a cura di Alessandro Vietti

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Suggestivo particolare di Europa La scienza moderna oggi è più fantastica della fantascienza... dalla genetica alla fisica quantistica, le idee accettate o discusse dalla comunità scientifica sono incredibili e affascinanti, ma spesso, ahimè, incomprensibili senza un'adeguata preparazione. E' qui che entra in gioco l'abilità del divulgatore: riuscire a far comprendere a tutti - senza bisogno, possibilimente, di equazioni differenziali - le idee della scienza moderna. E questo è lo scopo di questa rubrica, curata da un pool di esperti coordinati da Emiliano Farinella, e che prende il nome dal romanzo di fantascienza di una famosissimo scienziato e divulgatore: Carl Sagan.

L'immaginario fantascientifico collettivo del novecento è stato dominato da Marte e dai suoi famosi omini verdi con le antenne. Non c'è alcun dubbio. Sulla scorta dei famigerati "canali" di Schiapparelli, nel 1898 H. G. Wells fiondò il Pianeta Rosso dritto nel nostro immaginario con La guerra dei mondi, e quarant'anni più tardi, il suo omonimo Orson consolidò il ruolo fantascientifico di Marte, scatenando il panico tra la popolazione americana mentre i marziani sbarcavano sulla Terra attraverso la radio. Marte, vicino misterioso e affascinante, ha tuttavia contribuito alla propria mitologia fantastica anche in tempi relativamente recenti, con le immagini del famoso ed enigmatico "volto" e delle piramidi della zona di Cydonia riprese dal Viking 1 nel 1976. Ma sul finire del secolo, complici le ultime riuscite spedizioni NASA come la Mars Global Surveyor e il Mars Pathfinder, le nuove conoscenze apprese sul Pianeta Rosso hanno finito per far perdere gran parte dell'alone fantastico intorno al corpo celeste cugino della Terra, che da oggetto di culto, evocatore di misteri e di ipotesi intriganti, è diventato sempre più oggetto di studio, evocatore di pragmatismo e di concreta serietà scientifica. Cosa che è stata confermata anche sul fronte narrativo, grazie a romanzi solidamente scientifici come la pluripremiata trilogia di Kim Stanley Robinson sulla terraformazione di Marte che, a ben vedere, di fantastico ha molto poco.

Ebbene, se nel secolo che si è appena concluso Marte è dunque stato l'incarnazione planetaria delle nostre più accese fantasie, alla John Carter di Edgar Rice Burroghs per intenderci, ci si può aspettare (o sperare) che, malgrado Hubble e i suoi sofisticati compagni tendano ormai a stroncare sempre più in fretta il dolce sapore della speculazione e della fantasticheria cosmica, se il nuovo secolo dovrà portare la nostra immaginazione da un'altra parte all'interno del Sistema Solare, sarà su Europa. Marte è ormai troppo conosciuto e vicino, inflazionato quasi. Europa, invece, ancora lontana, in gran parte sconosciuta e foriera di seducenti interrogativi, ha tutte le carte in regola per essere l'astro nascente nel nostro immaginario. E tra qualche anno Arthur C. Clarke, che come nessun altro ha insistito sul fascino misterioso della luna di Giove, potrebbe rivelarsi quello che H. G. Wells fu per Marte. Del resto sono molte le caratteristiche di Europa, a rendere questa luna assai affascinante, e nel contempo ancora misteriosa, e il mistero è il padre di tutte le immaginazioni... Chissà come dev'essersela immaginata Galileo quando la vide per la prima volta...

La scoperta

Galileo Galilei (Pisa, 1564 - Arcetri, 1642) 7 gennaio 1610. Questa è la data ufficiale in cui Galileo scorse per la prima volta alcuni satelliti di Giove, per questo chiamati universalmente "galileiani" ancora ai giorni nostri. Usando un telescopio "eccellente" di sua fabbricazione, a notte inoltrata Galileo scrutò il cielo in direzione di Giove e scoprì tre corpi, che continuò a osservare per molti giorni a venire e dei quali registrò le posizioni. Lo scienziato pisano annotò minuziosamente la cronaca di queste osservazioni nel Nuntius Astronomicus, il cui titolo venne modificato in Sidereus Nuncius in vista della sua pubblicazione avvenuta qualche anno più tardi. Ecco come Galileo dà l'annuncio della scoperta dei tre nuovi corpi celesti intorno a Giove:

"Die itaque septima Ianuarii, instantis anni millesimi sexcentesimi decimi, hora sequentis noctis prima, cum cælestia sidera per Perspicillum spectarem, Iuppiter sese obviam fecit; cumque admodum excellens mihi parassem instrumentum (quod antea ob alterius organi debilitatem minime contigerat), tres illi adstare Stellulas, exiguas quidem, veruntamen clarissimas, cognovi; quæ, licet e numero inerrantium a me crederentur, nonnullam tamen intulerunt admirationem, eo quod secundum exactam lineam rectam atque Eclipticæ parallelam dispositæ videbantur, ac cæteris magnitudine paribus splendidiores."

"Il giorno sette gennaio, dunque, dell'anno milleseicentodieci, a un'ora di notte, mentre col cannocchiale osservavo gli astri mi si presentò Giove; poiché mi ero preparato uno strumento eccellente, vidi (e ciò prima non mi era accaduto per la debolezza dell'altro strumento) che intorno gli stavano tre stelle piccole ma luminosissime; e quantunque le credessi del numero delle fisse, mi destarono una certa meraviglia, perché apparivano disposte esattamente secondo una linea retta e parallela all'eclittica, e più splendenti delle altre di grandezza uguale alla loro."

Un quarto corpo, evidentemente occultato durante l'osservazione del 7 gennaio, fu scoperto il 13 dello stesso mese. Le osservazioni di Galileo sui quattro copri celesti si protrassero fino ai primi di marzo dello stesso anno e, alla fine, lo scienziato non solo affermò che su di essi "è lecito dir cose degne di attenzione", ma li prese a esempio per confermare che il modello copernicano del moto dei pianeti non era valido solo su scala solare (i nove pianeti che ruotano intorno al Sole), ma anche su scala planetaria (i satelliti che ruotano attorno al proprio pianeta). Sempre nel Sidereus Nuncius, Galileo infatti dichiara:


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Le annotazioni manoscritte di Galileo contenute nel Sidereus Nuncius sulle osservazioni dei satelliti galileiani

"Eximium præterea præclarumque habemus argumentum pro scrupulo ab illis demendo, qui in Systemate Copernicano conversionem Planetarum circa Solem æquo animo ferentes, adeo perturbantur ab unius Lunæ circa Terram latione, interea dum ambo annuum orbem circa Solem absolvunt, ut hanc universi constitutionem, tanquam impossibilem, evertendam esse arbitrentur: nunc enim, nedum Planetam unum circa alium convertibilem habemus, dum ambo magnum circa Solem perlustrant orbem, verum quatuor circa Iovem, instar Lunæ circa Tellurem, sensus nobis vagantes offert Stellas, dum omnes simul cum Iove, 12 annorum spatio, magnum circa Solem permeant orbem".

"Abbiamo dunque un valido ed eccellente argomento per togliere ogni dubbio a coloro che, accettando tranquillamente nel sistema di Copernico la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, sono tanto turbati dal moto della sola Luna intorno alla Terra, mentre entrambi compiono ogni anno la loro rivoluzione attorno al Sole, da ritenere si debba rigettare come impossibile questa struttura dell'universo. Ora, infatti, non abbiamo un solo pianeta che gira intorno a un altro, mentre entrambi percorrono la grande orbita intorno al Sole, ma la sensata esperienza ci mostra quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra, mentre tutte insieme con Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita attorno al Sole".

Frontespizio del Sidereus Nuncius (prima edizione, 1610) Come si legge a caratteri cubitali sul frontespizio del Sidereus Nuncius, i quattro astri furono battezzati collettivamente Medicea Sidera. Galileo in realtà aveva proposto di chiamarli Cosmica Sidera in onore di Cosimo II de' Medici divenuto Gran Duca di Toscana nell'anno precedente, ma lo stesso Cosimo, interpellato in proposito dallo scienziato pisano, aveva espresso la preferenza che le quattro stelle onorassero l'intera famiglia dei Medici piuttosto che solo se stesso. Così Galileo aveva cambiato la parola Cosmica in Medicea. Per il resto Galileo non attribuì loro dei nomi. Nei suoi appunti Galileo si riferisce ai quattro satelliti individualmente con un semplice numero da 1 a 4 partendo dal più vicino a Giove, e per gran parte del diciassettesimo secolo i quattro satelliti di Giove furono noti con il nome collettivo di Medicea Sidera. I nomi che conosciamo ancora oggi apparvero per la prima volta quattro anni più tardi, ma Galileo non ebbe niente a che spartire con questa scelta. Anzi, lo scienziato pisano ebbe qualcosa da ridire.


Una disputa

Simon Mayr (Guntzenhausen, 1570 - Norimberga, 1624) Nel 1614, Simon Mayr un astronomo di origine tedesca, conosciuto all'epoca con il nome di Simon Mario, che aveva studiato a Praga con Keplero e nei primi del '600 anche a Padova dove probabilmente aveva assistito a delle lezioni tenute dallo stesso Galileo, pubblicò un libro intitolato Mundus Iovialis, nel quale non solo attribuiva dei nomi tratti dalla mitologia greca ai quattro satelliti galileiani, ma ne rivendicava anche la paternità della scoperta, affermando di aver iniziato le osservazioni delle lune di Giove verso la fine del novembre 1609 e di aver cominciato a prenderne nota a partire dal 29 dicembre 1609, proprio qualche giorno prima di Galileo. Benché Mayr stesse contando i giorni col calendario Giuliano, e che col calendario Gregoriano il 29 dicembre 1609 diventava l'8 gennaio 1610, appare quantomeno sospetto il fatto che Mayr, alla distanza di quattro anni, rivendicasse la stessa scoperta di Galilei, per pura coincidenza, addirittura nei medesimi giorni dello scienziato pisano. In effetti Galileo non la prese bene e, con la pubblicazione de Il Saggiatore, nel 1623 rispose per le rime al suo avversario:

Frontespizio de Il saggiatore (prima edizione, 1623)

"E notisi, appresso, la sagacità colla quale egli vuole mostrarsi anteriore a me. Io scrissi nel mio Nunzio Sidereo d'aver fatta la mia prima osservazione alli 7 di gennaio dell'anno 1610, seguitando poi l'altre nelle seguenti notti: vien Simon Mario, ed appropriandosi l'istesse mie osservazioni, stampa nel titolo del suo libro, ed anco per entro l'opera, aver fatto le sue osservazioni fino dell'anno 1609, onde altri possa far concetto della sua anteriorità: tuttavia la più antica osservazione ch'ei produca poi per fatta da sé, è la seconda fatta da me; ma la pronunzia per fatta nell'anno 1609, e tace di far cauto il lettore come, essendo egli separato dalla Chiesa nostra, né avendo accettata l'emendazion Gregoriana, il giorno 7 di gennaio del 1610 di noi cattolici è l'istesso che il dì 28 di decembre del 1609 di loro eretici. E questa è tutta la precedenza delle sue finte osservazioni. Si attribuisce anco falsamente l'invenzione de' loro movimenti periodici, da me con lunghe vigilie e gravissime fatiche ritrovati, e manifestati nelle mie Lettere Solari, ed anco nel trattato che publicai delle cose che stanno sopra l'acqua, veduto dal detto Simone, come si raccoglie chiaramente dal suo libro, di dove indubitabilmente egli ha cavato tali movimenti."

Il toro e la fanciulla

Ma se la scoperta dei satelliti nei secoli seguenti fu attribuita in maniera indiscussa a Galileo, si deve comunque a Simon Mayr l'attribuzione originaria dei nomi con i quali ancora oggi chiamiamo i quattro satelliti interni di Giove. Mayr propose questa denominazione dopo aver colto un suggerimento datogli da Keplero, al quale infatti viene riconosciuta la co-paternità del nome. A questo poposito nel suo Mundus Iovialis, Mayr infatti scrive:

Frontespizio del Mundus Iovialis (prima edizione, 1613)

"Giove è molto biasimato dai poeti per i suoi amori clandestini. In particolare tre fanciulle vengono ricordate per essere state corteggiate di nascosto da Giove con successo. Io, figlia di Inaco, Callisto figlia di Licaone ed Europa figlia di Agenore Poi c'era Ganimede, il bellissimo figlio del Re Tros, che Giove, sotto forma di aquila, trasportò in paradiso sul suo dorso. [...] Perciò ritengo di non dover essere considerato inpportuno se il Primo [satellite N.d.R.] verrà da me chiamato Io, il Secondo Europa, il Terzo, vista la sua maestà di luce, Ganimede, il Quarto Callisto...

[...] i particolari nomi attribuiti mi sono stati suggeriti da Keplero, Astronomo Imperiale, quando ci incontrammo alla fiera di Ratisbon nell'ottobre del 1613. Così [...] in memoria della nostra amicizia che iniziò quel giorno, lo saluto come padre congiunto di queste quattro stelle [...]."

Come accenna Mayr, secondo la mitologia greca Europa era la bellissima figlia del re Agenore di Fenicia e di Telefassa, della quale Giove si invaghì. Per poterla condurre a sé, Giove si trasformò in un bellissimo toro. Europa non resistette alla tentazione di salirgli sul dorso e non appena fu in groppa, il toro iniziò a galoppare attraverso le acque del mare fino a Creta e dalla loro unione nacquero tre figli: il Minotauro, Minosse e Radamanto. Ecco come, nelle sue Metamorfosi (vv. 858-875), Ovidio racconta il mito di Europa:


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Tiziano (Pieve di Cadore, 1490 - Venezia, 1576), Europa portata dal toro, 1559-1562, olio su tela, cm 185 x 205 Isabella Stewart Gardner Museum, Boston (USA)

"Miratur Agenore nata, quod tam formosus, quod proelia nulla minetur, sed quamvis mitem metuit contingere primo mox adit et flores ad candida porrigit ora. Gaudet amans et, dum veniat sperata voluptas, oscula dat manibus; vix iam, vix cetera differt et nunc adludit viridique exsultat in herba nunc latus in fulvis niveum deponit harenis Paulatimque metu dempto modo pectora praedet virginea plaudenda manu, modo cornua sertis impedienda novis. Ausa est quoque regia virgo nescia, quem premeret, tergo considere tauri: cum deus a terra siccoque a litore sensim falsa pedum primo vestigia ponit in undis, inde abit ulterius mediique per aequora pont fert praedam. Pavet haec litusque ablata relictum respicit et dextra cornum tenet, alteram dorso imposita est; tremulae sinuantur flamine vestes".

"La guarda con meraviglia la figlia di Agenore, perchè è così bello e non ha per nulla un'aria minacciosa e battagliera, ma benchè sia mansueto, da principio ha timore di toccarlo; poi si avvicina e gli porge dei fiori verso il candido muso. Gode l'innamorato e, mentre giunge il sognato piacere, le bacia le mani; ormai a stento a stento differisce tutto il resto ed ora gioca e saltella sulla verde erba, ora stende il candido fianco sulla bionda rena; ed a poco a poco allontanata la paura offre il petto perchè con la virginea mano possa palparlo, ora le corna perchè le adorni con ghirlande appena intrecciate. La vergine regale osò anche sedersi sul dorso del toro, inconsapevole su chi stia sedendo; il dio, piano piano, dalla terra e dalla spiaggia asciutta allontanandosi imprime le false orme delle sue zampe sulla battigia, quindi va più avanti e trasporta la preda sempre più in alto mare. Essa ha paura e voltatasi indietro osserva la spiaggia ormai lontana, mentre la destra stringe un corno e la sinistra è appoggiata sulla groppa; tremolando le palpitanti vesti si gonfiano al leggero soffio del vento."

Un curioso problema

Malgrado l'annuncio ufficiale di questa nuova e affascinante nomenclatura, ancora per due secoli abbondanti gli astronomi si riferirono ai satelliti di Giove seguendo il sistema numerico suggerito da Galileo, iniziando a numerare i corpi celesti dal più vicino a Giove, e questo semplice metodo venne adottato anche per identificare i satelliti di Saturno. Ma nel 1789 si manifestò un imprevisto che costrinse gli astronomi a rivedere il sistema. Tra il 1655 e il 1684, Huygens e Cassini avevano scoperto cinque satelliti di Saturno e li avevano numerati secondo la tradizione. Ma quando nel 1789 Herschel scoprì altri due satelliti interni al primo, ovvero più vicini a Saturno del numero '1', come si sarebbero dovuti chiamare? Si doveva rinumerarli tutti, generando confusione rispetto a tutto ciò che era stato pubblicato in precedenza, o aggiungere i numeri '6' e '7', lasciando perdere il consueto ordine che voleva i numeri dei satelliti in ordine crescente secondo la distanza? Oppure ancora rinumerarli a seconda dell'ordine cronologico della scoperta? Fu nel 1847 che John Frederick William, figlio di Herschel, propose di risolvere il problema applicando ai satelliti di Saturno le osservazioni che Mayr e Keplero avevano fatto oltre duecento anni prima riguardo ai nomi dei satelliti di Giove. Fu così che il sistema di chiamare i satelliti con nomi tratti dalla mitologia greca divenne ben presto la convenzione. E il satellite numero '2' ritornò a essere, questa volta definitivamente, Europa.

Luce e ghiaccio

I quattro satelliti galileiani in ordine secondo la distanza da Giove: Io, Europa, Ganimede, Callisto Un puntolino di luce. Ecco cos'è stata Europa per quasi quattro secoli: una minuscola sorgente di luce, come una piccola, debole stella. Dal 1610 fino agli anni '60, Europa è stato un semplice disco luminoso, troppo piccolo anche per essere risolto dai telescopi più potenti. Nient'altro che una luce che gravitava intorno a Giove. Viste le dimensioni paragonabili a quelle della nostra Luna (Europa è leggermente più piccola: 3.126 km di diametro contro i 3.476 km della Luna) era lecito pensare che si trattasse di un corpo assai simile, visto che anche le piccole dimensioni suggerivano un corpo privo di atmosfera, e nel Sistema Solare, i piccoli corpi privi di atmosfera tendono ad assumere tutti una conformazione simile: rocce e crateri, crateri e ancora crateri, come ad esempio appunto la nostra Luna, oppure Mercurio, Callisto o Teti. Fu appunto negli anni '60 che grazie ai primi studi spettroscopici venne dimostrato che Europa, come molti altri corpi che si trovano a orbitare nelle lontane e fredde regioni del Sistema Solare, è ricoperto di uno strato ghiaccio che, viste la bassissime temperature superficiali (-163 °C all'equatore e addirittura -223 °C ai poli) deve formare una spessa crosta solida come la roccia. Per il resto non si sapeva ancora nient'altro, né della conformazione superficiale di questo ghiaccio, né tantomeno di che cosa ci fosse sotto. Le prime importanti scoperte, che contribuirono a rivelare molti particolari della natura di Europa e, come spesso accade in questi casi, ad accendere nuovi affascinanti interrogativi, iniziarono con l'inivio delle sonde automatiche americane della serie Voyager.

Arrivano i nostri!

Quando nel 1979 la Voyager 1 si avvicinò fino 350.000 km da Giove e scoprì i vulcani di Io, non era la "prima volta" che un oggetto creato da mani umane se ne andava a spasso per il sistema gioviano. Il Pioneer 10, lanciato da Cape Canaveral il 2 marzo 1972, giunse al massimo avvicinamento con Giove pari a una distanza di soli 131.000 km il 3 dicembre 1973. Ma, naturalmente, il "dio" aveva la precedenza, e la missione del Pioneer 10 fu di eseguire essenzialmente studi sulla magnetosfera e l'atmosfera di Giove, inviando a Terra più di 300 straordinarie immagini del gigante gassoso. Due anni dopo fu la volta del Pioneer 11, che il 2 dicembre 1974 transitò a soli 46.400 km di distanza da Giove, per poi proseguire il suo viaggio alla volta di Saturno. Anche il numero 11 si limitò a studiare Giove, integrando i risultati della sonda precedente. Fu il Voyager 1, lanciato il 5 settembre 1977, paradossalmente quindici giorni dopo il gemello Voyager 2 il quale iniziò il suo viaggio il 20 agosto dello stesso anno (ma arrivò per prima, sfruttando una traiettoria più "economica") a spostare l'attenzione per la prima volta sui satelliti galileiani, in particolare Io, Ganimede e Callisto, nonché di effettuare nuovi studi su Giove. Europa tuttavia non fu inserita tra gli obiettivi primari del Voyager 1, ma lo fu tra quelli del Voyager 2 e fu proprio grazie alle sue fotografie che, il 9 luglio 1979, gli scienziati poterono cominciare a farsi un'idea di com'era fatta davvero Europa.


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La fanciulla con le rughe

Sidereus Nuncius, Galileo Galilei - 1610

(in italiano): www.liberliber.it/biblioteca/g/galilei/ sidereus_nuncius/html/nunzio.htm

(in latino): www.liberliber.it/biblioteca/g/galilei/ sidereus_nuncius/html/sidereus.htm

Il Saggiatore, Galileo Galilei - 1623

(in italiano): www.liberliber.it/biblioteca/g/galilei/ il_saggiatore/html/

Galileo Mission: www.jpl.nasa.gov/galileo/

Solar System Exploration: sse.jpl.nasa.gov/features/ planets/jupiter/europa.html

Galileo Europa Mission (GEM): galileo.ivv.nasa.gov/gem/

Galileo FAQ: www.jpl.nasa.gov/galileo/faq_top.html

Europa Home Page: galileo.ivv.nasa.gov/europa/

Europa Orbiter Mission: www.jpl.nasa.gov/ice_fire/europao.htm

Europa: seds.lpl.arizona.edu/nineplanets/ nineplanets/europa.html

Europa Ocean Explorer: klx.com/europa/

Jupiter's moon Europa: www.solarviews.com/eng/europa.htm

The Enterprise Mission - Europa: www.enterprisemission.com/europa.html

Un enorme gomitolo di spago del diametro di oltre 3.000 km in orbita intorno a Giove! Ecco la prima cosa bizzarra cui venne da pensare ai ricercatori, quando videro le prime immagini di Europa. Pianure biancastre e brillanti, solcate da striature scure, come venature, presenti pressoché in ogni zona del pianeta senza possedere apparentemente alcuna disposizione privilegiata. Erano dappertutto, in ogni direzione, come governate solo dal caso a formare una specie di guscio corrugato di colore giallo pallido solcato da regioni rossastre e marroni. Si notò immediatamente che queste "rughe" correvano per migliaia di chilometri e sulla Terra analoghe strutture geologiche avrebbero indicato la presenza di alte montagne e profondi canyon. Su Europa invece nessuna di queste conformazioni si rivelò più alta di alcuni chilometri, cosa che rende Europa uno degli oggetti più "lisci" del Sistema Solare. Ma fin da subito fu notata una cosa ancora più straordinaria, ovvero l'assenza di tutto ciò che ci sarebbe aspettati da un corpo celeste di questo tipo: i crateri da impatto. Alcuni vennero rilevati, ma non nel numero che ci si sarebbe aspettati da un pianeta privo di atmosfera. Al loro posto, invece, solo queste lunghe cicatrici. I ricercatori rilevarono inoltre che spesso i lati opposti di queste striature combaciavano alla perfezione, a indicare che la superficie si era in qualche modo crepata, lacerata, spaccata, e che del materiale più scuro, proveniente dall'interno, le aveva colmate.

A questo punto, i quesiti di importanza cruciale erano diventati (almeno) tre: 1) perché erano visibili così pochi crateri da impatto?, 2) perché la superficie si crepava in quel modo?, 3) che cosa fuoriusciva dall'interno del pianeta? Inutile dire che le tre questioni avrebbero dovuto essere risolte tutte insieme.


Le prime ipotesi

La struttura di Tyre ha un diametro di circa 140 km ed è uno dei pochi crateri da impatto presenti su Europa. L'immagine, in falsi colori, è stata scattata dalla Galileo il 4 aprile 1997. Poiché è scientificamente del tutto irragionevole ritenere che Europa presenti pochi crateri da impatto solo per il caso fortuito di un basso numero di corpi celesti a essersi schiantati sulla sua superficie (gli asteroidi di solito non mostrano tali riguardi, neanche nei confronti delle belle fanciulle di stirpe regale!), c'era solo un'altra ipotesi che poteva essere avanzata a spiegazione di ciò. Ovvero che la superficie planetaria fosse stata "rimodellata" nel corso del tempo da eventi geologici particolari. A questo proposito il celebre astronomo Eugene Shoemaker fece un calcolo molto semplice, basato sul numero di comete che intersecano l'orbita di Giove e sul fatto che un cratere di 10 km di diametro si dovrebbe formare ogni 1,5 milioni di anni. Alcune estrapolazioni delle prime fotografie di Europa, indussero a ritenere che ci fossero in tutto circa 45 crateri di quelle dimensioni, facendo dunque pensare a un'età del satellite di 30 milioni di anni. Per Shoemaker si trattava di un tempo sufficiente perché i crateri fossero stati spianati. Però, affinché ciò si realizzasse, doveva verificarsi anche un'altra condizione: il satellite doveva essere ancora geologicamente attivo. In altre parole l'interno del pianeta doveva essere "caldo".

Sale e scende la marea...

Con "soli" 26 km di diametro, Pwyll è uno dei più giovani crateri di Europa. L'immagine, in falsi colori, è stata scattata dalla Galileo il 19 dicembre 1996. Le immagini del Voyager, tuttavia, non solo non consentivano di garantire la certezza assoluta dell'assenza dei crateri e dunque dell'età del satellite, ma pareva quantomeno bizzarro che un corpo così piccolo fosse ancora attivo. Malgrado ciò, l'ipotesi di Shoemaker pareva assai ragionevole, per cui vennero cercati altre spiegazioni che la confermassero. In fin dei conti l'unico punto in sospeso era trovare una fonte "alternativa" di calore e non ci volle molto perché i ricercatori la trovassero nell'osservazione dei comportamenti gravitazionali legati alle orbite dei satelliti galileiani rispetto a Giove, in particolare tra Giove, Europa, Io e Ganimede. Le osservazioni mostrarono infatti il verificarsi di un particolare fenomeno che coinvolge questi corpi celesti e che è conosciuto come "risonanza di Laplace". In pratica i periodi di rivoluzione di questi satelliti sono multipli interi tra loro. Ciò significa che, partendo dal più lontano, con una precisione che si potrebbe definire svizzera, ogni volta che Ganimede compie un'orbita intorno a Giove (7,2 giorni terrestri), Europa ne effettua due (3,6 giorni terrestri) e Io quattro (1,8 giorni terrestri). Questo particolare modo di orbitare intorno a Giove provoca perturbazioni gravitazionali che, "stirando" periodicamente il satellite in tutte le direzioni, si traducono in effetti mareali che producono calore ed effetti meccanici di elevate proporzioni. Questa, ad esempio, è la medesima ragione dell'intensissima attività vulcanica di Io, ma è stato calcolato che anche l'interno di Europa potrebbe essere abbastanza caldo da fondere il ghiaccio al di sotto della superficie già oltre i 10 km di profondità. Fu così che, benché sulle prime potesse sembrare un'idea balzana, gli astronomi cominciarono seriamente a pensare che sotto la crosta ghiacciata di Europa potesse nascondersi un oceano.

Galileo colpisce ancora

Era da quasi vent'anni che gli scienziati speculavano su quest'idea, ma mancava ancora la prova, l'esperienza diretta che poteva tramutare l'ipotesi in scoperta scientifica. E dopo oltre 350 anni ancora una volta ci mise lo zampino Galileo attraverso la sonda che porta il suo nome e che rappresenta, almeno fino ad ora, il massimo sforzo umano rivolto allo studio e alla conoscenza dei satelliti galileiani.

18 ottobre 1989. Lo shuttle Atlantis decolla da Cape Canveral portando nella stiva la sonda Galileo Portata nello spazio il 18 ottobre 1989 dallo shuttle Atlantis, la sonda Galileo consiste di due sofisticate apparecchiature. La prima è una sonda atmosferica, il cosiddetto Galileo Probe, progettato per entrare nell'atmosfera di Giove, cosa che fece con successo il 7 dicembre 1995, quando misurò per la prima volta direttamente l'atmosfera del gigante gassoso. Ovviamente l'entrata nell'atmosfera della sonda ha determinato anche la sua distruzione, ma il sacrificio non è stato vano, vista l'enorme e importantissima mole di informazioni inviate alla Terra prima della sua disintegrazione. Miglior sorte è invece toccata alla seconda apparecchiatura della sonda Galileo, il cosiddetto Galileo Orbiter, una sonda orbitale progettata per entrare nell'orbita di Giove e osservare non solo il più grande pianeta del Sistema Solare, ma anche le sue lune e le cinture radioattive del sistema gioviano. Il 7 dicembre 1995, il medesimo giorno in cui il Galileo Probe fece il suo ingresso nell'atmosfera gioviana, il Galileo Orbiter entrò in orbita intorno a Giove dove si trova ancora oggi. Da allora, a intervalli di qualche mese, la sua traiettoria lo porta ad accostarsi a turno ai vari satelliti galileiani nei cosiddetti "fly-by". In particolare Europa è stata "avvicinata" ormai oltre una dozzina di volte, e in occasione di questi passaggi ravvicinati ha trasmesso alla Terra dati e immagini ad alta risoluzione come mai si erano potute vedere prima d'ora. E grazie a queste osservazioni ha fatto delle scoperte sensazionali.


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Il tiro alla fune cosmico

La sonda Galileo viene costruita nei laboratori della NASA Immaginate una sfera di cristallo. Supponete che vi cada per terra, si rompa in mille pezzi e che voi, con pazienza certosina, vi dedichiate a rimettere tutti i pezzi insieme con la colla. Ebbene, quello che otterrete sarà qualcosa di simile a Europa. La sonda Galileo ha inviato numerosissime immagini della caotica superficie di questa luna, le quali hanno confermato le ipotesi avanzate dai ricercatori dopo le missioni Voyager. Solo la presenza di un'attività geologica in tempi relativamente recenti può spiegare una siffatta conformazione superficiale e quest'attività può essere dovuta solo a un tiro alla fune gravitazionale di proporzioni cosmiche tra Giove e le altre lune. La superficie di Europa è una sfera ghiacciata rigida al di sotto della quale si trova del materiale fluido. Nel corso di un giorno "europeo", gli enormi effetti mareali dovuti alla gravitazione alzano e abbassano lo strato fluido sottostante che va a premere sulla crosta superficiale, rompendola. Nessuno però ha ancora potuto osservare direttamente che cosa accade quando la crosta si frattura, e negli ultimi vent'anni gli scienziati non hanno riscontrato alcun cambiamento sulla superficia di questa luna. Ciò non significa che il satellite sia ormai geologicamente inattivo, del resto i tempi cosmici non sono comparabili a "soli" vent'anni, e i processi di "rottura" e "riparazione" potrebbero essere molto lenti, costanti e regolari, avanzando di un solo centimetro alla volta, oppure improvvisi come geyser o vulcani di ghiaccio, facendo piovere il materiale sottostante sulla superficie. Il fatto che nessuno dei due fenomeni sia stato ancora osservato, ci lascia aperti ancora molti interrogativi sulla natura di questo singolare comportamento geologico. Ma, se questa è ormai molto più di una semplice ipotesi, allora, che cosa c'è davvero "sotto" la superficie? Che cosa è il materiale fluido responsabile degli effetti di marea? La sonda Galileo avrebbe risposto anche a questo.

L'immagine copre un'are di circa 12 x 15 km. Si notano numerose faglie giovani che presentano un movimento orizzontale del tutto simile a quello della Faglia di San Andrea in California. L'immagine è del 20 febbraio 1997.

Acqua sulla luna

Nei primi mesi del 1982, nei suoi "ringraziamenti" a 2010: Odissea due, Arthur C. Clarke scriveva:

"L'idea affascinante che possa esistere vita su Europa, negli oceani coperti di ghiaccio e mantenuti liquidi dalle stesse forze mareali gioviane che riscaldano io, venne avanzata per la prima volta da Richard C. Hoagland nella rivista Stars and Sky (L'enigma di Europa, gennaio 1980). Questa tesi assai brillante è stata presa sul serio da numerosi astronomi [...] e potrebbe essere uno dei migliori moventi della progettata Missione GALILEO".

Era dunque già da qualche tempo che l'ipotesi circolava tra gli addetti ai lavori, e la conferma ufficiale, come auspicato da Clarke, è arrivata proprio grazie alla Missione Galileo. Non quella però dell'esistenza della vita, bensì quella dell'effettiva presenza di oceani sotto la spessa coltre ghiacciata di Europa. La notizia è rimbalzata ai quattro angoli della Terra alla fine dello scorso agosto attraverso un comunicato stampa del Jet Propulsion Laboratory (che gestisce la missione della Galileo per conto della NASA), in cui la dottoressa Margaret Kivelson, dell'Università della Californi (UCLA), responsabile delle misurazioni effettuate col magnetometro della Galileo, ha annunciato le conclusioni dei dati ottenuti dall'incontro ravvicinato della sonda con Europa effettuto nel gennaio 2000. "Abbiamo buone ragioni per ritenere che gli strati superficiali di Europa siano costituiti di acqua, sia allo stato liquido che ghiacciato," ha affermato la Kivelson, evidenziando che le più recenti misure gravimetriche avevano mostrato una bassa densità, proprio come quella dell'acqua, per le parti esterne al satellite. "Ma il ghiaccio," ha aggiunto la scienziata, "non è un buon conduttore, quindi ne deduciamo che il conduttore possa essere un oceano liquido di acqua salata", un oceano che, nel caso ne venisse confermata la presenza, avrebbe almeno un volume doppio rispetto a quello di tutti gli oceani terrestri messi insieme. Ma la presenza molto probabile (le prove sono ancora indirette, ma definite "schiaccianti") di acqua sotto la superficie di Europa a una profondità dell'ordine del centinaio di chilometri ha messo in subbuglio il mondo scientifico, non solo perché nessuno si sarebbe mai aspettato la presenza di un oceano tuttora allo stato liquido, ma anche perché si ritiene che le leggi della fisica e della chimica siano universali e identiche in ogni parte del cosmo e, ovunque, acqua significa vita. Che il buon vecchio Arthur C. Clarke ci abbia azzeccato di nuovo?

La condizione biologica fondamentale

Vista della zona del Conamara situata a circa 1000 km a nord del cratere di Pwyll. L'immagine finale è una combinazione di diverse fotografie scattate nel settembre 1996 e nel febbraio 1997. C'è vita su Europa? Oppure: Europa ospita condizioni adatte allo sviluppo della vita? Si dice che Giove è una stella che non ha avuto la forza gravitazionale necessaria per innescarsi e il suo sistema è un piccolo sistema solare mancato. Se Giove avesse avuto la massa sufficiente per "accendersi", Europa sarebbe forse diventata un'altra Terra? Ci stiamo forse addentrando nei territori della fantascienza? Forse. Nel già citato 2010: Odissea due, Clarke ci condusse proprio verso un'idea fantascientifica di questo tipo, facendo "accendere" Giove dal Monolito e lasciando intuire che Europa era stata prescelta come la culla di una nuova civiltà. Oggi, dopo le ultime scoperte, questa non ci sembra più un'idea così fantastica. La vita potrebbe annidarsi davvero dentro i profondi strati liquidi di questa luna perché, almeno come la conosciamo noi, la vita richiede tra ingredienti fondamentali: acqua, carbonio ed energia, e su Europa potrebbero essere presenti tutt'e tre. E se si pensa che la vita è per natura talmente desiderosa di emergere che è in grado di proliferare anche nelle zone più estreme del nostro pianeta, non appare un'ipotesi poi così sconcertante che organismi adeguatamente modellati dai meccanismi evolutivi rispetto alle particolari condizioni ambientali, possano essersi sviluppati nelle profondità dell'oceano di Europa. E' questo il nuovo grande, affascinante interrogativo di Europa e la NASA ha già pensato a una nuova missione progettata apposta per scoprirlo.


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a cura di Alessandro Vietti

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Tutti questi mondi sono vostri...

Il modello più accreditato dell'interno di Europa e della sua crosta superificiale In un primo momento la missione Europa Orbiter avrebbe potuto partire già nel 2003, ma i recenti fallimenti della NASA avrebbero fatto posticipare il progetto. Secondo quanto dichiarato in tempi recenti dal portavoce dell'agenzia spaziale americana, Kenneth Ledbetter, "non è pensabile che la missione Europa possa partire prima del 2006". Nel caso questa data venisse rispettata, l'Europa Orbiter entrerebbe in orbita intorno a Giove tre anni più tardi. Poi, dopo altri due anni, la sonda si sposterebbe per installarsi nell'orbita di Europa a soli 200 chilometri di altezza. Da quella posizione, la sonda sarebbe in grado di studiare i dettagli del campo gravitazionale del pianeta e la conformazione superficiale con sufficiente dettaglio da studiare l'effetto mareale come mai è stato fatto finora. E se veramente Europa possiede un oceano, l'escursione mareale si dovrebbe aggirrare intorno ai trenta metri, contro un solo metro se l'interno fosse solido. Inoltre la sonda sarebbe dotata di un piccolo "lander" robotizzato in grado di atterrare sul satellite e analizzare campioni di ghiaccio alla ricerca di composti organici. A quel punto lo stadio successivo sarebbe di inviare un piccolo robot in grado di penetrare nella crosta ghiacciata e analizzare direttamente le acque interne e allora chissà che cosa si potrebbe scoprire... Sembra fantascienza, ma il cosmo ci ha abituato a ben altro. Quel cosmo che le sonde dell'Uomo solcano ormai in lungo e in largo senza ritegno, come se fosse tutta roba nostra. E a ben vedere tutti questi mondi sono davvero nostri, Europa compresa. Almeno finché non troveremo qualcuno che avrà qualcosa da ridire.

Scheda riassuntiva:

Nome:Europa Autore della scoperta: Galileo Galilei Data della scoperta:7 gennaio 1610 Distanza media da Giove:670.900 km Periodo siderale:3,551 giorni terrestri Diametro:3.126 km Diametro apparente visto da Giove:17' 30" Massa:4,87 x 1025 g Densità:3,04 g/cm3 Atmosfera (molto tenue):O2 (10-11bar) Inclinazione orbitale:0,47 gradi Eccentricità orbitale:0,009 Velocità di fuga:2.10 km/s Accelerazione gravitazionale:1,33 m/s2 Albedo:0,64 Magnitudine (alla distanza dell'opposizione media):5,3 Temperatura (all'equatore):110 °K (-163 °C) Temperatura (ai poli):50 °K (-223 °C)

Bibliografia

Vagabondi nello spazio, Kenneth R. Lang e Charles A. Whitney - Zanichelli 1994

Il guinness dell'astronomia, Patrick Moore - Biblioteca Universale Rizzoli 1990

Al di là della Luna, Paolo Maffei - Mondadori 1973

L'oceano nascosto, di Robert T. Pappalardo, James W. Head e Ronald Greeley - Le scienze, #377, gennaio 2000 - pagg. 26-36.

Nella fantascienza

2010: Odissea due (2010: Odyssey Two, 1982), di Arthur C. Clarke - Rizzoli 1983

2061: Odissea tre (2061: Odyssey Three, 1987), di Arthur C. Clarke - Rizzoli 1990

3001: Odissea finale (3001: The Final Odyssey, 1997), di Arthur C. Clarke - Rizzoli 1997

Una spia su Europa, di Alastair Reynolds (A Spy in Europa, Interzone 1997) - disponibile su Intercom: intercom.publinet.it/1999/spia.htm, trad. Danilo Santoni

Il codice dell'invasore, di Alessandro Vietti - Nord 1999


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