- Per piacere, può mettermi trenta euro?

- Eh?

- Lasci, faccio io - intervenne un ometto in bermuda, ciabatte e sguardo incommensurabilmente triste. Alzò pollice, indice e medio e scandì: - Trenta.

L'uomo di Java distese i lineamenti da orango in una plateale smorfia di comprensione ed eseguì il rifornimento.

- Reagiscono solo a fonemi ben precisi - spiegò il mio provvidenziale interprete. - Frasi più lunghe finiscono per confonderli.

Realizzai con sorpresa che non si trattava, come avevo erroneamente creduto, di un indigeno, bensì di un uomo civilizzato, per quanto terribilmente male in arnese e disperato.

Mi spiegò che si trovava lì dal primo week-end di giugno. Era rimasto bloccato a causa di un incidente tra un TIR carico di pomodori pelati e un autoarticolato che trasportava scatole di rigatoni Barilla. I due mezzi erano andati a fuoco, e la carreggiata si era coperta di uno strato di pastasciutta che aveva bloccato il traffico per giorni. Lui era sulla corsia opposta, tra gli automobilisti che scendevano dalle macchine per guardare e venivano falciati al ritmo di cento al secondo in una selezione darwiniana da cui erano emersi i napoletani che si erano finanche messi a vendere biglietti. I superstiti avevano preso d'assalto le stazioni di servizio più vicine, mentre i gestori si difendevano a colpi di Rustichello, Pancito e Contadino, i terribili panini mutanti capaci di procurare una morte lenta e dolorosa anche soload annusarli. Durante la battaglia, la moglie dell'ometto si era messa in coda alle toilette delle signore, lunga circa sei megaparsec. Erano ormai due mesi che non ne aveva notizie.

- Ma sono certo che ormai sarà a buon punto... - concluse sorridendo debolmente.

- Avete conosciuto il signor Kurtz? - gli chiesi.

La sua espressione divenne cupa, pensosa, minacciosa, accigliata, titubante.

- Kurtz? - ripeté con voce tremula. - Credevo fosse solo una leggenda... Ho sentito dire che...

- Cosa? Cosa? - lo esortai smanioso.

- A sud. Deve andare a sud.

Ripresi il viaggio pensando a cosa avessi fatto quando finalmente fossi stato di fronte all'uomo che su di sé aveva creato un mito. A cosa mi avrebbe detto. Lo so che voi lettori vorreste sapere cosa avvenne al povero turista prigioniero nell'autogrill, ma io dovevo discendere l'esofago di tenebra. Immergermi nel suo mistero. Fino a sperdermi o finalmente a trovare me stesso.

Quindi non rompete le palle.

Una decina di chilometri e quattro cantieri abbandonati più avanti, la coda d'auto si fermò di nuovo. Un cartello luminoso segnalava: "Possibili rallentamenti. Si consiglia l'uscita allo svincolo di Petina. Che poi tornare in autostrada da quella mulattiera sono cazzi vostri. Har Har Har!"

L'ingorgo doveva protrarsi da molto tempo, perché gran parte degli automobilisti aveva abbandonato le proprie vetture. Alcuni si erano stesi sul guardrail a prendere il sole ignudi come dugonghi, altri disputavano un campionato di calcetto a cinque con l'ultima bottiglia di Ferrarelle quale trofeo. Altri ancora si erano rassegnati a passare in A3 l'intero periodo di ferie, e facevano la fila per entrare nel villaggio vacanze abusivo edificato tra le siepi spartitraffico dall'ennesimo napoletano, che adesso stava tirando su anche la piscina olimpionica, i tavoli da ping-pong e la pista per il merengue.

Più di tutti, mi fecero impressione i disperati barricati in vettura, ad aria condizionata spenta per non scaricare la batteria, che bollivano nel loro sudore come gamberoni all'acqua pazza, mentre sul sedile posteriore lattanti color malva, incaprettati a seggiolini Chicco, gli rigurgitavano addosso schizzi di latte semidigerito e urlavano a tremila decibel. Rammentai che anche se la sofferenza estrema può esprimersi alla lunga nella violenza, assume in genere la forma dell'apatia, il più flaccido tra i demoni che albergano nelle tenebre dell'animo umano.