gli aneddoti di Vittorio Curtoni

Da piccolo sognava di vivere di fantascienza. Purtroppo il suo sogno si è avverato.

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MEMORIES OF GREEN

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Sabato 17 febbraio, in una grande festa fantascientifica che ha visto convergere un'ottantina di persone da tutta Italia (più uno svizzero) su Piacenza, è stata presentata alla consueta libreria Fahrenheit 451 la mia antologia Ciao futuro, di fresca uscita su Urania. C'era in ballo un micidiale sciopero ferroviario, sicché il giorno dopo mi sono ritrovato in compagnia di alcuni superstiti impossibilitati a rientrare a casa; in particolare, la sera di domenica 18 ho avuto ospiti a cena Vittorio Catani e Lanfranco Fabriani, l'uno di Bari, l'altro di Roma, due ottimi amici che ormai da me sono di casa. C'era ovviamente anche mia moglie Lucia, la povera martire che da anni per colpa mia deve subire i peggiori ceffi della sf italiana (ehi, si scherza!), e prima di andare a nanna ci siamo fatti quattro belle chiacchiere. Che per me sono state l'occasione di una rievocazione della mia infanzia fantascientifica e mi hanno permesso di procurare un non lieve divertimento agli altri con le mie rimembranze senili: i tre fringruelli schiattavano dalle risate, e a un certo punto ho persino temuto che mia moglie potesse soffocare...

Sono partito, se ben rammento, dalla celebrazione di uno dei giocattoli più splendidi che io abbia mai avuto, la fedele riproduzione di Robby, il robot de Il pianeta proibito. Era alto una trentina di centimetri o giù di lì. Dietro il semiovale trasparente della testa aveva pistoni che andavano su e giù e producevano un bel ronzio. La bocca si illuminava di verde, e ai lati della testa c'erano antenne rotonde che ruotavano. Una copia gemella dell'amatissimo robot del film, con una grossa differenza: aveva sul petto una levetta che andava alzata per accenderlo e abbassata per spegnerlo. Le pile stavano negli scomparti apribili delle gambe. Mi venne regalato da Santa Lucia (da noi era lei a portare i doni ai bimbi buoni, non Babbo Natale) a una data imprecisata dei Cinquanta, senz'altro nella seconda metà del decennio. Era un articolo di lusso sopraffino. Non è che facesse poi molto, visto che si limitava a camminare in linea retta (aveva quattro ruote nascoste, due per piede) e a muovere pistoni eccetera come ho già detto, ma per uno come me, che fremeva di ardori fantascientifici, e che oltre tutto Il pianeta proibito non lo aveva ancora visto (probabilmente avevo letto il romanzo, ma il film lo vidi solo molte estati dopo, in un cinema all'aperto di Rimini mi pare), era l'ottava meraviglia del mondo.

Purtroppo, il mio Robby si ammalò quasi subito. Per quanto fosse un gioiellino di raffinata tecnologia, covava i germi di un terribile morbo che dopo pochi giorni lo portò a camminare, anziché diritto, tutto sbirolo, ruotando su se stesso in ampi cerchi che ispiravano una tetra sensazione di demenza precoce. Eravamo in tempi bui, e come ho già raccontato io vivevo a Morfasso, radioso paesello delle montagne piacentine dove però non c'era nemmeno l'edicola, e tanto meno il negozio di giocattoli che forse avrebbe potuto curare Robby. I piedi del mio robottino vennero aperti più volte (senza anestesia!) da mani amorose di tecnici improvvisati che tentarono di raddrizzargli il movimento delle ruote, ma fu tutto inutile; e da allora in poi Robby restò prigioniero di quel suo moto perpetuo che si interrompeva solo spegnendolo, o all'esaurimento delle pile. Che tristessa. L'ho avuto con me ancora per tutta l'adolescenza, a Bobbio, e poi è scomparso nel gorgo di uno dei troppi traslochi della mia esistenza, assieme a molte altre cose che amavo tanto: ad esempio, la mia collezione di Albi del falco con le storie di Nembo Kid, che in Italia non si chiamava ancora Superman ma era già lui. Non ho mai più rivisto né il robot, né quei fumetti, né tanti altri giocattoli eccezionali (come la stazione radar fornita di telegrafo, fantastica anche quella) che ho semplicemente adorato. Se avete un po' di sale in zucca, datemi retta: evitate i traslochi. Si perdono tutte le cose più belle, resta solo il ciarpame che madri e/o mogli ritengono importante. Bleah.


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Da piccolo sognava di vivere di fantascienza. Purtroppo il suo sogno si è avverato.

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MEMORIES OF GREEN

Comunque, il 18 febbraio, dopo avere commemorato Robby mi è subito venuto in mente un altro robot sfortunato che è passato per le mie mani infantili (Il robot a cui tendevi la pargoletta mano...), e mi sono messo a parlarne. Questo era di livello tecnologico molto più basso: alto una quindicina di centimetri al massimo, fatto di pura latta che però ai miei occhi era ovviamente lucido acciaio, funzionava a pompetta! Sissignori: da una delle due gambe, direi la sinistra ma non ci giurerei, gli usciva un budellino di gomma che terminava in una peretta. Premendola, si gonfiava la vescica nascosta all'interno della gamba, e la gamba si spostava in avanti. Rilasciando la peretta, la vescica si sgonfiava, e per un qualche meccanismo interno che non conosco scattava in avanti l'altra gamba. In parole povere, sperettando sperettando si riusciva a fare camminare questo robottino in maniera piuttosto ballonzolante e approssimativa; però, se mancava il fulgore della camminata precisa e autogenerata di Robby (prima che si ammalasse, certo), qui entrava in gioco una partecipazione diretta di chi giocava, cioè mia, perché il potere di muovere il robot era tutto mio, delle mie dita che premevano la gomma. Molto interattivo e, oserei dire, molto educativo: se non fai qualcosa tu, niente si muoverà. La fantascienza mi è sempre stata maestra di vita.

La sorte di questo robot senza nome fu fulminea, tristissima, e definitiva: Robby restò un ammalato cronico, ma questo schiattò! Trascinato dall'entusiasmo per quel nuovo gingillo, decisi di fare partecipi della gioia i miei amici. Sicché portai il robottino a scuola per farlo vedere a tutti. Ora, la scuola elementare di Morfasso aveva sul davanti un cortile perfetto per giocare, ma che possedeva un difetto letale per le vesciche di gomma: un fondo di ghiaietta. Costretto a camminare su quel terreno impervio, irregolare, dopo una manciata di minuti il mio fedele automa di latta emise un dolorosissimo puf! e si fermò di schianto. Aveva avuto un infarto non cardiaco ma vescicale, purtroppo letale: lo sforzo di superare le asprezze del cortile gli aveva fatto esplodere la vescica. Non ci fu verso, non ci furono interventi possibili. A Morfasso mancava anche un negozio di vesciche di ricambio per robot acciaccati. Commosso dalla mia disperazione, mio padre tentò una sortita a Piacenza, la città che per noi, all'epoca, era lontana all'incirca quanto la faccia buia della luna, ma nisba, niente da fare nemmeno lì. La tecnologia del gruppo vescica/pompetta era a un tempo primitiva e raffinata quanto bastava per impedire l'acquisizione di pezzi di ricambio.

Mummia immobile, il nipotino di Robby finì tra i numerosi cimeli del mio cimitero di giocattoli; e certo, agendo manualmente sulle gambe, portando avanti prima l'una e poi l'altra, si poteva ancora ottenere un simulacro di movimento, una parvenza di vita come direbbe Brian Aldiss, ma mica era la stessa cosa, eh no... Non so che fine abbia fatto. Probabilmente l'ho abbandonato a Morfasso al momento della partenza per Bobbio, deluso da una creatura meccanica dalla vescica tanto debole e inaffidabile. E' lecito o no aspettarsi qualcosa di più dai propri robot? Io risponderei decisamente di sì. Anche se, del tutto involontariamente, sono stato io il vero assassino di quella nobile creatura alimentata a gomma e aria...

Tutto ciò potrebbe portare a lugubri considerazioni sui destini delle cose gestite dall'uomo, ma eviterò di tediarvi. Ognuno tragga da questo apologo anche troppo vero l'insegnamento morale che preferisce. Di certo, da oggi in poi ci sarà in giro qualche robot che mi odierà come feroce sterminatore degli archetipi della sua specie. Vostro onore, giuro, il fatto è stato del tutto involontario! Vada per una sentenza di preterintenzionale, okay?

Ma torniamo a bomba. Al 18 febbraio di quest'anno. Dopo avere raccontato questa lacrimevole historia alla mia amata consorte e ai miei due teneri amici, mi sono chiesto: Ma da dove sarà mai saltato fuori quel robot a pompetta? Robby me lo ha portato Santa Lucia, okay, ma l'altro? Regalato da mio padre? Piovuto dal cielo? O forse non è mai esistito e la mia fantasia malata si è inventata tutto?

NO! La risposta mi è apparsa chiara, folgorante, in quella fatidica sera, tra lampi e fulmini preternaturali, sotto gli occhi sgomenti del mio pubblico che assisteva in diretta al terrificante travaglio dello scavo interiore... Il robot a pompetta mi era arrivato per posta! (A Morfasso in quegli anni mancavano molte cose, ma il postino c'era. Per la precisione era una postina.) Me lo ero guadagnato raccogliendo i punti di Astrotau!

Chi era Astrotau? Cos'era? Ovvio: il Comandante in Capo degli Arditi dello Spazio! Lo sanno anche i neonati.

E su queste sconvolgenti rivelazioni, vi rimando al mese prossimo per sapere tutto ma proprio tutto o meglio quasi tutto di Astrotau, un grande archetipo della fantascienza italiana che è mio onore e privilegio riportare alla luce dopo decenni di oblio.

Però, prima di chiudere, giusto per creare un clima morale, un feeling, una dolce sensazione che possa servire a introdurvi nel cosmico panorama astrotauico, mi è grato svelarvi il credo degli Arditi dello Spazio, sino a oggi noto solo a pochi intimi e finalmente disvelato al popolo:

"Giungerà il giorno in cui i falchi audaci

spiccheranno il volo.

Lenti, si libreranno nell'azzurro, l'occhio rivolto

all'infinito ad incontrare il sole."

Astrotau

Non vi perdete la prossima puntata!


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