Partiamo da una domanda: è lecito che il nuovo film di Star Trek (il dodicesimo, o il secondo se preferite contare dal rilancio del franchise operato dalla Paramount quattro anni fa) sia giudicato attraverso il punto di vista di un trekker (dove per trekker, lo specifico solo per i pochi disinformati, significa fan/seguace/adepto della serie televisiva Star Trek e dei suoi spin-off) o piuttosto valutato nel suo insieme sforzandosi di soppesare storia, regia, montaggio, fotografia e interpretazioni esattamente come per qualsiasi altro prodotto mainstream made in Hollywood reso disponibile sul grande schermo per dieci euro a biglietto (undici se non vi portate gli occhialini 3D da casa)?

Mentre ci pensate, magari vi starete chiedendo: e io, sono un trekker?

Questo è più facile: no.

Ho letto tutte le novellizzazioni della serie classica (quella che in Italia venne pubblicata come La Pista delle Stelle). Ho visto alcune (non tutte) puntate della serie classica e di The Next Generation, mi è piaciuta moltissimo Enterprise (ma per contro mi hanno annoiato a morte Voyager e Deep Space Nine). Ho visto tutti i film al cinema, alcuni li ho anche comprati (fino a Rotta verso la Terra, poi ho fatto un'eccezione solo per Primo Contatto e sono certo che mi capite benissimo). Ho adorato i suoi temi musicali (detestando solo quella canzoncina melensa che è diventata la sigla di Enterprise chissà per quale motivo che nulla ha a che fare con la saga). Ho tre o quattro volumi dedicati alla serie, tra cui una "guida completa all'Enterprise" con diagrammi, planimetrie e schemi costruttivi e i due imperdibili La Fisica di Star Trek e i Computer di Star Trek, che mi hanno insegnato più di cinque anni di svogliati corsi al liceo e all'università. Ho vestito i panni del capitano Picard in almeno tre occasioni pubbliche indossando una divisa uguale a quella di Patrick Steward in The Next Generation, e ho convinto Arianna a vestirsi da tenente Uhura e a mettere delle finte orecchie da vulcaniana (e più tardi sul mio blog posterò delle foto per dimostravelo). Sono in grado di citare almeno cinque battute storiche di Spock, anche se non riesco a fare un saluto vulcaniano decente.

Ma non sono un trekker. I trekker sono fan, io no. Per dimostrarvelo, dovrebbero esservi bastate alcune mie affermazioni contenute nell'esposizione poco qui sopra. Un vero trekker adora anche una serie mortalmente soporifera come Deep Space Nine.

Stabilita quindi la mia distanza intellettuale dalla serie, capirete come il mio giudizio non sia condizionato da un atteggiamento da fan.

E vi dico, in piena convinzione, che, oltre ad essere un buon film, questo Into Darkness è molto meglio del precedente reboot.

Meglio anche di L'ultima frontiera, Rotta verso l'ignoto (ma ci voleva poco, lo riconosco), di Generazioni, de L'insurrezione e de La Nemesi (tutta roba che non è mai entrata nella storia né nel cuore dei fan ma che poteva comunque contare su discrete produzioni, ma sempre soldi buttati se volete la mia opinione).  

A riprendere le fila di quanto fatto dal compagno di merende J. J. Abrams quattro anni fa in Star Trek: il futuro ha inizio, troviamo a firmare lo script di Into Darkness gente come Alex Kurtzman, Roberto Orci e Damon Lindelof (in altre parole: l'intero staff artistico di Fringe), presumibilmente molto ben pagati per sviluppare le nuove "versioni" di Kirk, Spock, McCoy, Uhura, Sulu e Scott. Personaggi talmente "definiti" e adorati da milioni di fan in tutto il mondo da costituire per qualsiasi sceneggiatore sulla Terra un peso gigantesco da caricarsi in spalla al momento di decidere di reinventarli per il momento attuale... distante ormai quasi mezzo secolo dai fasti della serie classica.

L'operazione, anche se non esente da critiche e licenze coraggiose (del tipo: la love story tra Spock e Uhura), tutto sommato nel 2009 riuscì senza traumi, e gli incassi stratosferici decretarono che un nuovo inizio era possibile.

Ma se Il futuro ha inizio doveva vincere l'inerzia gigantesca di un franchise talmente importante da avvicinarsi al mito, questo Into Darkness è il vero anno uno dell'Enterprise.

E tutto funziona decisamente meglio, pur se nelle versioni pienamente rigenerate dei personaggi, che a questo punto dovete decidere se amare od odiare, senza più doversi guardare indietro.

Abrams opera furbescamente tra tradizione e rinnovamento, e il difetto (un trekker probabilmente direbbe: la colpa) più grave che gli si può ascrivere è quello di consegnare al mondo un film che da Star Trek e da alcuni dei suoi stilemi fondamentali prende definitivamente le distanze. Silvio Sosio ne parla più diffusamente.

E sapete che c'è? Che, probabilmente, ha ragione.

Se siete tra quelli che non hanno apprezzato la rivisitazione di quattro anni fa, non amerete neppure questa.

La direzione presa, incontrovertibilmente diversa da quella dei tempi che furono, volta ad abbracciare il maggior numero possibile di fan vecchi e nuovi è quella della spettacolarità, del dramma scientemente accelerato per non dare il tempo di riflettere sulla logica degli snodi narrativi (e, se proprio vi capita di farlo, verrete distratti da tonnellate di ottima, veramente ottima CGI), delle battute a effetto (molto ben scritte e inserite esattamente quando serve) e delle interpretazioni di classe (adorerete il malvagio di Benedict Cumberbatch, apprezzerete Peter " Robocop" Weller e tratterrete il fiato per il breve cameo di Leonard Nimoy).

Naturalmente, c'è anche spazio per le citazioni per gli appassionati, tantissime ma nessuna invasiva o in grado di spezzare il ritmo serrato del film… compresa una scena, del tutto speculare e complementare a quella del finale di Star Trek II (e aggiungere anche una sola parola significherebbe fare lo spoiler più clamoroso, quindi godetevela e state sereni).

Quindi, piuttosto prevedibilmente, Into Darkness scontenterà molti ma piacerà a moltissimi.

Per quello che mi riguarda, anche se non è stato in grado di farmi amare i nuovi personaggi neppure un briciolo di quelli vecchi, devo riconoscere che i volti e le anime di questa nuova generazione hanno una loro intesa, un perché e una funzionalità al mezzo cinematografico, senza tradire (troppo) nulla di quello che erano in origine.

Il che non significa che mi sia piaciuto in toto naturalmente: segnalo alcune cose sparse che mi hanno convinto poco.

- i primi dieci minuti iniziali, fino all'entrata in scena dell'Enterprise, mi hanno fatto seriamente pensare a problemi di budget (dissipati subito dopo). Insomma, belli pezzenti gli alieni messi in scena. Ma magari era voluta la cosa.

- anche la comparsata dei Klingon (che presumibilmente offre il gancio a un prossimo episodio incentrato sulla guerra tra Federazione e Impero) è un decisamente pezzente, vedi anche alla voce: costumi.

- Zachary Quinto ha mangiato troppa pastasciutta dall'ultimo film. La linea della sua mascella è completamente scomparsa.

- la spedizione "search and destroy" decisa al tavolo della Federazione non è plausibile neanche per un secondo. Neanche in un film come questo, ma soprattutto non in un film di Star Trek.

- L'hanno detto tutti. Lo dico anch'io. Il ruolo di Alice Eve è del tutto superfluo (o "ridondante", come fa notare lo stesso Spock). Se lo scopo era quello di mostrarci una biondina in mutandine e reggiseno (cosa ottima, di per sé), si poteva risparmiare tempo in fase di sceneggiatura per scrivere una parte apposta per lei.

Per contro, una volta tanto il 3D non è fastidioso ma persino – a tratti – gradevole, pur considerando le botte da "luna park".

Ora sapete quello che vi serve.

Fate la vostra scelta e decidete se seguire il nuovo cast e il nuovo corso di Star Trek là dove Roddenberry non era mai giunto.