposizione, che si basa in gran parte su questo tenere assieme significante e significato. Quando formalizzi rimane più semplice operare connessioni, e rischi molto meno di commettere errori concettuali. 

Vale un po' per tutti i generi narrativi, ma quanto secondo te gli autori dei vari studios erano consapevoli dell'uso di questi stilemi e dei temi a essi sottesi?

Domandone. Da una parte, c’è sicuramente un clima – che non riguarda solo la super-robotica – con situazioni e figure che tendono a tornare, e talvolta si può avere l’impressione che gli autori siano talmente immersi in quelle situazioni e fra quelle figure da non vederle, come i due giovani pesci di Questa è l’acqua di D.F. Wallace. D’altra parte è plausibile che, per esempio, un anime intitolato UFO Senshi Diapolon debba qualcosa a UFO Robot Grendizer (Goldrake). Per formazione e metodo tendo a occuparmi delle opere in se stesse, senza indagare la psicologia e le intenzioni dell’autore empirico, reale, ma solo quelle dell'autore implicito, la figura di autore inscritta nell’opera, che si forma dall’opera e vive nell'opera. Riguardo alla storia della super-robotica ho parlato di un’elaborazione collettiva, e in un’elaborazione il confine tra conscio e inconscio è costantemente negoziato, dialettico. Certo è strabiliante trovarsi di fronte a due lavori come Groizer X e Blocker Gundan 4 Machine Blaster (Astrorobot) che hanno due impianti narrativi incredibilmente simili, che sembrano dialogare tra loro per opposizioni minime e fondamentali (nella Guida c’è una parte in cui vengono confrontati), e che vengono trasmessi in televisione contemporaneamente.

Nell'arco di pochi anni sono uscite tantissime serie. Sono invecchiate tutte allo stesso modo? Ha ancora senso riguardarle, oggi?

Non sono invecchiate tutte allo stesso modo, sia per quanto riguarda le storie sia per quanto riguarda disegni e animazioni. Soffermandoci sul primo punto, mi verrebbe da risponderti che la prima super-robotica è una questione di vocazione, dipende insomma cosa ti interessa, cosa ti colpisce, con quale livello dell’anime ti sintonizzi; qui le le storie sono in gran parte basate sugli episodi di inizio, metà serie e finale, e per il resto oberate da decine di riempitivi. Dal 1977 la produzione si sfoltisce e compaiono serie che non sono riducibili allo schema precedente, c’è più intreccio o maggiore sapienza autoriale o entrambi, almeno se guardiamo a Tomino e Nagahama. Ciò non significa che prima del 1977 sia tutto riducibile a mero oggetto di studio e dopo il 1977 tutto entusiasmante: una serie del 1975 come Grendizer ha retto tranquillamente il tempo e ha una continuity abbastanza punteggiata per la sua epoca. Se dovessi consigliare qualcosa oggi – oltre a Grendizer e Jeeg, che non hanno bisogno di essere promossi – direi Zambot, Daimos, Daltanious e Baldios per restare nella super-robotica stretta; Danguard e Daikengo se si preferisce uscire dagli schemi. Poi ovviamente c’è Gundam, che è bellissimo, ma siamo già fuori dalla super-robotica.

Con Gundam si conclude la tua analisi, anche se qua e là fa capolino qualche riferimento a opere successive (Neon Genesis Evangelion su tutte). Ma davvero dopo non c'è più stato niente di significativo?

Più che altro non c’è più stata una super-robotica come quella degli anni Settanta. Esistono opere di grande interesse, diversissime per genere – pensa anche solo a Z Gundam, Macross, Patlabor, il citato Evangelion, GaoGaiGar, Gurren Lagan, o alle rivisitazioni dei classici di Nagai – ma è chiaro che abbiamo a che fare con opere real, o con ibridi di super e real, o con rievocazioni dello spirito dei Settanta, con il citazionismo, anche ironico – senza contare che l’approccio parodico era già cominciato in piena epoca classica, con Ginguiser e Balatack, e poi in forma più sofisticata con Daitarn e Trider. Insomma, la sensazione è che dopo Gundam e Baldios non sia stato più possibile tornare all’innocenza, se non reinventando l’innocenza a partire da una nuova consapevolezza.

Oggi c'è un qualche fenomeno narrativo (non limitiamoci alle serie tv né al Giappone) che secondo te offre le stesse caratteristiche di compattezza, riconoscibilità e spessore?

Credo si tratti sempre di lampi sporadici. Anni fa ti avrei detto, forse, di guardare agli slasher – che con Scream hanno trovato anch’essi una loro formalizzazione, anche parodica – ma per quanto la riconoscibilità sia alta, mi pare che siamo ben lontani da quel tipo di compattezza.

Immagino che un discorso contemporaneo, sullo spirito del nostro tempo, non possa prescindere dall’universo dei supereroi, un genere ormai storico che oggi diventa epica di massa, ma che per longevità, variazioni, opere e supporti è inconfrontabile con la super-robotica.

Oggi, in generale, i media franchise ci mettono di fronte, da un lato, a una produzione che si disperde su una vasta rete di supporti, e, dall’altro, a una compattezza e a una riconoscibilità che non sono il risultato della convergenza di diverse opere provenienti da diverse macchine produttive su una stessa struttura narrativa, quanto dal ripresentarsi di determinati personaggi, determinate saghe, determinati marchi, spesso veri e propri colossi, e questo vale anche per i videogiochi.

Ciò non toglie che a volte possano crearsi minuscoli o medi sistemi di assonanze, per esempio le serie tv sui vichinghi, o le serie tv e i film sugli androidi, o sugli zombi. Ma non ritroviamo strutture narrative codificate come quelle della super-robotica. Inoltre non tutto nasce da soggetti originali, a volte si tratta di trasposizioni da romanzi o comunque da lavori precedenti, dei quali si intuisce la potenzialità di inserimento in un immaginario attualmente attivo; diversamente, la componente manga alle spalle della super-robotica era inesistente, sostanzialmente contemporanea alla versione animata, erano lavori che nascevano nel contingente.

Immagino che, se si sta cercando qualcosa con quelle caratteristiche, occorra immergersi nell’underground.

Nel libro citi sia i nomi originali sia quelli adattati per l'edizione italiana. In generale come se l'è cavata l'Italia nella messa in onda di queste serie, dal punto di vista del rispetto del materiale originale?

Dipende. Negli adattamenti storici magari hai la serie fatta bene, la serie fedele nei contenuti ma con il cambio di nomi irritante, hai quella che nei contenuti ti cambia due cose che però ti sballano tutta una sottotrama e quindi anche il senso complessivo, hai quella in cui più o meno è tutto giusto ma è doppiata con voci che ti fanno venire il nervoso. Però, in ogni caso, va detto che se ne stiamo parlando è perché la forza di quelle storie è passata anche attraverso gli adattamenti storici, comunque meno invasivi, mi pare, di quelli confezionati successivamente da Fininvest.

Cosa resta oggi di tutto quell'immaginario? E cos'è rimasto a te, personalmente?

La figura del robottone pilotato dall’interno è ormai talmente radicata nell’immaginario collettivo che credo faticheremmo a intraprendere un esperimento mentale per capire quali e quanti vuoti lascerebbe se provassimo a sottrarla. Certo questo vale soprattutto per il Giappone e per i paesi che hanno importato quella produzione in modo significativo, come l’Italia, mentre ci sono aree culturali nelle quali il robot gigante si è infiltrato piuttosto come real robot o come transformer autocosciente; ma anche per immaginare una genesi del real o del transformer che prescinda dall’apporto della super-robotica dovremmo riuscire a concepire una storia della cultura completamente alternativa.

Quanto alle strutture narrative, be’, credo che quelle ce le siamo un po’ perse per strada. Però forse i padri della tecnica da qualche parte sono finiti, e ancora oggi nell’animazione giapponese possiamo riconoscere le tipologie dei compagni dell’eroe, lo smilzo e il grosso, figure che non nascono con la super-robotica ma che con la super-robotica certamente si rafforzano.

Quanto a me, mi rimane il mio personale varco, sul mio personale abisso.

Grazie per la chiacchierata, Jacopo Nacci!