Inutile dirvi che, nonostante i temi siano davvero interessanti, perdiamo di sana pianta tutte le conferenze mattutine. Perché è così che va: si parte come la Svizzera, si finisce come l'Uganda. Se all'inizio si cerca di seguire più cose possibili – escludendo gli eventi in contemporanea, dato che il direttore non ci ha ancora forniti di ubiquità – verso gli ultimi giorni la parte serale si estende sempre di più, vuoi per orari di proiezione più spostati (leggendarie le proiezioni di mezzanotte al Miela), vuoi per una rete sempre maggiore di persone con cui confrontarsi e avere prospettive diverse sull’evento. “Si fa sempre più fatica ad avere film, perché le piattaforme di streaming si comprano tutto – si sfoga Lorenzo Bertuzzi de La Cappella Underground –  ma negli anni abbiamo instaurato una rete di relazioni che ci permette di avere comunque un’ottima selezione". È il caso di Last Sunrise, suggerito dagli amici del Far East Film Festival di Udine.

Gente come noi
Gente come noi

Alle undici di mattina, cosa c’è di meglio che vedere Matrix in lingua originale nell’enorme schermo del Rossetti? Come abbiamo detto, questo è l’anno degli anniversari e bisogna dire che i vent’anni della pellicola delle sorelle Wachowsky (un tempo fratelli) non si fanno sentire affatto: l’estetica rimane coinvolgente e moderna, a differenza di molti film anche più recenti. Questo è dovuto a un’immaginazione e una perizia tecnica multidisciplinare rara nel cinema moderno. E anche ad aver azzeccato alcune scene che hanno sdoganato il cyberpunk nel mainstream (la scena pillola rossa/pillola blu è così iconica che vostra nonna sa benissimo di cosa state parlando). Bravi, cioè, brave! Anche se le aspettative che abbiamo per il quarto capitolo sono bassine.

Voi cosa ci vedete? 
Voi cosa ci vedete? 

Dopo un pranzo al ristorante cinese vicino al cinema (oggi vi risparmiamo i dettagli), è il momento di The Prince’s Voyage, animazione che può ricordare Hayao Miyazaki: grande narrazione incantata, in cui la storia di un principe-scimmia diventa il pretesto per guardare al nostro mondo da un punto di vista a volte assurdo, a volte smascherante. Con le dovute precauzioni, potremmo azzardare che il Principe abbia la funzione di gridare “il re è nudo” a tutti noi, dandoci da riflettere sulle nostre scelte di civiltà. Magico e soffice, il francese Xavier Picard ci avvolge con una fiaba sulla conoscenza del diverso, in cui la paura si estrinseca nell’incapacità di vedere le similitudini con l’altro. 

Come ogni anno, eccoci arrivati all’assegnazione del Premio Asteroide alla carriera: quest’anno tocca al genio dello stop-motion (ma non solo) Phil Tippett, che ieri accettava mestamente selfie al Miela. Qualcuno di voi si chiederà chi diavolo sia questa specie di Babbo Natale dagli occhi tristi. Spesso e volentieri l’industria cinematografica trova linfa in talenti distanti dai riflettori e forse questo è uno dei casi più estremi: sei candidature agli Oscar di cui due vinti, Guerre Stellari, Indiana Jones, Robocop, Jurassic Park, Twilight, cos'altro deve fare il povero Phil per convincervi che è un peso massimo degli effetti speciali? Abbiamo avuto l’onore di sederci proprio a fianco a lui e Alexandre Poncet (regista del documentario di cui vi parleremo tra poco) e possiamo dirvi con certezza che dei premi, a Phil, non frega assolutamente nulla. “L’attenzione dei media mi dà più lavoro, quindi più soldi per i miei progetti, ma aldilà di questo non è qualcosa che mi tocca più di tanto”. Osserviamo le sue reazioni durante la proiezione di alcune clip su di lui e, non appena sullo schermo compare il suo nome (oltretutto scritto senza una delle due T finali), Phil non fa una piega. Si alza, sale sul palco, dice qualche frase a metà tra lo sconsolato e l’annoiato, poi torna a sedersi. Viene annunciato un fuori programma: un corto sperimentale di otto minuti fatto da Tippett con un amico, che in realtà si rivela essere una successione epilettica di foto ad cazzum, sorrette se non altro da un'azzeccata voce che interpreta i pensieri di un’intelligenza artificiale del futuro. 

Phil "Happy" Tippett
Phil "Happy" Tippett

Parte la proiezione del documentario Mad Dreams and Monsters in cui – coerentemente con l’idea che ci siamo fatti – viene fuori una persona schiva, solitaria, dedita al lavoro e poco più. Pur trattandosi di un’opera in sostanza celebrativa, il contrasto tra l’anima di Tippett e quella dei suoi collaboratori ha talvolta effetti comici ed emozionanti: la moglie è dipinta come una persona fortissima senza cui il nostro genio sarebbe rimasto nel suo garage. E dai racconti di Verhoeven e Joe Dante, simpatici ed energici, traspare una stima enorme per questo artista. Siamo distanti dalla profondità di Memory: The Origins of Alien, ma il pubblico apprezza e, nella session di domande finale, si dimostra pieno di curiosità. Fino a che Phil, mogio mogio, non se ne esce con un “devo pisciare e fumare una sigaretta, ciao”.

Premi di un certo calibro
Premi di un certo calibro

E ormai il nodo in gola si fa sentire quando Daniele, Martina e Lorenzo cominciano le consuete premiazioni finali. Non abbiamo voglia di dirvi cose che sapete già o che i nostri colleghi riescono a raccontare molto meglio, anche se a centinaia di chilometri da qui. Ma vedere quattro premi assegnati a uno dei pochi film che abbiamo perso, Extra Ordinary, darà la scusa al nostro direttore di chiuderci nella stanza buia per chissà quanto tempo. Il grande Brian Yuzna sale sul palco e definisce il Trieste Science+Fiction an extra-ordinary festival, innescando una ridarella tra le poltrone del Rossetti. A fine cerimonia, quando le luci si spengono per la vera, grande anteprima del festival (parliamo di almeno dieci giorni di anticipo, altro che le poche ore di Terminator: Destino Oscuro, già nelle sale il giorno dopo), la follia comincia. Gli scagnozzi della Sony accendono gli infrarossi in sala per verificare che tutti i cellulari siano stati spenti come intimato dal minaccioso messaggio sullo schermo, ma la ridarella c’è ancora (un po’ come dodicenni a catechismo) e qualcuno urla dalle retrovie: “Raggi fotonici!”.

Jesse Eisenberg fa spaccare
Jesse Eisenberg fa spaccare

La sala esplode e non c’è nulla di meglio di un mood del genere per Zombieland: Doppio colpo. Basta l’iniziale rework del classico logo Columbia per piegare in due ogni persona presente: la statuaria donna sulla scalinata tra le nuvole viene aggredita da due zombie, ma reagisce prendendoli a torciate in testa. E tutto scorre così, tra cazzate e citazioni, splatterate e gag ripetute. Woody Harrelson e Jesse Eisenberg hanno tempi comici complementari ed efficaci, che vanno a rafforzare una sceneggiatura scemotta ma ben fatta, in cui anche il trito e ritrito personaggio della bionda oca fa sbellicare ad ogni battuta. Che alla regia non ci sia un demente è chiaro da subito (Ruben Fleischer ha diretto il valido Venom) e anche le scene più caotiche non danno quel senso di smarrimento tipico di alcune porcherie alla Michael Bay. 

Abbracci con tutti i compagni d’avventura di questa breve, intensa settimana. Ultimo bicchiere al Caffé San Marco con gli organizzatori. Tanta, tanta voglia di essere ibernati fino all’anno prossimo. 

Grazie a Giulia Corallo per pazienza, foto e aiuto negli articoli.

Ciao!
Ciao!