Il boato che si alzò dalla folla cancellò il resto della frase e fece vibrare vetri di finestre: il popolo dei Mistic rendeva omaggio postumo al rivalutato salvifico Tesla. 

— …Perché, signori, il prezioso apparato che vedete avrà un ruolo centrale nella nostra sopravvivenza. Cedo la parola all’Operatore!

Operatore, onde di energia? Un macchinario avvelenato avrebbe salvato tutti dall’avvelenamento? Xeno ebbe in una risata isterica. Uno dei due Mistic rimasti seduti si alzò, avanzò e prese l’imbuto:

— Amici, il mio nome non ha importanza. Importa invece che stiamo tutti per assistere a un evento straordinario. — Lentamente l’uomo srotolò un aggeggio che si rivelò una cuffia. La pose sugli orecchi seguendo un rito elaboratissimo, con movimenti ieratici.

Manovrò alcuni pulsanti e levette del macchinario, assunse una posizione ascetica e disse: — Ora… ora… Ora!! — Ruotò una maniglia, un tubo spruzzò scintille, tra due becchi ricurvi che si fronteggiavano scoccarono fulmini crepitanti. Il tipo incominciò a essere visibilmente percorso da un tremore crescente. I fulmini s’intensificavano, scoppiettavano, si ramificavano. L’uomo gridò con tutto il fiato e con voce disperata: — Gaia, Madre e Amica nostra, che tu sia con noi!

Ora i gesti erano scomposti, l’uomo seguitava a sgolarsi e la sua voce era diventata un gracidare dissonante nel silenzio assoluto della folla. 

— Gaia —  gorgogliò — ora Tu mi ascolti! Attraverso me, dal più recondito centro del pianeta, di questa Terra divenuta Terramatta, Tu ascolti noi tutti! E noi ascoltiamo Te! — Abbassò lo guardo: — Voi qui presenti, è vero che anche voi, mio tramite, voi tutti state ascoltando la Sua voce? 

Sorpreso, Xeno udì salire dalla folla una voce che rantolò: — Gaia, io, io Ti ascolto! — Un’altra se ne aggiunse, più lontana. E poi un’altra, e un’altra ancora, ancora e ancora. Entro un minuto metà di quella folla delirava urlando, supplicando Gaia di non abbandonare crudelmente i suoi figli, di trovare il modo di purificare mondo e umanità dai loro peccati ambientali. — Gaia! Noi Ti invochiamo!    

— Gaia, noi, Tu, io… Gaia, Gaia, Gaia, Ga, ga… 

A casa Xeno, rientrato, ebbe ricordi confusi del seguito. Gente svenuta stesa per terra, altri che stentavano a risollevarsi, volti dalle espressioni ebeti, sgradevoli momenti del suo lento e penoso ritorno, a piedi.

Per Xeno il giorno seguente era trascorso grigio, cioè identico a tutti gli altri. Aveva eseguito tre o quattro lavoretti, trasportando materiali vari e cibo. Portò di persona – non funzionando telefoni e computer – due lettere e una notizia a voce, a parenti o amici o clienti dei suoi committenti. Nel pomeriggio fece aggiusti nella casa d’un dirimpettaio, che gli chiese anche di reperirgli libri o notizie sul come arrangiarsi senza crepare subito, in assenza di ogni energia. Nell’insieme non c’era da lamentarsi, la giornata aveva consentito a lui e Myria due pasti. 

Erano circa le 19, e Xeno era steso in casa sulla vecchia sedia a sdraio. Quella sedia gli sollecitava rimembranze. Ogni tanto, per esempio, gli riportava alla memoria un suo cane, Perlinka. Tanti anni fa. Gli sarebbe piaciuto, oggi, poterne accarezzare uno. Poter prendere guinzaglio e paletta per la raccolta delle feci, come si faceva una volta, e uscire con l’animale giocando a rincorrersi o con la palla di gomma. Già. Ma ora non si potevano più tenere animali. Troppo inquinamento…   

Bussarono alla porta. 

Andò ad aprire. Vide una donna con vestiti laceri e il volto bellissimo, macchiato di nero quasi fosse sporco di carbone. Conosceva quella donna. L’aveva incrociata due o tre volte non lontano da casa, seguita sempre dal figlioletto sgambettante di un paio di anni. Guardandola meglio si accorse che il nero sul viso era sangue raggrumito. 

— Ma che succede? Vuoi entrare? —  le chiese.

La donna lo guardava senza parlare. Poi, sempre in silenzio, alzò il braccio tremante tendendogli un fagotto di stracci rigonfio e chiuso da un nodo alla cima.

Xeno ebbe un sobbalzo. Cercò di parlare ma non sapeva che dire. Qualcosa lo prese alla gola. Vide che nella mano tesa della donna c’era anche del denaro. Le disse, sussurrando: — Quei soldi puoi tenerli.

Prese il fagotto. Il fatto che pesasse molto meno di quanto si aspettasse fu un’altra botta per lui.

— Grazie —  disse la donna. — Mi hanno detto bene di te. Poi, per favore, fammi sapere dove lo lascerai. — Scoppiò a piangere, ma si trattenne subito e aggiunse: — Mi raccomando…

— Fidati —  la rassicurò Xeno. — Vado via subito. 

La donna disse di chiamarsi Gilda e gli lasciò l’indirizzo, poi se ne andò. Xeno diede una voce a Myria, prese la carriola con gli attrezzi, imballò il fagotto mimetizzandolo sotto pietrisco e polvere di strada e si avviò.