La trasposizione cinematografica dei romanzi di Edgar Rice Burroughs sembra rappresentare un’occasione sprecata per la Disney. È, infatti, difficile immaginare una potenziale franchise con un primo titolo così ‘fragile’, non per mancanza di idee e contenuti, ma come simbolo di quanto il ‘marketing’ possa fare male alla creatività, confondendo, in maniera evidente, le idee della produzione e dando vita così ad una pellicola interessante, ma certamente con qualche difetto di troppo. Errori, piccoli e grandi che, e qui sta la beffa, si sarebbero potuti evitare facilmente, dando possibilità all’autore del film di scegliere autonomamente il tono di una narrazione che, così, sembrerebbe scontentare tutti. Non per mancanza di mezzi o tantomeno per ristrettezza di idee, quanto, piuttosto per l’incapacità di capire che un film non può e non dovrebbe essere per tutti. O, almeno, non può essere studiato a tavolino per compiacere tutti i pubblici, riuscendo, ovviamente, così a scontentarli.

Ed è anche un vero peccato, perché dopo un inizio un po’ faticoso che richiama alla memoria lo sfortunato e sciatto Cowboy contro Alieni, John Carter conquista finalmente una propria dimensione narrativa e arriva in crescendo ad un finale che resta la cosa migliore di questa mega produzione diretta dal regista di due grandi capolavori come Alla ricerca di Nemo e Wall-E Andrew Stanton.

Nei panni dell’eroe eponimo è il canadese Taylor Kitsch nuovo dinamico, ma anche inespressivo interprete d’azione protagonista anche di Battleship. L’uomo è un ufficiale dell’esercito confederato che pensa solo alla sua miniera d’oro e che nasconde un grande dolore e un forte senso di colpa. Un ex soldato valoroso che fa di tutto per sfuggire alle richieste di tornare ad indossare l’uniforme. Durante un conflitto con gli indiani finisce in un tempio cui tutti sembrano sfuggire: è lì che incontra una misteriosa creatura e dopo un po’ si ritrova in un posto che assomiglia al luogo da cui proviene, ma che in realtà è molte migliaia di chilometri più lontano: su Marte. Grazie ad una differente gravità, John Carter ha acquisito una sorta di super poteri che catturano immediatamente l’attenzione delle popolazioni in guerra tra loro. Le sue scelte saranno quelle che influenzeranno il destino di un pianeta che ogni giorno, per motivi che è meglio non rivelare, diventa un po’ più suo. Al di là di un eccessivo ricorso agli effetti visivi, in molti momenti John Carter, realizzato in 3D, restituisce allo spettatore un’epica fantascientifica degna, talora, di una saga del bel tempo cinematografico che fu come quella de Il Pianeta delle Scimmie. In quelle sequenze il film vive la sua fase migliore, non strizzando l’occhio ad alcun pubblico particolare, e godendo in pieno di un’ottima autoreferenzialità narrativa. In altri momenti, che vanno, però, fortunatamente a diradarsi a metà della pellicola, John Carter vuole giocare a fare lo Star Wars o perfino Il Signore degli Anelli, mutuando, invece, il cuore di una narrazione più intrigante in quanto particolarmente originale. Divertente e talora particolarmente brillante, il film non sfrutta come avrebbe dovuto la premessa del libro, lasciato in eredità al nipote Edgar Rice Burroughs in cui viene raccontata la sua strana di eroe dei due mondi che sul pianeta rosso vive una nuova vita e sembra dare compimento al proprio destino.

Per quanto imperfetto e con gli errori che sappiamo la visione di John Carter risulta spettacolare e divertente, soprattutto se si riesce a superare il rammarico di stare assistendo ad un grande film che per colpa della follia che regna oggi a Hollywood è diventato purtroppo qualcos’altro di meno efficace e non particolarmente riuscito.