Usando l'effetto ottico creato da un massiccio raggruppamento di galassie come "telescopio cosmico", un team di ricerca della Johns Hopkins University, ha scoperto quella che potrebbe essere una galassia "neonata" risalente a solo un miliardo di anni dopo il Big Bang. Per raggiungere questo straordinario risultato i ricercatori hanno sfruttato il cluster di galassie Abell 2218, posto a circa 2,5 miliardi di anni luce da noi (nella foto) che, grazie alla sua elevata massa complessiva, è capace di piegare i raggi luminosi, potenziando così, proprio analogamente a una lente, la capacità di rilevazione dei telescopi astronomici da 50 a 100 volte. Non a caso questo fenomeno ottico, già previsto da Albert Einstein nella sua teoria della Relatività Generale, e noto ormai da tempo, è chiamato effetto di lente gravitazionale. L’ulteriore ingrandimento fornito da questo meccanismo naturale, unito alle già notevoli capacità di osservazione dell'Hubble Space Telescope con cui la ricerca è stata condotta, ha consentito infatti di ottenere una delle migliori immagini di sempre di un’antica galassia in formazione. "Agli astronomi interessa sapere quando si sono formate le prime galassie, quanto grandi e brillanti sono e come crescono fino a diventare galassie mature come la nostra Via Lattea", ha spiegato il professor Holland Ford, che ha coordinato la ricerca. "Il nostro gruppo cerca galassie neonate più giovani di un miliardo di anni, confrontando immagini ottenute dall'Hubble Space Telescope con l'effetto di lente gravitazionale, con le stesse immagini dei telescopi Magellan, VLT e Gemini che sono in grado di rilevare le lunghezze d'onda infrarosse emesse da galassie così distanti e quindi affette da un elevato redshift (lo spostamento verso il rosso delle lunghezze d'onda emesse dagli oggetti dovuto all'allontanamento degli oggetti stessi causato dall'espansione dell'universo, NdR)". Se ulteriori osservazioni confermeranno la scoperta, queste galassie forniranno agli scienziati la più chiara visione delle più giovani galassie mai osservate finora, e questo potrà contribuire a spiegare i meccanismi primordiali di formazione delle grandi strutture dell'universo.