di Vittorio Catani

Il suo primo racconto apparve nel 1962 sull'edizione italiana di "Galaxy". Ha vinto la prima edizione del Premio Urania (1980). Ancora non sa cosa farà da grande, sa solo che per lui non ha piu' senso chiederselo.

quando le radici Gianni Vicario in una foto recente Il racconto che presentiamo stavolta, Naufragio in una stanza di Gianni Vicario, sviluppa un'idea che ci sembra ancora oggi di assoluta originalità. Esso apparve la prima volta nel 1977 sul volume n. 1 della Enciclopedia della Fantascienza (Fanucci vecchia gestione), curato da Gianfranco de Turris. L'Enciclopedia si articolava in una serie di antologie originali americane, nell'edizione italiana spesso arricchite con contributi narrativi e saggistici di nostri autori: iniziativa non disdegnata dall'editoria fantascientifica allora presente in libreria ed edicola, ma oggi divenuta rarissima. La raccolta contenente Naufragio in una stanza (curata per la versione originale da Brian Aldiss) si intitolava Space Opera e fra gli autori annoverava Sheckley, Bradbury, Vance, Asimov, Brown, Simak, Clarke, Bester, Dick, Tiptree jr.; oltre a Vicario, la sezione italiana proponeva Riccardo Leveghi col racconto Deserto turchino, nonché un saggio sulla space opera di Giuseppe Caimmi e Piergiorgio Nicolazzini.

Il lettore avrà modo di verificare quanto la storia di Vicario (scritta appositamente per quell'occasione) si attenesse al tema "classico" della raccolta, e al contempo se ne distanziasse. Perché indubbiamente gli eventi di Naufragio... rimandano al viaggio nello spazio, all'"avventura"; eppure il dramma si consuma in un contesto inedito - addirittura domestico - e si concretizza nella sfida impossibile accettata dal protagonista narrante (una persona comune, che vive nel nostro tempo, anzi nel tempo - e con la tecnologia - in cui la storia fu scritta): cercare di salvare entro pochi minuti un uomo sperduto chissà dove, a miliardi di chilometri di distanza. La conclusione riesce a essere consequenziale, eppure non facile per il lettore a prevedersi; la narrazione è tutta in prima persona, senza dialoghi, ma capace di catturare subito l'attenzione e tenerla fino in fondo.

Insomma un racconto che ci pare si distingua, per stile e significati, nella produzione dell'epoca, anche di importazione. Ma esso non nasceva certo dal nulla.

Gianni Vicario infatti era stato uno dei "pionieri" della prima fantascienza italiana: negli anni 1958-59 pubblicò undici racconti e un paio di articoli sulla rivista Oltre il Cielo, lavori apparsi a firma G. Newman o A.G. Greene, accanto ad autori quali Pestriniero, Falessi, Aldani e molti altri. Un trentennio più tardi tutta la narrativa fantascientifica dell'Autore fu ripresentata nella raccolta personale La stirpe di Odisseo (Solfanelli Editore, 1987, curatore sempre de Turris). Questo libro avrebbe dovuto costituire il primo tassello di una progressiva riscoperta dell'"era di Oltre il Cielo": le vicissitudini della casa editrice, tuttavia, impedirono la prosecuzione del progetto. Pur nella varietà delle tematiche rintracciabili nei racconti di Vicario, possiamo dire sintetizzando che vi troviamo in primo piano soprattutto uomini in situazioni estreme, tali da mettere a dura prova sentimenti e intelletto. Concretezza narrativa, sense of wonder e dato tecnologico risultano mezzi, mai un fine: insomma una sorta di fantascienza antropocentrica (con quanto di positivo c'è nel termine); caratteristica, questa, che in misura maggiore o minore caratterizzava quasi tutta la nostra fantascienza delle origini.

Giovanni Bruno (Gianni) Vicario è nato a Udine nel 1932. Quando scrisse i suoi racconti (a 26-27 anni) era ufficiale dell'Aeronautica Militare. Sposato, con due figli, si è dedicato quasi esclusivamente alla carriera universitaria, nella quale è tuttora attivo.

Ci scrive l'Autore: "Mi ha sempre incuriosito un fatto, nella fantascienza, ed è quello delle anticipazioni: tanto per non far nomi, pensiamo a Jules Verne ed al suo sottomarino, o al viaggio sulla Luna. E allora voglio arricchire la casistica riferendo un episodio personale. Durante l'ultima guerra, quand'ero ragazzino, perdevo tempo a sfogliare la raccolta di Domeniche del Corriere della mia nonna paterna. Fu lì che mi imbattei in un insolito romanzo a puntate: Al di là delle tenebre, di un certo Jean de la Hire (pubblicato non ricordo se nel 1922 o 1923, o nei dintorni). Trattava di un gruppo di uomini che s'era fatto chiudere nel sonno (oggi diremmo ibernati) in cassoni metallici affondati nel bacino San Marco, a Venezia. Risvegliati dopo un imprecisato numero di anni, erano riemersi e si erano inaspettatamente trovati in una Venezia fermata all'epoca del suo fulgore, nel XVIII secolo. Più tardi si resero conto che non erano arretrati nel tempo, ma che la città si era trasformata in una specie di luogo di vacanze o di parco dei divertimenti, mentre il resto del mondo era avanzato nel futuro (la sorgente di energia era un qualcosa chiamato vrilium, e tutte le macchine erano elettriche). Si volava, questo è naturale, e ricordo perfino i nomi delle due eroine: Lilla e Pervinca. Orbene, come si fa a non riconoscere che la Venezia del futuro, descritta da Jean de la Hire, assomiglia maledettamente alla Venezia che conosciamo, in qualche modo arenatasi nell'impetuoso fluire del divenire globale, e diventata meta di divertimento con un Carnevale che ripropone un modo di vivere e di svagarsi che appartiene a un lontano passato? Al vecchio autore di un romanzo che possiamo qualificare di fantascienza, dobbiamo riconoscere il merito di aver prodotto un'anticipazione di carattere sociologico, ben più difficile e rischiosa di una di carattere tecnologico."

Attualmente Giovanni Bruno Vicario è professore ordinario di Psicologia generale all'Università di Udine, dopo aver insegnato discipline psicologiche nelle Università di Trieste, di Siena e di Padova (qui per 29 anni). Due suoi articoli di divulgazione si possono leggere nelle riviste Le Scienze (Il tempo in Psicologia, luglio 1997) e Nuova civiltà delle macchine (aprile/giugno 1999).

Da parte nostra, non resta che augurare ai lettori... buon naufragio (e ritorno) con il racconto di Gianni Vicario.

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