Franco Ricciardiello
Scrittore.
C'è una poesia di Federico Garcia Lorca che inizia così: Per ricercare la mia infanzia, Dio mio! Ho mangiato arance marce, vecchi giornali, colombaie vuote. Nel leggerla la prima volta mi è sembrato di sentire sotto i denti un sapore usato, che senza bisogno di indagare a fondo ho riconosciuto nel sapore di Quarta Dimensione di Lino Aldani, nella biblioteca circolante di Vercelli: quel misto di carta umida e sogni macerati che centellinavo già nel tornare a casa, in strada.
Ho rivisto parecchi anni dopo la medesima copia del volume a casa di un amico che l'aveva presa in prestito, ed è stato allora come ritrovare per un attimo qualcosa di perduto, una di quelle sensazioni che i maestri del pensiero greco ritenevano fossero rivelatrici di una vita precedente o di una categoria di idee universali. Non ho avuto il coraggio di riaprire il volume.
Il mio rapporto con la fantascienza non è iniziato a quell'età, 14 anni, ma il primo approccio con la fantascienza italiana sì; e forse è stato grazie ad Aldani se non ho mai nutrito pregiudizi per gli autori nostrani.
Enrico Rulli
Critico, curatore della rubrica "Fandom Informazioni" sulla rivista Cosmo SF.
Si era nel 1977, anni di piombo a guardarli adesso, ma anche di grande impegno civile. Io avevo 19 anni ed il primo lavoro. Fu allora che uscì "Quando le radici" di Lino Aldani. Costava la bellezza di 1.600 Lire ma con uno dei miei primi stipendi corsi in libreria a comprarmelo.
Era un romanzo molto bello, mainstream, con la fantascienza che faceva da sfondo ad una storia ambientata in una Italia del 1998, con il protagonista, Arno, che torna ai luoghi dell'infanzia. Il romanzo mi colpì molto perché, impegnato com'ero in politica (simpatizzavo per Lotta Continua) sentivo la sensibilità dell'autore molto vicina alla mia.
Conobbi di persona Lino Aldani alcuni anni dopo, ad una delle convention di Montepulciano.
Lavoravo per una radio libera e lo intervistai. Era un uomo piccolo, schivo, dalla barba non rasata e gli occhi di un animale braccato, che rispondeva alle mie domande quasi con fastidio. Rigirava tra le mani un piccolo blocco di carta a quadretti, su cui trascriveva di continuo spunti per il suo nuovo romanzo. Lo lasciai andare dopo una tormentosa mezzoretta di chiacchere davanti ad un microfono. Scappò via, come un uccello che intravede la gabbia inaspettatamente aperta; non accettò nemmeno un caffè quale ringraziamento, non sorrise mai, se ne andò via, lasciandomi solo con una cassetta mezza incisa.
Non l'ho più rivisto. Doveva intervenire a qualche altra convention, ma conoscenti comuni mi parlarono di una delle sue frequenti crisi psicologiche in cui non riusciva a sopportare la presenza di altri esseri umani.
La cassetta venne trasmessa alla radio e quindi fagocitata per essere riutilizzata in chissà quale maniera.
Di recente, rimettendo a posto la libreria, ho ripreso in mano quel famoso romanzo. L'Italia descritta da Aldani non è quella dei nostri giorni: troppi avvenimenti che lui non poteva prevedere. Eppure da quelle pagine traspare ancora un fascino che non mi so spiegare, qualcosa che è legato ai miei ricordi ma anche alla qualità intrinseca del romanzo. Forse quella partecipazione sofferta, lo scavo così vivo nella personalità del protagonista.
Non ricordo che timbro di voce abbia Aldani, né di che colore abbia gli occhi. Della sua faccia conservo un ricordo confuso, ma ho ancora ben vivo in mente il suo romanzo. Forse è questo il destino di uno scrittore: sopravvivere nella mente dei suoi lettori, lasciandovi una traccia indelebile.
Io che non ho mai scritto niente di importante lo invidio molto, per questo
Marco Calvo
Curatore della rubrica "Storyware" su MC Microcomputer, cofondatore del Progetto Manuzio e di LiberLiber.
Alla tua richiesta, al fine di rileggere qualcosa di Lino, sono andato a frugare nella mia collezione di fanzine. Non ne ho cercata una in particolare, mi è bastato sfogliarne due o tre per arrivare a quel che cercavo. Il nome di Lino è infatti uno di quelli ricorrenti, arrivato più volte alle orecchie anche di un profano come me.
Io sono uno spettatore, decisamente non un protagonista, del mondo del fandom, e questa situazione ha fatto sì che lo scambio di informazioni e materiale non sempre sia stato continuo nel tempo. Ciononostante, e anzi proprio in virtù del mio essere spettatore, da sempre faccio il tifo per personaggi come Lino Aldani.
Perché? Perché sono convinto che la fantascienza sia un genere letterario che ha la stessa dignità degli altri, e anche perché è uno dei più vitali e interessanti.
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