Il primo vero giorno di Trieste Science+Fiction parte con una visita al Magazzino delle Idee, proprio dietro al Teatro Miela. Oltre a un’esposizione su Nathan Never, c’è una fornita area di retro e avant-gaming dove è possibile provare l'ebrezza di giocare al Commodore 64 come testare la full immersion con Oculus Rift (con pazienza, data la fila). Noi proviamo a farci notare con qualche assolo in Guitar Hero, fallendo miseramente l’impresa.

A pomeriggio inoltrato, in una sala Tripcovich stracolma il chiaccherato documentario su Leonard Nimoy riesce a dare una visione inedita dell’attore recentemente scomparso, anche grazie alla mole di materiale in possesso del regista, nientemeno che il figlio di Spock. Ne viene fuori un’apologia del padre (come prevedibile) ma non priva di aspetti interessanti: Nimoy si calò totalmente nella parte di Spock e, in bilico tra Stakanov e Stanislavsky, non ebbe molto spazio per la famiglia. Punto a favore dell’impresa è che i fondi per ultimarla sono stati raggranellati su Kickstarter: più di 660.000 i dollari versati nella piattaforma di crowdfunding dai molti fan di Star Trek sparsi per il globo. Lunga vita e prosperità a loro.

Saltiamo a piè pari la programmazione amarcord del Miela (anche se c’è chi considererebbe un crimine non vedere La casa dalle finestre che ridono in pellicola) e andiamo freschi di aperitivi alla cerimonia di apertura. Il clima generale è euforico e scherzoso, la presentazione dei big presenti in sala ha l’effetto sortito (a dire il vero Rutger Hauer non ha neanche bisogno di essere chiamato, la gente lo vede entrare in sala ed esplode spontaneamente in un applauso scrosciante). Parte il primo vero film del festival, Morgan. L’opera di Luke Scott ha un cast d’eccezione (beh, quando sei il figlio di Ridley Scott…) e un bel ritmo, ma non dice molto in più riguardo alla tematica uomo-macchina, né tantomeno sulla biorobotica, ridotta al trito e ritrito abbiamo-creato-una-creatura-con-sentimenti (Mary Shelley aveva praticamente già capito tutto nell’800 con Frankenstein). Sotto certi aspetti è nettamente inferiore a Ex Machina, e non parliamo certo di una pietra miliare della cinematografia. Senza nulla togliere alla bravissima e giovanissima Anya Taylor-Joy, che interpreta l’androide con l'intensità e il distacco necessari, fa comunque strano pensare che in sala c’è Hauer, ancora oggi il nostro “lavoro in pelle” preferito. Non vale neanche il trailer di Blade Runner arriva tra le risate dalla fila dietro. 

Dopo Morgan, parte I Am Not A Serial Killer, ovvero il filmone della giornata: altro cast d’eccezione (signore e signori, “Doc” Christopher Lloyd), umorismo grottesco, trama folta ma chiara. Un ragazzino sociopatico, un vecchio con segreti mostruosi, una cittadina sperduta nella neve: il pubblico gradisce la curiosa opera di O’Brien, che dopo i titoli di coda sale sul palco e spiega molti retroscena. Come ad esempio il difficile rapporto con Dan Wells, lo scrittore del libro da cui è tratto il film, che ha storto il naso e fatto rimuovere grossa parte delle parolacce presenti. “I’m irish, he’s a mormon” chiosa il regista.