Prologo

La punta corrosa della zagaglia di Xelva l’Africana sibilò come un aspide conficcandosi nell’oblunga testa deforme del Blattoprimate. L’occhio del capo delle Milizie del Potere Spettrale esplose.

– Colpo perfetto sorella Xelva! – urlai tra gli scrosci gelidi del diluvio oleoso che ci inzuppava da testa a piedi. Xelva girò rapida la testa, mi guardò risoluta e accennò un sorriso prima di rientrare tra le file. Dai suoi lunghi capelli neroazzurrite si allungavano rigagnoli di pioggia sporca.

La tensione si tagliava con il coltello dinanzi ai cancelli dell’Impianto di lavorazione K13/Materam, la più tossica e devastante raffineria del pianeta.

Le ostilità erano aperte. La rivolta, che avevamo preparato nei minimi dettagli, aveva avuto inizio. Abbassai il cappuccio del mio saio fradicio e ordinai di serrare i ranghi.

Dietro la massa del corteo popolare di eumani apparvero, eleganti, i Trecento Monaci Utopisti che intonarono il Sacro Saluto al Sole: con le lunghe tuniche cultuali che indossavano, sembravano entità soprannaturali. E mentre il Cubano e i suoi abili manovratori montavano le bocche di fuoco, armandole con i vettori propulsivi terra-cielo, dalle ali del corteo spuntarono gli arditi guerriglieri di Xelva.

Colpito nell’unica parte vulnerabile, il capo delle Milizie, corpulento esemplare di Blattoprimate, aveva emesso un’orrenda vibrazione sonora prima di cadere di muso in quel pantano di grasso permanente. Dal suo occhio scoppiato uscivano fiotti di emometallolinfa verde antracite. L’orda bellicosa delle Milizie del Potere Spettrale, con gli orribili arti, in segno di ostilità, si percosse il petto ispido di peli metallici mentre noi rimanemmo immobili. Quando le loro avanguardie con i carri falcati, alimentati a composti esausti ed effondenti miasmi velenosi, sferrarono il primo attacco, il nostro corteo si aprì come un preciso marchingegno e…

La fine del Governatorato di Materam

Il male era arrivato dalla Cometa di Titan una notte infausta. Gli invasori avevano conquistato le nostre terre sterminandoci. Utilizzavano sconosciuti armamenti parapsicotici che colpivano i centri nervosi provocando la follia. Dopo essersi instaurato, il Potere Spettrale aveva fatto deportare gli eumani più deboli e ammalati nei campi di ammasso, dove la popolazione era sottoposta ad angherie di ogni genere e a terribili esperimenti di alterazioni genetiche.

I più forti di noi, invece, erano obbligati a lavorare nelle raffinerie disseminate sul pianeta. Qui, tra le emissioni letali, che provocavano la “Peste dei gangli”, si produceva il combustibile da utilizzare per le mastodontiche cosmonavi che trasportavano le legioni del Potere Spettrale, dirette a espugnare altri mondi.

L’odiata tirannia, arcigna e violenta, per dominare ogni mondo che conquistava, forgiava un’apposita genìa con peculiarità biomorfologiche adeguate all’habitat e con compiti precisi di comando dell’occupazione. A noi erano toccati i Blattoprimati, affamati di carne eumana, orrende creature bruno-nerastre effetto di innesti cromosomici contaminati tra la resistente specie di Blatta orientalis, dna di primitivi esseri umani e microparti metalliche rese vive.

Le forze a capo della rivolta

Non mi fidavo di nessuno e per questo avevo selezionato pochi prescelti per aiutarmi nella preparazione della rivolta.

Anzitutto c’era Xelva dalla pelle scura e vellutata. Aveva origini africane. Bellissima eumana di grande intelligenza, agile e indomita. Era stata campionessa nel lancio della zagaglia ai “Giochi universali delle subpopolazioni”, i giochi olimpici delle popolazioni asservite. I suoi avi, appartenenti a una fiera tribù berbera, erano giunti dalle coste Meridionali del Mediterraneo.

L’avevo conosciuta in una delle adunanze delle Brigate eumane rivoluzionarie, organizzazione formata da piccoli nuclei attivi nelle raffinerie. Ero riuscito a far infiltrare Xelva nell’Impianto di lavorazione K13-Materam, qui era divenuta capo dell’omonima brigata, fulcro della lotta. C’era poi il Cubano. Il suo nome era OznE Cienfuegos, ma tutti lo conoscevamo appunto come il Cubano. Non era da molto tempo con noi. Proveniva dall’isola caraibica che era stata secoli addietro un avamposto rivoluzionario popolare. Ripeteva ossessivamente di avere nel sangue la ribellione. In proposito decantava la sua stirpe. Apparteneva alla discendenza di Camillo Cienfuegos, uno dei massimi capi della rivoluzione di Cuba. Anche se il suo attestato genealogico non sempre corrispondeva alla sua audacia e per questo credo che il suo blasonato antenato si rivoltasse nella tomba. Era ansioso, balbuziente e per di più, spesso, sconclusionato e pasticcione.

Ma aveva anche inestimabili lati positivi: scienziato con formazione da chimico e fisico, era dotato di un eccezionale ingegno multiforme capace delle più strabilianti invenzioni. Era il migliore! Per questo, sebbene a volte fossi perplesso, era a lui che avevo assegnato il compito di studiare i metodi e le tecnologie scientifiche da utilizzare nella campagna di liberazione. Infine a dare man forte vi erano i Trecento Monaci Utopisti. Trecento di numero, ma operanti all’unisono, come fossero un corpo solo. Si trattava di un ceppo eletto della nuova razza eumana. Veri e propri esseri superiori che vivevano nei cenobi dispersi tra le inaccessibili grotte dell’Abisso della Gravina. Mistici adoratori del Sole eccellevano in tutte le discipline cerebrofisiche: un addensato di poteri oscuri, sapere e vigore corporeo. Erano quanto di meglio vi fosse della neogenetica eumana, con molteplici coppie in più di cromosomi e un’identità funzionale così elevata da sfiorare la perfezione.

Io non ne facevo più parte sebbene avessi le loro stesse origini. Difatti ero stato uno dei primi esemplari di Monaci Utopisti plasmato dai Grandi Sapienti nei saloni liturgici della Torre Titanica. Poi avevo abbandonato l’Ordine quando ero stato chiamato all’Alto Ufficio di Patriarca per governare un mondo riemerso dalle macerie inquinate della civiltà umana oramai estinta. La nuova Epoca si fondava sull’interazione tra retaggi arcaico-medievali e ipertecnologie, equamente bilanciati.

Dissertazioni tre giorni prima dell’ora X

Tutto era pronto.

Ponendo la massima attenzione per non farci scoprire, con Xelva avevamo raggiunto i laboratori del Cubano. Erano ricavati nelle viscere della Terra, sotto l’increspato deserto tufaceo della Piana Murgica.

– Il co-composto chimico funzionerà, fra-fratello Patriarca –, asserì il Cubano, tartagliando mentre ultimava il processo di condensazione del liquido stabilizzato.

– Perfetto Cubano, ma non chiamarmi Patriarca, va benissimo soltanto fratello Aurelius. Ti ricordo che l’altissima carica fu abolita quando proclamammo la costituzione del Governatorato libertario di Materam e, per realizzare un nuovo mondo egualitario, rinunciai al Patriarcato trasferendo i miei poteri assoluti al Direttorio liberamente eletto.

– E fu, pe-perdonami, un grande errore fratello Patriar… ehm fratello Au-Aurelius! Dovevi sa-sapere, tu che sei dotto e saggio, che la bramosia di potere sca-scatena i peggiori istinti. Avveniva già nel pa-passato mondo umano, dove anche le rivoluzioni cominciate con le più giuste motivazioni fa-fallivano per l’avidità di potere di coloro che giungevano in cima alla piramide sociale; ma a quanto pa-pare oggi è anche peggio.

– Non è tempo di infruttuose elucubrazioni né di paralleli storici con condizioni lontane e tempi diversi, Cubano –, si fece avanti difendendomi con piglio risoluto Xelva. – Ciò che fece allora il fratello Aurelius era giusto nella forma e nel metodo. Ma forse egli peccò d’innocenza. Nessuno era pronto per quella nuova forma di conduzione popolare. E poi il nemico che giunse di lì a poco dalla Cometa di Titan aveva armamenti avveniristici di gran lunga superiori ai nostri e, disuniti com’eravamo, fu la disfatta! Ma oggi siamo qui uniti. E fra tre giorni daremo inizio al percorso che ci porterà alla liberazione!.

– Grazie Xelva, sei sempre molto buona con me – intervenni. – In quel tempo – dissi rivolgendomi al Cubano – decisi, anche contro me stesso, quello che ero e rappresentavo, di cessare lo stato delle cose e dare una speranza alla nuova civiltà eumana. Ero deciso ad annullare ogni privilegio, grado e nepotismo di sorta, cancellare appunto la piramide sociale. E mi ero accorto che per mutare lo stato delle cose occorreva cambiare anche quello che io stesso rappresentavo. A partire dal mio stato considerato al pari di una semi-divinità. Ma il momento purtroppo non fu propizio. Così il potere che intesi passare al popolo si ritrovò nelle mani di piccoli e vanesi demagoghi: canaglie senza dignità. Gli stessi che in seguito, invece di lottare contro il Potere Spettrale, attraverso vari intrighi, ci svendettero condannandoci al servaggio e ai mille lutti di questa epoca oscura. Ma durò poco e quegli stolti collaborazionisti furono annientati finendo miseramente nelle fauci dei Blattoprimati. Ammetto le mie ingenuità e non me ne do pace. Ma questa volta – continuai stringendo i pugni sino a farmi male – non sarà così! L’egemonia del mefitico Potere Spettrale sarà piegata alla nostra forza! Gli eventi sono maturi, ne sono certo, e il popolo è pronto a fare fronte unito contro gli oppressori!

Il balbettio comico e la genialità del Cubano

– Ti-ti chiedo scusa fratello A-Aurelius. La mia insolenza è de-dettata dalla passione. La mia vita è per te e per la nostra causa. Ve-vedrai, darò il meglio di me a cominciare da que-questo! –, soggiunse il Cubano inchinandosi in segno di devozione. Era un gesto che ancora molti mantenevano con me. Al contempo prese in mano un alambicco con del fluido fumante all’interno.

Benevolo lo aiutai a drizzarsi. Ma mi aveva infastidito, forse per i retaggi mentali della mia vecchia condizione privilegiata di semi-divinità, sicuramente non abituata a essere disapprovata. Così la mia energia incorporea salì di colpo. Guardai i miei occhi irati nello specchio di fronte divenire giallo-zolfo. L’eumelanina prodotta dai melanociti presenti nelle mie iridi era strettamente connessa alle variazioni del mio umore. E quando divenivano giallo-zolfo significava che lo stadio di collera era molto elevato. Così le mie psicoenergie negative si tramutarono in microonde telluriche.

Le pareti tufacee presero visibilmente a vibrare.

Vidi il cubano sudare sbigottito e aumentare il balbettio.

– Bu-bu-bueno, bueno fra-fratello Aurelius, ca-calma non non succederà più! –, disse alzando le mani in segno di pace.

Il suo balbettio ebbe un effetto comico che mi fece scemare immediatamente l’ira. Così cessai subito quell’azione. Tornai quieto.

– Non ci badare, Cubano – ripresi con ancora un accenno di batticuore – ti comprendo. Ti esprimi senza malvagità. Ma desidererei maggiore riguardo e comprensione verso la mia persona e anche verso quelli che sono stati i miei errori in buona fede per l’affermazione del progresso del popolo –. Comunque pensai che avevo ancora molta strada da fare per divenire un comune eumano. Poi tutto tornò alla normalità e il cubano mi mostrò con vezzo di compiacimento l’alambicco. Vi ribolliva un composto fumante opalizzato.

Lo sistemò in un sofisticatore rotante e quindi da un imbuto separatore ne uscì un liquido viscoso. Lo fece scorrere con un cannello refrigerante in una capsula che poi richiuse accuratamente passandola a uno degli assistenti .

– Aggiungeteci il gas pro-protano e poi ottimizzatene la pre-pressione. Questa come le altre ci-cinquanta capsule pro-propulsive dovranno giungere attraverso le bo-bocche di fuoco ed e-esplodere contemporaneamente tra le Oleonubi. Le onde di so-sovrapressione scioglieranno le particelle che tengono legate le Oleonubi che si di-diraderanno. La luce filtrerà e come sappiamo per i Bla-blattoprimati, che sono esseri lucifughi, sarà una ma-maledizione. Bra-brancoleranno nelle radiazione luminose che all'istante o-ossideranno i loro congegni, i quali in men che non si di-dica non risponderanno più ai movimenti. E lì avremo buon gioco e po-potremo sterminarli. Solo così elimineremo le Milizie di Bla-blattoprimati a protezione del Po-potere Spettrale. Non esistono altre so-soluzioni per sfidarli e vincerli. Fi-fidatevi di me –, spiegò il Cubano con sicurezza mentre io e Xelva ascoltavamo con attenzione.

Ancora una volta aveva dato sfoggio della sua genialità.

– Spero che funzioni, Cubano. Sappiamo tutti che le armature in lega di Metallocitochitina dei Blattoprimati sono impenetrabili. Ma se riusciremo a sbaragliare le loro protezioni, dopo ci penseranno i miei fidi Monaci Utopisti a ridurli in frantumi –, dissi concludendo fiducioso quel colloquio.

La dottrina dell’Eumanesimo Collettivista

A Xelva avevo affidato l’organizzazione del proselitismo tra le maestranze operaie, grandi forze attive, ma schiavizzate.

Lei era riuscita dapprima a organizzare efficacemente le Brigate rivoluzionarie nell’ambito dei vari reparti delle raffinerie. Poi aveva dato vita a una serie di capisaldi rivoluzionari che rappresentavano l’ossatura delle colonne armate.

Era stata fondamentale nella preziosa opera di proselitismo concettuale nella diffusione della nostra idea rivoluzionaria: l’Eumanesimo Collettivista.

Io ne ero stato il teorizzatore.

La nuova dottrina, un connubio tra razionalità e spiritualismo, aveva quale principio basilare l’abbattimento violento del dispotico Potere Spettrale.

Da erudito delle biblioteche ex umane avevo assimilato vari testi del passato studiandoli nelle lingue madri che conoscevo tutte.

Mi avevano ispirato, benché per me fossero tutte realtà intellettive ignote, soprattutto quelli che parlavano di giustizia, anarchismo e utopie, radicalismo e rivoluzioni, terzomondismo, movimenti sovversivi e di lotta armata dei popoli oppressi. Ma mi ero anche indottrinato sulle fedi misericordiose, sulla teologia e sulla dottrina sociale della liberazione, sulle filosofie orientali e l’armonia con la natura.

Tutto ciò era divenuto il substrato filosofico che animava le aspirazioni di quello che avevo denominato Eumanesimo Collettivista.

Avevo anche scritto un trattato che, finito nelle mani degli scherani del Potere Spettrale, aveva causato la mia condanna a morte in contumacia.

Ero pertanto entrato in clandestinità.

Il proselitismo tra gli eumani era divenuto strisciante e sempre più consistente.

– Fratello Aurelius le mie squadre di guastatori sono pronte, e al momento opportuno bloccheranno i generatori termici che alimentano le raffinerie – mi riferì Xelva nel suo rapporto venti ore prima della fatale ora X mostrandomi una raffigurazione dinamica della mappa dei vari Impianti di Lavorazione cerchiati di rosso.

– Molto bene Xelva – le dissi – so che non mi deluderai –. Poi per sdrammatizzare, in tono semiserio: – Anche perché se va male finiremo tutti sulle tavole come prelibato spezzatino per i Blattoprimati! –, non perdevo il mio humor nero malgrado la situazione.

Poi sfiorai Xelva con una carezza, consapevole dell’ascendente che avevo su di lei che si lasciò andare chiudendo gli occhi e accompagnando con la testa il mio gesto di affetto. Pensai che oramai non potevo più fare a meno di lei. Ma sarebbe anche stata basilare nella guida futura del popolo verso il percorso di redenzione. In quel momento ebbi certezza che, in caso di successo, ne avrei fatto una delle colonne portanti per poter mettere in pratica la nuova dottrina. La realizzazione di una nuova epoca basata sulla giustizia e sulla felicità, in un ambiente risanato, era a portata di mano. Ne ero certo e oramai sapevo che tutti nutrivano una fede incrollabile in me.

I potenti salmi dei Monaci Utopisti

I Monaci Utopisti, che continuavano a considerami uno di loro, erano stati essenziali nella prima fase divulgativa del pensiero dell’Eumanesimo Collettivista.

Anche loro ne propagandavano ovunque i semi: il germe della fiducia e il sentimento della fratellanza tesi ad abbattere l’oppressione.

Pellegrini discreti, avevano portato nel popolo un rinnovato senso di speranza avvicinando tanti vecchi e giovani eumani alla causa.

Erano tutt’altro che astratti nella loro condotta. Il loro motto era “Spirito e Azione” e avevano sostenuto con forza il mio pensiero e la mia opera rivoluzionaria.

Tra le prodigiose capacità che avevano messo in campo vi era quella del vocalizzo liturgico attraverso i Salmi Imperituri: canti sacri e al contempo potentissime armi. Fondendo toni e versi tra le voci basse dei maschi e quelle sottili femminili, riuscivano a creare onde sonore d’urto che avevano il potere di smolecolarizzare i metalli che costituivano la base del corpo dei Blattoprimati.

Li avremmo utilizzati per disintegrarli. Li convocai nell’Immensa Grotta del Sole, realizzata in una cava di tufo. Al tempo degli umani era stata la loro cattedrale. E adesso era la nostra. Situata ai margini della Città era divenuta il tempio della riscossa. L’avevamo assurta a base logistica. Qui, tra i meandri delle remote cappelle scavate in cunicoli calcarenitici, incontravo i plenipotenziari dei monaci.

– Ecco le pergamene del Sacro Saluto al Sole –, dissi consegnandole a KrAmen-

l’abate dell’Altissimo Collegio, solista del coro dei Monaci.

La partitura, che avevo appositamente elaborato, era il prodotto della trascrizione ottenuta intercettando frazioni di impercettibili emissioni sonore provenienti dalle profondità siderali, originate dalla distruzione di corpi celesti.

Tra i miei studi prediletti, infatti, vi erano le Astroscienze arcane. Una branca era la Cosmoacustica, disciplina che curavo con attenzione; sebbene – mi piaceva sempre sottolinearlo- mi fossi perfezionato nelle Scienze eumane delle arti e del potere del pensiero.

– Dovrete interpretarlo e salmodiare rispettando rigorosamente i tempi di intervallo tra le frazioni in un incedere progressivo. Le micidiali onde-suono che saranno generate avranno un effetto devastante sui Blattoprimati –, spiegai a KrAmen

– Così sarà, fratello Aurelius –, assentì l’abate.

Il richiamo perentorio all’Abate KrAmen

L’abate KrAmen, abile e sottile nel pensiero come si evinceva anche dalla forma della sua barba corta, dai baffetti sottili e con due triangoli che scendevano verso il basso, era il mio luogotenente tra i Monaci Utopisti.

In passato era stato il più riottoso a partecipare all’azione rivoluzionaria in quanto si opponeva a qualsivoglia forma di violenza. Sostenitore dogmatico della “Consapevolezza fatalista in natura” aveva ritenuto, in maniera inevitabile, che tutte le circostanze, e quindi anche le nostre condizioni, fossero frutto della volontà divina, per cui immodificabili.

Avevo più volte incrociato le armi della dialettica e della retorica con lui per smontare la sua convinzione fideistica. Volevo fargli comprendere le ragioni della rivoluzione che proponevo e i suoi principi di coesistenza tra scienza e fede, fermezza e povertà. Ma la sua intransigenza era sempre stata rocciosa.

Così era successo che in un’assemblea segreta che avevo convocato nella Grotta del Sole, davanti ai nuclei rivoluzionari fino alle cellule dei Monaci Utopisti, alle sue controdeduzioni orientate alla resistenza passiva avevo urlato minaccioso:

– La natura del nostro pensiero è pratica! Ed è proprio da tale azione che dipende la nostra natura di schiavi o di eumani affrancati! Ma per esserlo dovremo mutare questo stato di natura! Solo così otterremo la nostra liberazione e il nostro autoPotere! E ciò lo faremo con l’unità di tutti e con la lotta violenta tesa ad annientare le forze avverse. Io ci credo! Tu?”. Senza attendere risposta avevo aggiunto: “E sappi che l’insurrezione ci sarà, con te o senza di te!.

KrAmen si era zittito.

Certo, uno dei punti della mia teoria sull’Eumanismo Collettivista sosteneva che le problematiche ideali andavano dibattute. E ciò andava fatto con ogni elemento del popolo attraverso il confronto, l’analisi e la persuasione. Ma non avrei esitato ad eliminarlo senza pietà – come controrivoluzionario, sebbene mi fosse caro come un fratello – se egli avesse continuato a mettere in dubbio la certezza delle mie idee e delle conseguenti azioni!

Ma poi non c’era stato bisogno. KrAmen aveva compreso. Si era allineato ed era divenuto uno dei massimi fautori e predicatori del mio pensiero.

L’ora X e l’esercito di straccioni

Come previsto, la mattina di un’alba tetra del giorno tanto atteso, ci ritrovammo uniti dinanzi ai cancelli dell’Impianto di Lavorazione K13Materam.

Il passaparola aveva funzionato.

Il paesaggio intorno, color cenere, fradicio di olio bruciato che si abbatteva putrido dal cielo emettendo un tanfo terribile, non era certo incoraggiante.

L’idea della lotta collettiva però aveva fatto breccia.

La massa compatta, che comprendeva anche una moltitudine di malati terminali e disperati vestiti di stracci affetti dalla “Peste dei gangli”, era imponente.

Sbucavano da tutte le parti come infiniti fiumiciattoli che pian piano alimentano un “Oceano del bene”.

Molti erano pallidi dalla paura, altri tremavano al pensiero di finire nelle fauci dei Blattoprimati ma lo stesso erano lì, con senso eroico, a sfidare la morte nel freddo umido e gelato di quella pioggia sporca.

Comunque la maggior parte di loro si era portato dietro, celandola, un qualcosa che somigliava a un’arma. Erano, oramai, disposti a tutto.

Li guardai e rabbrividii. Era questo il mio esercito? Un popolo di straccioni e malati terminali? Se non avesse funzionato la combinazione tra le diavolerie del Cubano e i salmi smolecolarizzanti dei Monaci Utopisti saremmo stati annientati.

Quando l’affluire si fu placato e il silenzio fu interrotto solo dal rumore costante di pioggia sporca che ci bagnava, mi apprestai a fare il mio discorso alla folla.

Ero avvinto da una strana euforia suicida.

Allora mi chiesi se fosse il primo discorso da demiurgo di una nuova era o l’ultimo di una sventurata vita.

Dopo un lunghissimo periodo nel quale avevamo consumato la nostra esistenza misera nell’attesa della preparazione, eravamo decisi a mettere a ferro e fuoco quel mondo malvagio e dispotico.

Un mondo adagiato nelle tenebre della crudeltà, gestito da esseri mostruosi ubbidienti al Potere Spettrale.

Il Discorso

L’oscura pioggia si fece ancora più insistente.

Avvertivo un’energia nervosa suggestionata da quanto stavamo per compiere e finalizzata a raggiungere una nuova meta: la libertà!

Frattanto osservavo le Milizie di Blattoprimati, che avvertite della nostra ingente presenza, si andavano posizionando per proteggere la raffineria

E anche se i Blattoprimati erano distanti ne sentivamo l’infernale fetore rilasciato dalle secrezioni delle ghiandole repugnatorie.

Quindi austero e risoluto mi rivolsi alla massa che mi stava di fronte e mi apprestai a dare il meglio della mia eloquenza:

“Fratelli! Mio fedele esercito della fratellanza e della sovranità eumana. Sino a ieri eravamo ridotti a una plebe impaurita. Ma oggi siamo guerriglieri, saggi e inesorabili, convinti che c’è solo un modo per porre fine a questa intollerabile prostrazione! E’ giunta l’ora della grande vendetta catartica in vista di un’opera straordinaria: la costruzione della nostra rivoluzione. L’Eumanesimo Collettivista non è utopia!

È il mezzo incomparabile per affrancare le masse eumane, senza diritti e schiavizzate. È la nemesi storica diretta alla soppressione del bieco totalitarismo del Potere Spettrale che ha indebitamente occupato la terra dei nostri padri.

Si tratta di estirpare il Male e i suoi lacché e organizzarci per beneficiare insieme della felicità futura, in vista della costruzione della prima reale Comunità popolare eumana. In quest’azione improrogabile la linfa vitale sarà la nostra comune radice rivoluzionaria. Tale ideale è posto sotto la direzione dell’intelletto, delle scienze, della fede incorruttibile in noi stessi e basata sul consenso e la forza del popolo in un mondo sano e bonificato!”.

Non ci fu uno scoppio di urla di esaltazione ma avvertii nell’aria la composta positività d’animo della massa. Ed era proprio quello che volevo.

Indicai quindi a KrAmen di prepararsi a intonare il salmo del Sacro Saluto al Sole. Mentre gli arditi guerriglieri delle Brigate rivoluzionarie di Xelva si preparavano. Altrove le Brigate rivoluzionarie avrebbero iniziato, le azioni di sabotaggio.

Il Cubano, invece, con i suoi predisponeva celermente le postazioni mobili delle bocche di fuoco che avrebbero lanciato i vettori propulsivi contenenti il composto chimico finalizzato a sciogliere le Oleonubi.

La carica dei Blattoprimati

Sul terreno viscido di grasso frammisto a olio bruciato, i carri falcati dei Blattoprimati, con le ruote chiodate che affondavano nella poltiglia, si preparavano alla carica.

I rumori dei motori a propellente oleoso rombavano generando un suono acuminato che spaccava i timpani. La carica era iniziata. Lo scontro frontale con la massa apparentemente pacifica di eumani era questione di attimi.

Attendere l’attacco mentre eravamo fermi con di fronte gli spietati Blattoprimati che vomitavano paurose vibrazioni sonore era angosciante, ma occorreva rimanere compatti. Ciò fu possibile grazie alla litania dei Monaci Utopisti.

Essi sussurrarono una preghiera cantilenante che fece da sottofondo alla spasmodica sospensione del tempo dell’impatto, ammansendo gli animi impauriti dei più deboli tra noi.

Xelva, con la zagaglia, colpì nell’occhio il capo delle Milizie, mentre un centinaio di guerriglieri scelti della sua Brigata si accingevano al combattimento

L’orda di Blattoprimati partì alla carica.

Fu allora che il Cubano fece esplodere dalle potentissime bocche di fuoco i vettori propulsivi terra-cielo.

Questi ultimi segnarono una traiettoria bianca nell’aria e in un batter di ciglia impattarono con le Oleonubi generando un’esplosione a cerchi concentrici di tonalità cremisi.

Il fragore prima e il rimbombo dell’esplosione dopo richiamò l’attenzione dei Blattoprimati che stavano attaccando furiosamente.

Uno squarcio di luce crepuscolare si aprì dapprima nel cielo.

Rapidamente divenne un fascio luminoso e poi un bagliore immenso.

Tirai un sospiro di sollievo, il Cubano si era confermato il geniale inventore che sapevo.

Le sue strane formule e tecnologie funzionavano! La pioggia imbrattata cessò.

I Blattoprimati accecati sbandarono con i loro carri falcati e iniziarono a slittare per poi scivolare rovinosamente nel putridume di grasso e olio fangoso della poltiglia di terreno. In breve fu un assembramento di carri che si tamponavano e si aggrovigliavano uno sull’altro mentre le lame delle ruote facevano scintille impattando sulle corazze di quei grossi scarafaggi-ominidi. I mostri lucifughi annasparono nella luce del cielo.

Le Oleonubi si rarefacevano dando spazio al Sole che nel cielo brillava forte abbagliando anche noi che tuttavia ci eravamo premuniti di appositi cristalli neri che posizionammo davanti agli occhi.

E venne il momento dei Monaci Utopisti che a quel punto riversarono i loro salmi. Questi da un canto mesto e indolente si elevarono sempre più di tono sino a provocare quelle onde che fecero squarciare le corazze di Citometallochitina dei Blattoprimati i quali tra vibrazioni sonore di terrore si disperdevano zigazaganti. In breve i mostri batterono disordinati in ritirata in quel pantano di grasso .

Fu questione di poco e li vedemmo dibattersi e agitarsi nel miscuglio colloso del terreno sulla schiena curva muovendo convulsamente gli orrendi arti.

I Monaci continuarono nel loro infernale salmodiare.

Le armature dei Blattoprimati si spaccavano una dietro l’altra, fiotti di emometallolinfa schizzavano ovunque.

Poi li vedemmo sgretolarsi sotto la pressione altalenante delle dissonanze di alti acuti e dei bassi cupi delle micidiali onde-suono dei Monaci Utopisti.

Le molecole dei Blattoprimati vorticavano veloci in aria in grossi sciami e poi esplodevano disperdendosi sul terreno, lasciando ovunque una polvere ferrigna.

In pochi istanti si disintegrarono tutti.

Epilogo. Verso un Radioso Avvenire

Mi girai. La folla eumana era ferma, incredula e silenziosa, magnetizzata da quello che era avvenuto.

Sapevo che la lotta, forse impari, sarebbe stata ancora durissima, ma il primo scoglio era superato e avevamo vinto.

Xelva si aprì a un sorriso immenso. Il Cubano alzava il pugno sinistro in segno di vittoria. KrAmen ancora salmodiante si prostrava in adorazione al divino Sole. Verso l’alto si levavano le laudi di ringraziamento dei Monaci Utopisti, questa volta con toni ovattati.

Considerai la massa di eumani. Osservai le inquinanti ciminiere futuristiche e deteriorate della raffineria, segno della devastazione del pianeta. Dovevamo spegnerle!

Sollevai le braccia, aprendole in segno di devozione al divino Sole: il cielo era cristallino, le facce distese, i cuori gioiosi.

Poi con tono solenne proferii: “Andiamo mio popolo, il Sacro Sole ci accompagnerà! Le porte della redenzione sono spalancate! MARCIAMO INSIEME VERSO UN RADIOSO AVVENIRE!”.